Costantino Nigra visto dallo storico Federico Chabod
Colui che è stato tra i più grandi storici del nostro Paese come ha interpretato la vita e le azioni del più grande diplomatico, ad oggi, della storia d'Italia? E' il tema affascinante esplorato in questo lavoro.
Un filo sottile unisce Costantino Nigra e lo storico Federico Chabod1. Entrambi attori protagonisti di cambiamenti e scelte drammatiche ed epocali, uomini con grandi doti morali e intellettuali, pilastri e innovatori nelle loro discipline. Ad unirli anche il rapporto con il territorio: la madre di Chabod era eporediese e e il giovane Federico andò a studiare all'Università di Torino proprio come Nigra.
Chabod si avvicina a Nigra nel 1936. Quell'anno l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale gli propone, insieme ad altri nomi illustri come Walter Maturi, Carlo Morandi e Augusto Torre di scrivere su nuove basi documentarie una Storia della politica estera italiana dal 1861 al 1914. Chabod si occupa del periodo dal 1870 al 1896. Lo storico valdostano compie un lavoro lungo e minuzioso e in particolare esplora dal '36 al '43 le carte dell'archivio del ministero degli Esteri, quelle dell'archivio Visconti Venosta e l'archivio privato di Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon2. Chabod effetua una ricostruzione delle vicende politiche e diplomatiche postunitarie non tanto concentrandosi sui fatti cronologici ma sugli uomini e le forze morali che spinsero le loro azioni. Finirà questa opera monumentale nel 1951.
Nella parte finale del volume I della Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 Chabod tratteggia con la maestria della corrispondenza tra ritratto morale e fisico la parabola politica di Nigra3. Nel suo lavoro, specie nelle prime righe, c'è un grande riconoscimento delle qualità di Nigra: bello,leale, audace, intransigente, brioso ed elegante nel parlare, con grande rettitudine morale e politica e senso di dignità nazionale e personale. Tuttavia in generale ne emerge un ritratto parziale vincolato al periodo esaminato e basato su precise scelte interpretative. Lo schema della sua ricerca, senza che venga realizzata una vera e propria biografia, porta Chabod ad escludere la parte più importante della vita e dell'opera diplomatica di Nigra, in cui il canavesano è uno dei fondamentali fautori dell'Unità e si afferma come il pioniere della diplomazia italiana4. Soprattutto, anche se non ci si concentra solo su questa scelta, rimangono alcuni elementi contestabili, nonostante la descrizione degli stati d'animo del Nigra sia straordinaria. Infatti tra le righe del suo stile aulico e elegante, probabilmente anche per ragioni di spazio, tempo e fonti a disposizione, si nota un punto cruciale: non si riesce a cogliere a pieno il rapporto complesso tra le motivazioni degli stati d'animo e delle scelte di Nigra dal 70' al '96 e il contesto storico e le contingenze della sua vita. Il risultato è una reiterata visione pessimista e fatalista di un Nigra apatico e sul viale del tramonto che è vera solo in minima parte ma pervade tutta l'opera e tralascia numerosi aspetti positivi. Questa immagine è stata presa come riferimento da molti storici successivi che spesso non hanno riconosciuto i meriti e l'importanza di Nigra. Oggi grazie a nuove fonti e biografie si può superare questa visione: ripercorrendo e integrando il ritratto di Chabod con maggiori dettagli e considerazioni critiche è possibile mettere in luce il rapporto descritto poco sopra e restituire una immagine più autentica e positiva del Nigra dopo il 1870. Questo è il tentativo del seguente lavoro e si rimanda alle conclusioni per comprenderne a pieno i risultati.
Gli ultimi anni in Francia
Fin dalla morte di Cavour le cose per Nigra stavano cambiando: si addensavano sul suo capo anni più difficili perché aveva perso il suo maestro e punto di riferimento e si sentiva schiacciato tra le amicizie francesi, il fatto che fosse rappresentante degli interessi italiani e i giochi di potere del Re e dei politici italiani5. Alla vigilia del crollo del Secondo Impero'annessione del Veneto.
Chabod parla di un Nigra che già dal 68' aveva previsto il crollo dell'Impero francese e che voleva andare via da Parigi per Londra o Vienna. Così scriveva Nigra: “Questa vita d'incertezza continua, e questa tremenda spada di Damocle che è la questione romana, la quale non sarà sciolta se non il giorno in cui vi sarà in Francia una rivoluzione radicale e violenta, mi rendono questa residenza molto dolorosa. Aggiungi le accuse e le ire della nostra stampa e di molti fra i membri del Parlamento. Aggiungi le antipatie del Re, e le irritazioni di Rattazzi. E poi devo confessarti che le cose in Francia peggiorano, e che m'è doloroso l'assistere alla rovina di questo grande edifìzio dell'Impero francese col quale si collega tutta la politica da noi fatta sin qui.
Occorre precisare l'incertezza e il malessere di Nigra: visto che la questione romana non veniva risolta si sentiva inutile a Parigi e percepiva il suo compito come svuotato di contenuti. Pensava di tradire la fiducia di Cavour e si sentiva indebolito nei confronti del Re e dei governi di Firenze. La signora Rattazzi7, francese, avrebbe voluto per il marito il posto di Ministro a Parigi al posto di Nigra e mise in atto ogni sorta di intrigo per screditare Nigra e raggiungere quello scopo ma senza successo. Per quanto riguarda il cambio di città, Nigra espresse i suoi timori solo dopo il crollo ufficiale dell'Impero e non pensava a Londra e Vienna ma a Berna.
l'imperatore Napoleone III
Allo scoppio della guerra tra Francia e Prussia Nigra pensò giustamente che un intervento dell'Italia fosse insostenibile sia dal punto di vista politico che militare: l'esercito italiano era impreparato e anche con il suo piccolo aiuto la Francia avrebbe avuto ben poche possibilità di vincere contro la forte Prussia. Nigra giudicava un intervento un suicidio sia per l'Italia che per la Francia. Il re, che pensava all'incolumità di sua figlia Clotilde, non perdonò mai la sua posizione intransigente.
La sconfitta di Sédan provocò un terremoto nell'animo di Nigra. Era a Parigi da quindici anni e la capitale francese ormai era come una seconda casa. Era maturato come uomo, aveva stretto contatti e importanti amicizie e provava riconoscenza per Napoleone e tutta la famiglia imperiale per la stima e la benevolenza che gli avevano dimostrato. Nigra rischiò in prima persona e aiutò l'imperatrice Eugenia a scappare da Parigi per andare in esilio: era una mossa azzardata in quanto i bonapartisti avrebbero potuto pensare che fosse un tentativo di accelerare la caduta dell'Impero e liberare i governi dagli impegni presi con Napoleone. In realtà Nigra obbedì ad un sentimento cavalleresco di devozione personale proprio per i tanti anni trascorsi a corte. Chabod ha il grande merito di sottolineare che Nigra, nonostante tutto, decise di restare a Parigi: lo fece per dimostrare la sua devozione alla causa italiana e di essere il rappresentante dell'Italia e non l'agente dell'Imperatore. Nigra era orgoglioso di questo ma alla luce del contesto descritto poco fa era normale che avesse perso entusiasmo e attraversasse una fase di disincanto. Un disincanto su cui però Chabod si concentra in maniera troppo marcata e che estende negativamente a tutto il resto della vita di Nigra fino alla morte. In realtà Nigra si sentì nostalgico e svuotato di responsabilità solo per pochi mesi dopo Sèdan. In seguito a decenni di forti tensioni morali era stanco e chiese un periodo di riposo e di lasciare l'incarico di Parigi. Scrisse all'amico Visconti Venosta sconfortato, pensando addirittura di voler cambiare mestiere per il timore di essere lasciato solo e senza il supporto del governo. I malesseri psicologici e i conseguenti affaticamenti fisici durarono all'incirca dal novembre del '70 all'inizio dell'estate del '71. Tuttavia Visconti Venosta, facendo leva sul suo patriottismo e per la sua conoscenza profonda della Francia, lo convinse che la permanenza a Parigi era ancora utile: “Io faccio appello al Vostro patriottismo. Il nostro compito non è finito poiché in questa questione romana è impegnata l'esistenza dell'Italia.
La malinconia in poco tempo abbandonò Nigra e tornò ad essere se stesso, riprendendo con il solito impegno e la comprovata competenza l'attività diplomatica. Chabod continua invece a presentarci un Nigra in preda al disinganno, all'amarezza, moralmente stanco e disperante. Le lettere su cui si sofferma Chabod però sono sempre quelle dei mesi del 1871 subito dopo Sèdan. E' legittimo dal punto di vista politico considerare questa fase di Nigra nostalgica e interlocutoria: Nigra non poteva fare altro che riconoscere i nuovi governi repubblicani francesi e gestire l'immagine dell'Italia in Francia, mal vista per il mancato aiuto nella guerra contro la Prussia. E' altrettanto normale però che Nigra sentisse la stanchezza: i mutamenti politici sembravano esaurire il suo compito, in poco tempo il suo mondo si era sgretolato e aveva perso i suoi riferimenti. Dopo l'annessione del Veneto e la presa di Roma la missione italiana per l'Unità si poteva dichiarare quasi conclusa. Per questo sentì di colpo tutto il peso emotivo delle complesse trattative diplomatiche condotte negli anni precedenti per la seconda e terza guerra d'indipendenza. Quindi fu anche il contesto storico che di conseguenza lo spinse a riflettere su se stesso e a ridurre l'azione in campo politico.
Infatti dalla metà del 1871 all'inizio del 1874 il Regno d'Italia si concentrò di più su questioni interne come il risanamento economico e l'Europa attraversò una fase di stabilità. Nigra sfruttò questo periodo più tranquillo per compiere gli importanti studi sulla lingua celtica. Se per uno storico attento più alle grandi azioni politiche questo può essere un rifugio e un ripiegamento su se stesso non lo è se si analizza in profondità la sua biografia: in questo periodo infatti riemerse il Nigra autentico delle origini, filologo, poeta e studioso delle tradizioni popolari10. Il Nigra che dopo essersi dedicato alla causa italiana tornò ad occuparsi delle sue passioni letterarie e continuò a lavorare sui canti popolari del Piemonte.
Dal 1874 al 1876
Chabod parla di un Nigra che smarrisce il gusto della politica “quasi che in essa non fossero amarezza, disinganni,crucci e in ultimo vanità delle cose tutte”11. E'opportuno ricordare che Nigra rimase sempre un uomo di Stato devoto alla causa italiana. Lo smarrimento che intravede Chabod nelle lettere è collegato all'avvento della Sinistra: Nigra non conosceva la nuova politica italiana12 e giudicava le intenzioni in politica estera tortuose e meschine che avrebbero rischiato di rovinare la sua onorabilità dopo vent'anni di carriera. Dopo l'apparente tranquillità a partire dal 1874 Nigra si trovò sotto il fuoco incrociato di giochi e intrighi politici. Gerolamo Bonaparte da vecchio alleato si trasformò in nemico e lo accusò di non aver sostenuto la politica francese nel 1859 e di non aver fatto il possibile per convincere il governo italiano ad allearsi contro la Prussia. Gerolamo fece pressioni sul suocero, il re Vittorio Emanuele II, affinché lui venisse rimosso dall'incarico di ambasciatore a Parigi. Anche il re non vedeva più di buon occhio Nigra, sia per l'affaire Clotilde sia perché Nigra non assecondava i suoi interessi personali. Il governo francese però voleva che Nigra rimanesse a Parigi, segno del rispetto e della fiducia che si era guadagnato. Con l'avvento della Sinistra e il governo Depretis, nel generale repulisti degli ambienti politici e diplomatici, il re ne approfittò e compì la vendetta di Gerolamo. Nigra nel maggio del 1876 venne trasferito da Parigi a San Pietroburgo.
I centri di riferimento europei rispetto alla politica estera italiana erano altri rispetto a San Pietroburgo. Questa mossa sembrava un allontanamento a tutti gli effetti. Tuttavia Nigra non fece obiezioni non per stanchezza e disincanto ma perché non voleva prestarsi alla manovra del ministro degli Esteri Melegari che faceva pressioni sulla Camera francese affinché la Francia sopprimesse la sua ambasciata nella Santa Sede. Riteneva questa azione sleale e ingenua. Per questo motivo fu anche lo stesso Nigra a richiedere a Melegari la sede di Pietroburgo13. La politica estera italiana ed europea era più aggressiva e il sovrano cercava di ampliare il prestigio europeo della monarchia. L'Italia scivolava pericolosamente verso il nazionalismo e il colonialismo. Era il contrario della politica estera perseguita da Nigra, all'insegna dell'equilibrio e che aveva come unica missione l'autodeterminazione del popolo italiano. In questo contesto appare normale che Nigra si distacchi progressivamente dentro di sé dalla passione per l'agire politico. Ciò che non perse mai fu la volontà di continuare a servire lo Stato curare gli interessi italiani. Per questo continuò a fare l'ambasciatore.
San Pietroburgo, Londra e Vienna
La Russia era una potenza emergente con cui ben presto anche l'Italia avrebbe dovuto fare i conti. Quando Nigra arrivò a Pietroburgo però i rapporti tra Russia e Italia erano ancora amichevoli e piuttosto inconsistenti. Per questo motivo,con una attività pubblica ridotta, Nigra si dedicò maggiormente a riflessione, studio, vita mondana e battute di caccia. Era una vita comoda e tranquilla che gli permise di conoscere quello straordinario paese. E' normale che in questo contesto Nigra preferisse non cambiare vita ancora una volta e rimanere in un ambiente cortese e cordiale. Per questo motivo espresse il suo rammarico a Robilant nel momento in cui stava per andare a Londra: “Al momento di lasciar Pietroburgo sento un vivo e sincero rincrescimento. La mia posizione qui era eccellente, l'accoglienza di questa società era stata più che cortese, cordiale; difficoltà politiche o d'altra natura, non ne avevo affatto; le relazioni ufficiali, e non ufficiali, ottime. Ora invece devo intraprendere una nuova vita, farmi ad altre usanze, coltivare nuove relazioni, e Dio sa con quale esito. Avrò noie che qui non avevo ed occupazioni “14. Questo rammarico è inteso da Chabod soltanto come “una mancanza di gioia dell'azione che caratterizzava l'anima del Nigra dopo il 1870”15, ormai riluttante e abitudinario. Non solo Chabod ma anche altri storici successivi come Levra hanno visto nella famosa lettera a Robilant soltanto i segni di una apatia. Tuttavia Nigra aveva ancora voglia di fare e lo dimostra il fatto che aveva detto a Mancini che desiderava moltissimo Londra: la capitale britannica era il posto più ambito per i diplomatici di carriera e anche lui era affascinato dalla cultura inglese e da una Corona dal prestigio e dalle tradizioni uniche. Nigra infatti, nella stessa lettera a Robilant, aveva anche scritto: “Tuttavia, fra i vari posti a cui potevo aspirare, quello di Londra è certamente quello che mi lusinga di più. Farò laggiù il meglio che potrò”. Certamente c'era un po' di rimorso ma le preoccupazioni dipendevano dal compito difficile che lo attendeva a Londra: lui sapeva che la diplomazia inglese era un ambiente qualificato e di grande esperienza. Inoltre non conosceva la lingua, le persone e gli eventi. Riteneva che la diplomazia esprimesse la forza morale e materiale del governo che rappresentava e i governi di quegli anni secondo lui non avevano la lungimiranza di un governo Cavour. La Sinistra gli aveva fatto sempre la guerra in quanto esponente della Destra e amico dei Bonaparte. Eppure Depretis e Mancini lo scelsero a Londra perché volevano un ambasciatore dinamico e con esperienza di negoziati importanti.
L'assegnazione di Londra è la prova che la figura di Nigra era più forte dei giochi e dei mutamenti politici. La sua competenza, la sua esperienza e la sua conoscenza della politica estera erano irrinunciabili per l'Italia. Il merito fu anche di re Umberto I che si occupò particolarmente degli affari internazionali seguendo da vicino le ambasciate e le legazioni e decise di rivedere tutta l'organizzazione diplomatica. Umberto I lo stimava molto e memore dei servigi resi all'Italia lo aveva già insignito del titolo di Conte nel marzo del 1882. La nomina gli fu annunciata da Depretis in persona con una lettera: “La Maestà del Re, volendo dare alla E.V. un attestato della sua sovrana soddisfazione pei servizi da Lei resi al paese nella sua lunga carriera si è degnata di concederle il titolo e la dignitò di conte” . Per Nigra fu un titolo molto importante: non solo perché era un riconoscimento altissimo per le sue doti e azioni diplomatiche ma anche perchè lo faceva entrare ufficialmente in quell'aristocrazia inaccessibile a molti ma che lui aveva sempre saputo frequentare e interpretare. E certamente non è vero che i tre anni a Londra furono una meteora solo con balli e feste. Gli impegni diplomatici furono pressanti e il ritmo di conferenze e incontri fu intenso. Nigra si trovò a fronteggiare la delicata crisi egiziana per la quale Londra chiese come aiuto l'intervento armato dell'Italia in virtù dei rapporti di amicizia tra i due paesi. Fu lui che comunicò l'indisponibilità dell'Italia ad un intervento: l'Italia rinunciava perché non avrebbe tratto nessun vantaggio, avrebbe offeso l'autodeterminazione dei popoli e avrebbe dovuto lasciare la Triplice alleanza. Il Conte parlò anche con la regina Vittoria del rinnovo della Triplice alleanza e del mantenimento della pace in Europa e a questo proposito partecipò al convegno di Skiernewice tra le grandi potenze. Nel periodo londinese il Conte si dimostrò anche grande innovatore, adottando per la prima volta e propugnando la lingua italiana al posto del francese come lingua ufficiale per le delicate corrispondenze diplomatiche con gli altri paesi: “ Ora mi pare che sia proprio venuto il momento pel nostro Ministero, per le Legazioni e pei Consolati italiani, di far uso della lingua nazionale anche per la corrispondenza in cifra. Io ho qui introdotto la corrispondenza in lingua italiana per le comunicazioni che la Regia Ambasciata fa al Foreign Office, il quale dal suo lato usava sempre, ed usa continuamente l'inglese nelle sue comunicazioni colle Legazioni estere. Questo cambiamento non sollevò nessun ostacolo per parte del Foreign Office e per la prima volta la lingua di Dante prese possesso, come doveva, dei suoi incartamenti. Vorrei che fra le buone cose ch'Ella ha fatto e fa nel nostro Ministero, non omettesse questa.
allegoria dell'Italia unita
Vorrei ch'Ella cancellasse quest'ultima traccia dei tempi della divisione e della servitù della patria nostra. Dico servitù perchè l'essere la lingua altrui nelle cose nostre è vera servitù e servitù di pensiero”18. Fu una giusta proposta certamente accettata: la lingua italiana fu usata prima nella corrispondenza con il Foreign Office inglese e poi nel tempo man mano adottata nelle corrispondenze con gli altri paesi europei.
Con la caduta del governo Depretis nel 1885 Mancini gli chiese se avesse voluto ricoprire al suo posto la carica di ministro degli Esteri. Nigra rifiutò ma non per generico disincanto e disaffezione alla politica. La riflessione fu molto ponderata: mancava dall'Italia da ventisette anni, intuiva ma non conosceva la politica italiana. La sua persona continuava ad essere vista con grande diffidenza dal potere politico che condizionava le decisioni e lasciava ben poche libertà di azione secondo la propria logica ed esperienza. Decise quindi che non gli conveniva avventurarsi in un ambiente così difficile e ostile.
Nell'autunno del 1885 Nigra accettò l'invito di Robilant a fare l'ambasciatore a Vienna. La sede prestigiosa e l'incarico importante erano un richiamo forte a cui non poteva resistere. La comunicazione di Robilant dimostra la considerazione e la rinnovata fiducia del Governo e del Re nei confronti del Conte: “L'elettissimo vostro ingegno, la grande esperienza, l'abilità diplomatica e la fermezza all'occorrenza sono eminenti qualità che possedete in sommo grado e che tutti in Italia e all'Estero vi riconoscono. Ai miei occhi nessuno è più dotato a rappresentare l'Italia a Vienna.
Nel periodo viennese Robilant chiese a Nigra di proporre una soluzione per garantire gli interessi italiani in Africa e nei Balcani nell'ambito della Triplice Alleanza. La formula pensata da Nigra fu talmente brillante e adatta che diventò poi quella dell'art. I del trattato separato italo-austriaco e dell'art. II del Trattato separato italo-germanico. Robilant lo ringraziò con vivo entusiasmo. Nigra gestì anche con grande destrezza le relazioni con il rude Gustav Kalnoky20, il ministro degli Esteri d'Austria-Ungheria poco affabile con i diplomatici. Sono testimonianze di un Nigra ancora attivo e brillante sebbene Chabod raccolga degli episodi di lamentele da parte di Fasciotti e Richelmy e parli di un Nigra “quasi disperante e sepolto in un egoismo che non voleva più seccature”21. Queste erano però lamentele saltuarie dovute alla vecchiaia e alle amarezze familiari. Chi lo conobbe a Vienna e negli ultimi anni di vita ne ammirò ancora la freschezza spirituale e la vivacità politica e intellettuale. Tra questi il giornalista Alessandro Luzio, impressionato dalla sua lucida memoria e dal fatto che sembrasse un archivio vivente e lo storico Albano Sorbelli che lo lodò per l'affabilità dell'accoglienza.
Nigra infatti fu impegnato in opere importanti fino alla fine della sua vita, non solo dal punto di vista culturale e umanitario22 ma anche politico, che non hanno risalto nella trattazione di Chabod. Nel 1897 fu nominato dal ministero degli Esteri membro della Commissione Esaminatrice a Torino per gli avanzamenti di carriera nella diplomazia. Come ulteriore conferma della stima che godeva, in seguito fu nominato Ministro Plenipotenziario dell'Italia per la conferenza di pace a L'Aia del luglio 1899. Furono due mesi di lavoro intensi nell'ambito del diritto internazionale e della regolamentazione in senso pacifico dei conflitti e fu protagonista di un altro fatto storico del nostro Paese: Nigra parlò per la prima volta in italiano di fronte alle potenze mondiali e lo ricordò sempre con grande emozione. Il Conte fu anche tra i maggiori ideatori e promotori del tribunale d'arbitrato internazionale che, con i dovuti sviluppi, esiste ancora oggi per facilitare la risoluzione delle controversie fra gli stati a livello mondiale23.
Conclusioni
Chabod, attraverso il suo metodo storico rivoluzionario e magistrale24, compie il lavoro forse più acuto mai realizzato su Nigra ed è la base di partenza che ci permette di analizzare la difficile fase della sua vita dopo il 1870. Nella ricostruzione di Chabod però non ci sono parti, collegamenti e ricordi sull'apogeo di Nigra che lo rese figura determinante nel processo di unificazione italiana. Non c'è traccia del Nigra che concretizzò l'ipotesi di alleanza con la Francia per la seconda guerra di indipendenza e neanche del Nigra che nel 1866 progettò di fatto la terza guerra di indipendenza con Napoleone III e l'annessione del Veneto. Questa rappresentazione parziale, dettata in parte dalle caratteristiche dell'opera, ha influenzato l'immagine di Nigra e l'approccio al personaggio da parte degli storici successivi. Spesso questi ultimi lo hanno visto come il braccio destro di Cavour che dopo la sua morte ebbe poca autonomia e scarsa forza e importanza politica25. Come riferimento di massima autorevolezza per i posteri il ritratto di Chabod, nonostante sia una rappresentazione vivida è forse stato indirettamente tra i fattori che hanno portato Nigra ad essere relegato in un angolo della storia. Chabod riconosce che Nigra non perse mai l'energia per portare a termine le cose e per imporsi in ambienti difficili. Tuttavia lo storico valdostano finisce per amplificare lo sconforto di Nigra, durato in realtà pochi mesi, che mette a nudo se stesso di fronte all'amico Visconti Venosta dopo il crollo del Secondo Impero francese. Questa visione di un Nigra stanco e amareggiato, scettico e indifferente dopo il 1870 è riproposta in modo insistito e preponderante in tutto il tratteggio del personaggio. Eppure era anche normale che dopo i due capolavori diplomatici dell'Unità per cui avrebbe tutto il diritto di essere annoverato tra i padri della patria Nigra avesse una fase politica e personale più discendente: cosa avrebbe dovuto fare di più?. Nonostante questo dimostrò di fare numerose opere positive ed importanti anche nel corso dell'attività di ambasciatore. Invece le lodi a Nigra in Chabod sembrano qualcosa appartenente ad un passato ormai perduto. I ricordi e i dettagli che attribuiscono a Nigra in quegli anni ancora vivacità politica, intellettuale e spirituale sono messi in nota senza particolare risalto e importanza centrale nel discorso ma Nigra non perderà mai queste caratteristiche. Inoltre si è visto che questi stati negativi come la malinconia e il disincanto furono solo una parte della sua personalità dopo il 1870. Non furono certo le maggiori forze morali che animarono Nigra ed ebbero precise cause in relazione ai mutamenti del contesto storico-politico e della sua vita. Nonostante ciò tutta l'interpretazione di Chabod è orientata sugli stati d'animo negativi: fatica, disperazione, indifferenza, chiusura e addirittura egoismo. Dopo la fine della questione romana è vero che il peso del suo ruolo politico venne meno ma Nigra ebbe una lunga e prestigiosa carriera come ambasciatore e colpisce come per le sue capacità fosse una figura irrinunciabile anche per i nemici della Sinistra del governo Depretis. Lo dimostra il fatto che Nigra tra il 1894 e il 1895 rifiutò due proposte di Crispi, che lo voleva ancora ambasciatore a Parigi o Pietroburgo. Declinò perché considerava ormai conclusa la sua carriera e gli sembrava giusto lasciare spazio ai più giovani. In Chabod non emerge il fatto che Nigra dopo il 1871 non fu solo il vecchio uomo di Cavour amareggiato e disincantato26 ma il grande diplomatico a cui tutti i ministri degli Esteri dell'epoca chiesero consigli e pareri. Per la sua esperienza e conoscenza degli affari internazionali fu il punto di riferimento dei grandi colleghi e amici Mancini, Robilant, Minghetti e Visconti Venosta. Fu degno di stima e dispensatore di consigli sugli argomenti di politica internazionale anche per importanti figure politiche come La Marmora, Crispi, Guglielmo I, Bismarck, Francesco Giuseppe e altri ministri delle potenze europee. L'elemento ancora più straordinario non sottolineato da Chabod è che anche e soprattutto prima che divenisse Conte, da funzionario borghese Nigra discusse su un piano di assoluta parità con questi esponenti aristocratici di spicco, con un rapporto di totale fiducia e stima. Queste sono le dimostrazioni ultime, se mai ce ne fosse ancora bisogno, delle sue incredibili qualità morali e intellettuali. La chiave dell'interpretazione della figura di Nigra è proprio nell' “acuto giudice di persone e cose”: questa qualità che Chabod riconosce però si perde o si coglie nel suo lavoro solo in brevi cenni nei meandri del fatalismo e delle sottolineature delle evoluzioni negative del carattere. Il giudizio di Nigra non si fidò delle nuove persone che guidavano l'Italia e delle politiche poco lungimiranti, nazionaliste, trasformiste e clientelari. L'intimo distacco progressivo dalla politica quindi nacque da questa consapevolezza e non solo per attacchi personali né certamente per un generico senso di fatica e apatia. Per questo Nigra fu sempre diplomatico e uomo di Stato e non politico dei banchi parlamentari. Fu uno dei moderati che ugualmente a d'Azeglio, come intuisce bene Chabod, avvertirono il tradimento degli ideali risorgimentali della nuova classe dirigente. Il miglioramento della condizione italiana venne sempre prima di tutto: era un appassionato di politica in senso romantico27 e quasi ingenuo e la sua missione fu sempre quella dell'unificazione italiana e non del posto al ministero. Lo dimostrò seguendo la religione della patria anche nella straordinaria innovazione suggerita mentre era a Londra: affinché l'Italia avesse la dignità della vera nazione indipendente propose di utilizzare finalmente l'italiano e non il francese nelle corrispondenze diplomatiche in cifra con le altre nazioni. Una proposta poi accolta che lo ha reso ancora di più il padre della diplomazia italiana.
D'altronde la sua passione primaria e i suoi interessi principali erano rivolti agli studi linguistici e al folclore e non certo agli studi giuridici che poi sfociarono nella carriera diplomatica e politica