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  • VITTORIO BERSEZIO E COSTANTINO NIGRA
  • NIGRA DIPLOMATICO, FILOLOGO, POETA

VITTORIO BERSEZIO E COSTANTINO NIGRA
Bersezio e Nigra erano compagni di studi all’Università di Torino, Facoltà di Giurisprudenza negli anni dal 1844 al 1849. (tratto dal libro di Roberto Favero: “Io Costantino Nigra”)
“Eravamo un gruppo ristretto di amici di corso, votati allo studio ed al divertimento, ma tutti fortemente convinti che si doveva fare l’Italia, a costo di sacrifici, anche di sangue. Gli echi della Giovane Italia, che Giuseppe Mazzini aveva fondato nel lontano 1831, con il fine di rendere l’Italia unita, indipendente, libera e repubblicana, erano giunti sino a noi alimentando il nostro entusiasmo giovanile.
I miei amici spesso davano di me una descrizione che andava oltre la mia modesta realtà e Vittorio Bersezio nel suo libro – I miei tempi -, così mi descriverà:
Alto, spigliato, sottile, la camminata generalmente diritta, a capo levato; con una ricca chioma bionda, inanellata in giro, cadente fin sul bavero del soprabito; gli occhi d’un grigio azzurrognolo che brillavano di vita, di allegria, di pensiero; con quei baffi biondi che dovevano dare al mio volto tanta seria venustà di cavaliere. Aveva qualche cosa di femmineo nella composta gentilezza delle mosse, nella voluta graziosità del contegno, nell’abituale cortesia della parola, nella temperata dolcezza della voce; ma sotto quella morbidezza vellutata si ammetteva che c’era pure una volontà di ferro, la cui forza metteva talvolta dei riflessi di lama d’acciaio nello sguardo delle sue pupille chiare, e faceva avvertire una saldezza di proposito nella severa calma d’una affermazione.
Il gruppo dei miei compagni era molto affiatato. Erano ragazzi in gamba; tutti di ottima famiglia e con caratteristiche intellettuali superiori alla media: Vittorio Bersezio aveva spiccate doti per il giornalismo ed il teatro; Andrea Gastaldi era un tipo di maschia bellezza che sognava anche lui, non la toga di avvocato, bensì disegni e colori, matite e pennelli; Francesco d’Arcais aveva un’indole da artista consumato.
In quegli anni a Torino si aveva l’impressione di vivere una nuova vita; lontani i tempi delle repressioni severe contro i carbonari, dei timori di congiure ed uccisioni. Anche nella politica estera Carlo Alberto, dopo alcune amare delusioni legittimiste, era portato a seguire interessi economici, più che sentimenti di simpatia verso altre case regnanti. Nel ’43 cominciarono ad aleggiare i venti dell’unità d’Italia con le pubblicazioni di Gioberti1, del Pellico2, di Cesare Balbo3, ed il Re se ne compiacque, pur badando di non compromettere il Governo di Torino nei rapporti con l’Austria. Il Re viveva in mezzo all’affetto dei torinesi, che sognavano la libertà dall’oppressore austriaco.
Nel 1844 la nascita del primogenito di Vittorio Emanuele Duca di Savoia, Umberto, provocò grande entusiasmo nella popolazione che si unì ancora di più al Re e lo osannò tanto da creare un avvicinamento tra nobiltà e borghesia. Vi fu un fervore negli studi, sorsero nuove scuole, nacque l’istruzione femminile, si aprirono corsi di meccanica, furono riordinate Magistratura e altre Discipline Universitarie; Torino, a poco a poco, prendeva coscienza di sé e diventava una polveriera pronta ad esplodere.
Anche l’Italia era in un momento eccezionale; le riforme di Pio IX trovavano il Piemonte preparato e, alle prime iniziative di quel Papa inizialmente liberale, l’idea di libertà, sino ad allora soffocata, divampava subitanea, rispondendo esercito e popolo con vigore al richiamo di Carlo Alberto. L’entusiasmo era nell’aria e tutti si armavano; la lettura de Il Primato di Vincenzo Gioberti, uomo di patriottismo e di fede, inculcava in tutti l’ euforia dell’anelito verso una nazione unita.
Nei salotti di Torino non si parlava che dell’Unità d’Italia. Quello più frequentato dai giovani era il salotto della Marchesa Doria4 di Ciriè, nota come la pomposa o la grande marquise (la grande marchesa), amabilissima creatura dalla capigliatura meravigliosa e dalla carnagione rosea. Altri salotti più frequentati dagli ufficiali della Guardia del Re o di altri scelti Reggimenti, dove si era sicuri di incontrare alcune delle più belle donne di Torino, erano quelli della vezzosa Contessa di Tornengo o della Contessa De Sonnaz, bellissima francese, moglie dell’illustre Capitano di Cavalleria Luigi Maurizio De Sonnaz, o ancora della Contessa di Robilant, della Marchesa d’Arvillars, donna d’ingegno nonchè perfetto tipo di gran dama antica, o infine della Marchesa Ippolita D’Adda, meravigliosamente bella e ricca. In quest’ultima dimora i nobili si riunivano dopo teatro e facevano ore tardissime, con cene allegre, abbondanti libagioni e divertimento.
1 Vincenzo Gioberti(1801-1852), sacerdote filosofo e uomo politico, autore de Il primato morale e civile degli Italiani, opera che fu l’espressione più notevole della sua adesione al principio monarchico e che destò all’epoca grande entusiasmo patriottico.
2 Silvio Pellico(1789-1854), patriota e scrittore, arrestato come cospiratore e incarcerato nella fortezza dello Spielberg per 15 anni, scrive Le mie prigioni opera che ebbe enorme successo di lettori in Italia ed all’estero.
3 Cesare Balbo(1789-1853), uomo politico, storico e letterato. Fondò l’Accademia dei Concordi ove, coltivando gli studi, si sviluppava l’amor di patria. Fu consigliere di Carlo Alberto e studioso di Dante di cui pubblicò La Vita. Fu Presidente del primo Ministero Costituzionale del Regno di Sardegna.
4 Teresa Durazzo, sposa del marchese Giorgio Doria, donna di vasta cultura e di sentimenti liberali che ebbe un importante ruolo nel diffondere la cultura e nel mantenere vivi i sentimenti di patria e di libertà.
LA RASSEGNA DI NOVARA di Costantino Nigra
Lo stesso amore e premurosità verso la sua famiglia Costantino Nigra li ebbe sempre anche verso la sua Patria per la quale sacrificò la sua aspirazione di dedicarsi agli studi letterari, dando tutto se stesso ad un’impresa straordinaria, difficilissima, delicata e faticosa, per la quale si dimostrò l’ideale interprete ed il più fedele sostenitore sino al suo compimento.
Una fedeltà assoluta, convinta, che lo legò agli ideali del Risorgimento, alla Casa Savoia, all’Impero di Francia alleato forte e potente, facendogli rispettare gli avversari ma senza mai fargli dimenticare le promesse e gli impegni assunti, anche quelli difficili dei preliminari di matrimonio di Clotilde di Savoia con Gerolamo Napoleone, della pace di Villafranca che interrompe i piani di Cavour per l’Unificazione, della Luogotenenza di Napoli col principe Eugenio di Carignano, della cessione di Nizza e Savoia, delle alleanze in Europa e della posizione dell’Italia nel contesto della caduta dell’Impero di Francia, che spesso erano atti di dolore profondo.
In quei frangenti la sua nobiltà di Cavaliere (questo era il suo appellativo di corte) lo portò anche ad esporre la sua personale incolumità quando si trattò di proteggere l’Imperatrice Eugenia in fuga da Parigi in mezzo ai rivoluzionari nel 1870.
Era il suo stile: un’innata gentilezza unita ad un genuino altruismo lo avevano accompagnato per tutta la vita, facendolo apprezzare dai Nobili e dagli umili, facendogli compiere atti di patriottica generosità, come quella di donare i diritti del Carme “La Rassegna di Novara” al Comitato per l’Ossario dei caduti di Solferino e San Martino della 1° Guerra d’Indipendenza (al fine di ricavarne fondi per abbellirlo), e di sensibile attenzione quando inviava a parenti, compaesani, amici, preziosi doni in tutte le occasioni meritevoli di ricordo e simpatia.
Alla base di tutto una semplicità d’animo tipica dei canavesani veraci, per i quali non è importante essere sugli scudi ma l’aver fatto qualcosa di utile per gli altri, per la comunità, per la nazione, per il piacere di contribuire al successo comune senza necessariamente volersene vantare o volerne ricavare dei vantaggi personali.
Nigra scrisse tre importanti carmi in versi sciolti che gli diedero, ai suoi tempi, autentica fama.
In essi vi è la prima poesia veramente impegnativa del Nigra.
“Per le nozze di Alessandrina d’Azeglio con il marchese Matteo Ricci” del 1852, di raffinata eleganza e di gusto sicuro, lodata anche dal Manzoni, nonno della sposa, che dichiarò al D’Azeglio: “fra gli ufficiali del suo Ministero uno ve n’è il quale sa scrivere versi siffatti, che da un pezzo non ne ho letto di eguali”.
Si tratta di 142 endecasillabi sciolti di squisita fattura in cui i critici, ma anche un attento lettore, hanno visto accenti del Monti, del Parini e del Foscolo, autori certamente ben presenti alla mente del Nigra.
Vi è contenuto un brano che è forse il più bell’elogio che mai sia stato scritto per il Canavese in poesia. Il carme fu distribuito a pochi intimi, ma ebbe un tale successo che se ne dovettero stampare molte copie in più e fu pubblicato poi sulla Rivista Il Baretti.
L’”Ode in morte di Silvio Pellico”, celebra con affetto fraterno una nobile figura del nostro Risorgimento, che pagò con dieci anni di detenzione, di cui otto di carcere duro nella fortezza dello Spielberg, il suo amore per l’Italia e la sua avversione per l’Austria. In seguito a questa durissima prova, a infelici vicende familiari ed anche a causa della salute malferma, il Pellico si era sempre più defilato dalla lotta attiva e si era via via rinchiuso in una intensa religiosità, suscitando prima il risentimento e poi l’oblio dei più attivi combattenti.
Il Nigra, non dimentico dei suoi meriti, ne mette in risalto le grandi virtù e lo ricorda con sincera commozione. In visita allo Spielberg quando era Ambasciatore a Vienna, lascerà nel registro dei visitatori gli ultimi versi del carme, forse i più belli e sentiti.
Ma il più importante dei tre, quello che immediatamente e per molti anni diede fama al Nigra, è “La Rassegna di Novara”, scritta con l’animo sincero di grande patriota, ed in cui vengono esaltate la gloria dei soldati piemontesi e quella del loro sfortunato Re, Carlo Alberto.
E’ una visione epica, che ancora oggi ci procura viva emozione e slancio patriottico, anche se talora, come abbiamo già accennato, il messaggio politico può travalicare la poesia, ma mai fino al punto di renderla sgradevole o sciatta.
Nigra, da buon romantico quale era, aveva certo presenti “I canti di Ossian” e tutta la poesia sepolcrale dell’epoca, oltre ai poeti di cui abbiamo detto innanzi.
Qui il suo endecasillabo raggiunge il massimo della perfezione e trova pochi eguali (se si escludono i grandissimi) nella poesia dell’ottocento, pur se gli mancano gli empiti del lirismo carducciano di “Piemonte” o de “I Sepolcri ” del Foscolo, e se nell’elencare i vari reparti di soldati che sfilano, davanti al Re Carlo Alberto per rendere onore al valoroso sconfitto di Novara, vi è certo un descrittivismo un po’ monotono ma poeticamente impeccabile.

 

NIGRA DIPLOMATICO, FILOLOGO, POETA

PREMIO COSTANTINO NIGRA

11 GIUGNO 2016 PROLUSIONE ALLA PREMIAZIONE

Costantino Nigra: Diplomatico, Filologo, Poeta, figura di eccellenza nel panorama della storia e della cultura italiana di Roberto Favero

Costantino Nigra: chi era costui? Così mi verrebbe da esordire, parafrasando le parole in bocca al Don Abbondio dei Promessi Sposi di Manzoni; ma Nigra certamente un carneade non era!

E' stata invece una personalità straordinaria che, dall'alto delle Prealpi canavesane scese nel 1845, giovane studente universitario, nella Capitale del Regno di Sardegna; incantò, con le brillanti doti di cui la natura lo aveva dotato, i Grandi della politica di allora (Massimo D'Azeglio1 e Camillo Cavour2 in particolare), per diventare, forte della sua cultura classica, un indiscusso protagonista del processo risorgimentale del nostro Paese.

E' un racconto certamente unico, mai però incluso nelle pagine della storia d'Italia che lo ha sempre relegato nel ruolo di modesto segretario del Conte di Cavour, anche se già soltanto questa prerogativa poteva, vista la statura intellettuale del Grande statista piemontese, farne intuire il vero valore. Ma nessuno storico ha mai voluto approfondirne le conoscenze, forse anche per il fatto che la personalità del Nigra non si limita agli aspetti della politica e della diplomazia ma travalica molte frontiere culturali tra cui le più importanti sono quelle della filologia e della poesia.

Scrive di lui il grande giornalista Galante Garrone3 per commemorane il 50° anniversario della morte sulla prima pagina del quotidiano La Stampa di Torino, nel 1957, ricordandone la straordinaria carriera:

"Costantino Nigra sembrava destinato ad essere un buon letterato ed un grigio funzionario ma Cavour lo «scoprì », gli affidò la grave responsabilità di trattare tutti i problemi del Risorgimento con la Corte di Francia. Fu quella la sua grande stagione, anche se più tardi rappresentò il nuovo Regno nelle maggiori capitali d'Europa. In politica e nella vita privata fu «alto e diritto », come dice il motto del suo stemma di conte, concessogli dal Re Umberto I nel 1882 per i suoi meriti. Cavour lo portò con sé al Congresso di Parigi del 1856, e poi ne fece il suo portavoce segreto alle Tuileries, affidandogli missioni straordinarie che scavalcavano la diplomazia ufficiale e lo portavano a diretto contatto di Napoleone III. Il trattato dopo Plombières, la preparazione della guerra, le annessioni, la cessione di Nizza e della Savoia, la liberazione del Mezzogiorno : questi gli immensi problemi che Nigra dovette affrontare, a tu per tu con l'Imperatore. C'era di che

 1 Massimo Taparelli marchese d'Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 –Torino, 15 gennaio 1866) è stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano. Primo Ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852. Autore della celebre "Disfida di Barletta" e altre pubblicazioni storiche.

  • Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella, noto semplicemente come conte di Cavour o Cavour

(Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861), è stato un politico e imprenditore italiano. Fu Ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, capo del Governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Nello stesso 1861, con la proclamazione del Regno d'Italia, divenne il primo Presidente del Consiglio dei Ministri del nuovo Stato, e morì ricoprendo tale carica.

  • Alessandro Galante Garrone (Vercelli, 1º ottobre 1909 – Torino, 30 ottobre 2003) è stato uno storico, scrittore e magistrato italiano, militante

antifascista durante il Ventennio e combattente della Resistenza italiana. È' considerato uno dei padri fondatori della Repubblica Italiana.

tremare, ad addossare tanta responsabilità sulle spalle d'un improvvisato diplomatico trentenne, e, da parte di quest'ultimo, ad accettarla. Ma né Cavour né Nigra tremarono. Bisogna dire che il giovane canavesano seppe cavarsela a meraviglia. Seppe conquistarsi la fiducia di Napoleone III, intenderne i riposti pensieri, e, quel che più conta, impedirne gli scarti e gli improvvisi abbandoni, tenendolo in carreggiata.

Diceva Nigra: «Così è fatto l'Imperatore. Bisogna pigliarlo come è, e costringerlo coi fatti a non deviare o a rientrare nella nostra via». Un compito difficilissimo che assolse con tenacia tutta piemontese. Così, d'un tratto, l'oscuro impiegato divenne protagonista di storia, e di quale storia! Si distinse per l'acutezza dell'ingegno, l' equilibrio, la cultura, la signorilità del conversare, la devozione cavalleresca agli affetti e agli ideali di gioventù, la lealtà a tutta prova; quell' intemerata lealtà ch'egli aveva cantato poeticamente un giorno come caratteristica della sua terra canavesana".

Ma quanti gli elogi e gli apprezzamenti ricevuti nella sua lunga carriera, ampiamente documentati, ma impossibili da riportare tanto l'elenco è lungo; mi limiterò a citarne soltanto quello che fu scritto da un politico francese, Emile Ollivier4, Primo Ministro di Francia nel 1870 e uomo di grande cultura, in un articolo di giornale che giudica Nigra come diplomatico: "Nigra riuniva ad una grazia e flessibilità seducente la più chiara fermezza di spirito. Quando si negoziava con lui, in un primo momento si sarebbe potuto credere che egli avrebbe ceduto su tutto, tanto sembrava preoccupato di non ferire alcuno; ma quando si giungeva al punto decisivo della discussione, d’un tratto la sua figura diventava grave, i suoi occhi fissavano con una penetrazione ferma e là dove voi avevate sperato di trovare una debolezza incontravate una irriducibilità".

Nigra era nato alla Scuola di Cavour, una scuola rigorosa e pragmatica in cui si insegnava prima di tutto l'assoluta riservatezza e la correttezza di comportamento che non dovevano, in maniera assoluta, mettere a repentaglio le sorti del proprio Paese e in cui gli interessi dello Stato dovevano essere, in ogni situazione, sempre al di sopra di qualsiasi interesse personale.

Esiste a questo riguardo un curioso aneddoto che voglio raccontare. Nella fasi cruciali delle trattative per l'alleanza tra Impero di Francia e Regno di Sardegna, condotte dal Nigra con Napoleone III in missione segreta, la bella presenza del giovane Ministro (già all'età di 30 anni Cavour gli aveva conferito questo importante incarico) aveva fatto breccia sull'Imperatrice Eugenia e Nigra segnala il fatto a Cavour, preoccupandosi di non fare alcun passo falso che potesse compromettere le relazioni diplomatiche in corso. Ma Cavour, non appena viene informato dal Nigra sulla questione, gli scrive:

  • Émile Ollivier (Marsiglia, 2 luglio 1825 – Saint-Gervais-les-Bains, 20 agosto 1913) è stato un politico, storico e scrittore È stato il Primo Ministro della Francia dal 2 gennaio al 9 agosto 1870.

"La Vostra conversazione con l’Imperatrice mi ha colpito. Evidentemente vi vuole sedurre. Lasciatela fare. Non siate troppo – Giuseppe -. Alla lunga la sua influenza potrà esserci utile. Non dobbiamo trascurare nulla per far si che ci sia favorevole. Ripetetele che noi italiani la troviamo affascinante. A questo riguardo mi pare che non abbiate bisogno di lezioni, ma che sapete bene come comportarvi alla Richelieu o alla Metternich".

Un diplomatico corretto e zelante, ma anche intelligente e preparato. Tutti i Grandi Regnanti d'Europa lo convocavano per consultazioni prima di prendere decisioni cruciali o per chiarire episodi e situazioni di contrasto.

Del grande conflitto tra Francia e Germania del 1870 il conte Nigra raccontava, quasi come antefatto, un colloquio avuto molto tempo prima della guerra col Re di Prussia Guglielmo I.

Il conte si recava in Germania, nel 1869, per vedervi il figlio che vi era in educazione. Fermatosi a Baden-Baden, e saputo che il Re di Prussia si trovava in quella famosa stazione balneare per fare la sua cura consueta, si fece un dovere di portargli le sue carte. Poco dopo un aiutante di campo del Re, recatosi all’albergo, lo avvertiva che S.M. desiderava vederlo e lo attendeva a pranzo. Molto lusingato da quest’attenzione, Nigra si recò all’ora fissata alla modesta palazzina in cui abitava il futuro Imperatore di Germania. Questi, che era assai buono e gentile, lo colmò di amabilità, e dopo il pranzo lo invitò a seguirlo nel suo studio. Narrava Nigra che, entrato appena nel salotto, senza neppure sedersi, Guglielmo a bruciapelo e con voce concitata gli disse: “Eh! pourquoi donc l’Empereur veut-il me faire la guerre?” "E perché dunque l'Imperatore vuol farmi la guerra?"

La domanda, fatta così all’improvviso, aveva evidentemente lo scopo di sorprendere nella espressione della fisionomia il pensiero dell’amico di Napoleone III. Ma questi era veramente convinto che l’Imperatore era contrario alla guerra; per cui si adoperò a calmarlo. E ammettendo che vi era in Francia qualche elemento che spingeva in quel senso, lo assicurò che i sentimenti di Napoleone verso il Monarca e la nazione prussiana erano ben diversi da quelli che gli venivano attribuiti.

Il colloquio durò a lungo, ed il Re parve un po’ sollevato dai suoi dubbi; quindi congedandolo lo incaricò di portare i suoi saluti all’Imperatore. Infatti, personalmente, né il Re Guglielmo né l’Imperatore erano propensi alla guerra. Quest’ultimo sentiva bensì di dover riacquistare terreno, non possedendo più come prima il cuore dei francesi. Ma poiché vi poteva riuscire per due vie, o la guerra o le riforme interne, quantunque la guerra gli permettesse di continuare il governo personale, egli preferì la seconda; e così apparve l’Impero liberale, che è l’ultimo atto del dramma napoleonico.

Nel 1876 Costantino Nigra, a causa della caduta del Governo della - Destra Storica - e l'avvento della - Sinistra Storica -, viene trasferito da Parigi, ove era Ministro residente sin dal 1860, a San Pietroburgo capitale dell'Impero russo, come 1° Ambasciatore d'Italia in Russia.

Il viaggio, a quei tempi, era lungo e Nigra ne approfittò per fermarsi qualche giorno a Ems, località della Baviera allora di moda per le cure termali; una località che ricordava i fatti che avevano scatenato la disputa tra Francia e Prussia in occasione della guerra del 1870. Nigra ricordava bene le vicende di allora e sapeva raccontarle con una sintesi di pensiero unica; la disputa era partita sulla base di un dispaccio, forse vero forse falso, inviato da Ems, che dichiarava che il Principe di Hohenzollern (località della Germania) aveva accettato il Trono di Spagna, ambìto dalla Francia.

Il giornalista Livio Minguzzi del Corriere di Milano aveva chiesto al Nigra, in un'intervista di molti anni dopo, se quella gran guerra era veramente da amputarsi al cancelliere Bismarck ed alla falsificazione del dispaccio di Ems.

Ma il principe di Bismarck, rispose Nigra, non ha falsificato il dispaccio; ha la responsabilità soltanto d’averlo pubblicato.” “Ma chi l’ha voluta questa guerra? gli chiese Minguzzi. Tutti e nessuno al tempo stesso. Nella stampa, nel governo, nell’ambiente insomma, tutto cospirava a ridestare le velleità guerresche de - l’àme gauloise-. Basta a comprenderlo anche un particolare come questo, dettomi parimenti da Nigra. Il canto nazionale del secondo Impero era "l’Hymne de la Reine Hortensie", quello "Partant pour la Syrie", e la "Marsigliese" erano vietati. Ma nel 1870 la polizia lasciava fare, e nei cabaret, negli estaminet di Parigi, non si faceva che cantare e suonare l’inno guerresco incendiario di Rouget de LisleMa nei famosi rapporti dell’attaché militare a Berlino, il colonnello Stoffel, non avevano informato il governo imperiale francese della formidabile preparazione della Prussia?” “Questi rapporti, mi disse Nigra, avevano la sorte di tanti altri; non si leggevano nemmeno. Il maresciallo Niel, Ministro della guerra, continuò sempre a dire che gli era indifferente la pace o la guerra, perché tutto era già pronto. E col generale Leboeuf, che gli succedette nel 1869, fu peggio ancora, perché, chiamato dall’Imperatore, gli dichiarò che all’esercito non mancava nemmeno un bottone“.

Il povero Imperatore, diceva Nigra, andò alla guerra sofferente ed ammalato; a Sédan fece alzare bandiera bianca per risparmiare pietosamente un’inutile ecatombe d’uomini; fissò bene la propria condizione, perché, considerandosi come militare rimasto prigioniero, si rifiutò ai negoziati cui lo voleva indurre Bismarck per lasciare libero il governo di Parigi di trattare come meglio poteva per l’interesse della Francia; e partì povero, mi assicurava Nigra, perché non aveva voluto provvedere affatto ai casi suoi”.

E sulla famosa scena della consegna della spada fatta da Napoleone III nelle mani del Re di Prussia Guglielmo I, Nigra aggiunse questo aneddoto. Quando, di ritorno dall’Ambasciata di Pietroburgo, Nigra passò da Berlino e andò a presentare gli ossequi a Guglielmo I, questi come al solito, lo invitò a pranzo. E dopo il pranzo gli narrò la scena del suo incontro con Napoleone III sulla spianata di Sédan. Il Re ricordò quando, nel 1861, aveva visitato Napoleone III a Compiègne e le feste di quella visita rimasta celebre nella Corte, e poi un’altra visita, quando i rapporti dei due Governi cominciavano già a divenire tesi, alle Tuileries, negli splendori della Esposizione del 1867; e confrontando quei ricordi di grandezza con la

5 Claude Joseph Rouget de Lisle compositore della Marsigliese.

scena di Sédan, gli disse della grande pena che aveva provato quando lo stesso Napoleone III, vinto, curvo, affranto, gli aveva remis son epée, consegnato la spada. “Oh! Je le crois bien, Majesté, gli rispose l’Ambasciatore Nigra, pourtant Votre Majesté ne la lui a pas laissée!”, " Lo credo bene, Maestà, era affranto perchè Voi non gliel'avete lasciata!"

Nella sua Storia della politica estera italiana, Federico Chabod6 traccia un rapido ma gustoso ritratto del « bellissimo Nigra »: “... alto, biondo, elegante, Nigra dai grandi occhi scintillanti, seduttore sottile e fortunato di cuori femminili, capace di rivestire anche la politica di leggiadria mondana; il Nigra, già circondato da un alone in cui leggenda e storia si frammischiano, e oggetto, come nessun altro fra i diplomatici, di simpatie e di antipatie, di alti riconoscimenti e di critiche aspre, il Nigra era, originariamente, di animo e di intelligenza, come uomo e come poeta, un romantico; nel mondo romantico era rimasto come araldo diplomatico del principio di nazionalità, incarnando bene una generazione che non aveva più la mentalità raziocinante e matematica del ’700, e non ancora la mentalità positivistica della fine dell’800. Lo stesso abbandonarsi alla fievole ma decorosa vena poetica, la sincerità e la ricchezza degli interessi culturali, il culto amoroso delle tradizioni popolari, erano tutti elementi che legarono il Nigra all’età romantica “.

Ed ancora lo Chabod: “L’uomo fu col tempo sempre meno incline ad agire nel campo politico, e sempre più spinto a rifugiarsi nella poesia e nello studio, nelle Reliquie celtiche e nei Canti popolari del Piemonte”.

Si potrebbe continuare ancora a lungo ricordando il grande diplomatico nelle sue mille missioni segrete a Parigi, San Pietroburgo, Londra e Vienna, le sue sedi di Ambasciata dove la sua figura era sempre al centro delle attenzioni maschili e femminili. Ma Nigra è famoso anche per altri meriti culturali ed il primo di questi riguarda il folklore popolare, quelle tradizioni che un tempo passavano di bocca in bocca da genitori a figli, da nonni a nipoti, da contadini anziani a giovani leve.

Così scrive della sua opera prima, "I Canti popolari del Piemonte", Giuseppe Cocchiara, già primo docente di storia delle tradizioni popolari e Antropologia sociale all'Università di Palermo, di etnologia e folklore, e grande esperto della materia: "Editi nel 1888 essi sono il frutto di un’opera vigile e coscienziosa iniziata fin dal 1800, nell’epoca, cioé, in cui il Nigra cominciò a pubblicare su alcune riviste italiane e straniere – « Il Cimento », «La Rivista Contemporanea», «Romania» ecc. – una serie di canzoni popolari che non solo rivelarono un nuovo filone della poesia

Federico Chabod (Aosta, 23 febbraio 1901 – Roma, 14 luglio 1960) è stato uno storico, alpinista e politico italiano, patrocinatore della causa Autore de la " Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896".

popolare italiana, ma impegnarono il raccoglitore a delineare una nuova metodologia nella raccolta del materiale.

I Canti popolari del Piemonte, nei quali il Nigra utilizzò i materiali già raccolti e rielaborò i risultati cui era giunto, non sono infatti soltanto un’opera di filologia, ma un saggio di storia della poesia popolare, o meglio, un quadro storico-filologico non certo privo di ombre, ma ricco di scorci che continuano a conferire, all’insieme, vita e calore. Si può anzi affermare che i Canti popolari del Piemonte, con la relativa problematica che li anima, sono stati e restano tuttora il banco di prova dei maggiori folkloristi italiani ai quali il Nigra ha aperto una nuova provincia del sapere".

Dal 1855 al 1888 i Canti popolari del Piemonte occuparono quasi tutte le ore del Nigra da lui non dedicate alla politica, ore che rappresentavano per lui un’oasi di serenità e di raccoglimento ed un appiglio per tenersi legato alla terra natale. Egli mantenne infatti una viva corrispondenza con i suoi informatori piemontesi; conobbe i maggiori folkloristi italiani – Pitrè, D’Ancona, Rubieri, Graf, Rajna, Comparetti, Novati ed altri ancora – favorito dalla sua fama in campo diplomatico, accostò i maggiori folkloristi europei, francesi, austriaci, inglesi, tedeschi, svedesi, russi, ecc. Dal Paris al Child, non vi fu infatti folklorista straniero che egli non conoscesse e con il quale non fosse in corrispondenza. Si dice, anzi, che sia stato il Paris7 ad incitarlo a scrivere (1867) quello studio sulla Poesia popolare italiana che, pubblicato dapprima su «Romania», la rivista diretta appunto dal Paris, uscì poi rielaborato come discorso preliminare nei Canti popolari del Piemonte.

In sostanza il Nigra pose nello studio della poesia popolare lo stesso impegno, lo stesso stile, la stessa misura che aveva adottato in diplomazia e come il diplomatico piemontese si fece veramente italiano attraverso le esperienze europee, così il folklorista canavesano si fece studioso europeo sprovincializzando decisamente gli studi della poesia popolare. Nel Nigra fu quanto mai feconda, almeno all’inizio della sua carriera di folklorista, quella carica emotiva che faceva vedere nella poesia popolare – insegna il Tommaseo8 – una fonte fresca e pura da salvare come un patrimonio prezioso e di ciò fa fede il punto della prefazione ai Canti popolari del Piemonte in cui egli dichiara commosso: «Ai superstiti professo qui sincera riconoscenza; dei morti conservo memoria e rimpianto; a tutti cedo la miglior parte del merito d’aver salvato dall’oblio queste reliquie poetiche del nostro vecchio Piemonte».

Quali sono, dunque, queste vecchie reliquie? La maggior parte della poesia popolare, fino allora da noi raccolta e catalogata, era quella degli strambotti, dei rispetti e degli stornelli. Il Nigra si dedica invece ad un nuovo tipo: la canzone epico-lirica, o meglio la canzone epico-lirica quale era fiorita in Piemonte, e come si era irradiata nelle altre province dell’Alta Italia. Non si trattava però, ed ecco il punto che è stato poi

 Bruno Paulin Gaston Paris (Avenay, 9 agosto 1839 – Cannes, 5 marzo 1903) è stato un filologo e medievista

Allievo di Friedrich Diez, si può dire che sia stato lui ad avviare la moderna ricerca storico-filologica, così come il suo maestro aveva avviato quella linguistica. Venne candidato al Premio Nobel per la letteratura nel 1901, 1902 e 1903.

8 Niccolò Tommaseo (Sebenico, 9 ottobre 1802 – Firenze, 1º maggio 1874), è stato un linguista, scrittore e patriota italiano. Al suo nome sono legati 

il Dizionario della Lingua Italiana, il Dizionario dei Sinonimi e il romanzoFede e bellezza. oggetto di malintesi o di confusioni, d’una poesia narrativa, bensì d’una sua particolare forma. In proposito il Carrer9 aveva fin dal 1838 già osservato:

“A chi non é toccato sentire quel volgare lamento di Rosettina? E con più lugubre fantasia quanto non è vivamente ritratta la colpa e il rimorso di Donna Lombarda, della fiera moglie che, istigata dal malvagio compagno, avvelena il marito come egli ritorna a casa e le domanda da bere?”.

In verità non erano mancati i raccoglitori che della canzone di Rosettina ci avevano dato dei versi oppure una intera redazione e la stessa Donna Lombarda era stata pubblicata nel 1855 in una lezione del Monferrato a cura di Oreste Marcoaldi, ma nessuno aveva ancora cercato di individuare quel tipo di canto epico-lirico cui esse si riferiscono. Questo fu precisamente il compito del Nigra, il quale, per quanto affermi di non volere esaminare il valore estetico di quei componimenti, non trascura di esprimere sovente il suo giudizio. Così, ad esempio, scrive: «Per la tragica altezza dell’argomento e per l’efficacia con cui questo è svolto, la canzone di Donna Lombarda può sostenere il paragone coi più lodati modelli della poesia popolare d’ogni paese».

Ciò che, in sostanza, conferma il valore di reliquie poetiche da lui riconosciuto a questo genere di canti. Se poi leggiamo le altre canzoni raccolte dal Nigra e che in genere si basano su casi romanzeschi e leggendari, vediamo ripetersi molto sovente le stesse situazioni. La morte domina incontrastata come se fosse una delle maggiori protagoniste e con la morte é, spesso legato ad essa, l’amore nelle sue forme più patologiche. Mogli che uccidono il marito. Mariti giustizieri. Amanti avvelenati. Infanticide condannate dal proprio padre.

Dice giustamente il Pasolini: “L’apparire dell’amore è sempre [in queste canzoni] una circostanza dolorosa, per tragedia, quasi una malattia il cui pathos abbia poi un decorso virile nell’uomo, – anche quando questi ne muoia, – ma di un virilismo del tutto inconscio, patito, come se l’appartenere al sesso maschile fosse già di per se una predestinazione, un male: fenomenologia identica, mutato genere, per la donna, nella sua accezione verginale, nella sua vocazione alla colpa come a una specie di martirio”.

Avvicinandoci a tempi più moderni c’è poi il martirio dei soldati che ritornano per ritrovare le mogli infedeli, mentre non mancano uccelli messaggeri, rondini inopportune, fiori che crescono sulle tombe degli amanti e cosi via.

Si dirà: c’è in queste canzoni qualcosa che ricorda il romanzo d’appendice, il romanzo a fumetti, ma se le osserviamo in profondità, noteremo che il canto epico- lirico, con il suo andamento breve, semplice, di effetto immediato, ma a volte d’una rara efficacia drammatica, nonostante ogni deformazione, ci riporta quasi sempre nell’atmosfera mitica o fiabesca, donde quel continuo ricorrere di Re e di Regine, che poteva anche coincidere col lealismo monarchico del vecchio Piemonte, ma che si svolse in una sua tipica cornice, quale è appunto quella della favola.

9 Luigi Carrer (Venezia, 12 febbraio 1801 – Venezia, 23 dicembre 1850) è stato un giornalista, scrittore, poeta ed editore italiano.

10 Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, drammaturgo e

giornalista italiano.

Ricorda, in proposito, il D’Ancona: “AI signor Smith che domandava a una ripetitrice di canti popolari perché mettesse le Roi Louis anche ove doveva starci il nome del caro amante, essa rispondeva: Nous avons l’abitude de mettre les Rois dans les chansons: ça les rend plus brillantes”.

E sempre il D’Ancona aggiunge: “La poveretta non sapeva né poteva dar miglior risposta. Ma la ragion vera è che questo genere di poesia é un avanzo dell’età cavalleresca. I signori prendono nel mondo della fantasia popolare una parte corrispondente a quella che usurpano sul popolo nel mondo reale. Come nelle fiabe delle nutrici c’entra sempre il Re e la Regina e il figlio del Re, così in queste poesie, eco del passato, i personaggi sono o diventano quasi tutti Principi o Baroni. Né in quelle né in queste si ha alcun riflesso della vita plebea e comune. La fantasia del popolo par compiacersi di rispecchiare la splendida vita dei potenti del secolo: le miserie della vita quotidiana e volgare non sembrano, al popolo, degno soggetto di poetica celebrazione”.

Si potrebbe obiettare che la vita dei potenti è tutt’altra da quella che appare nei canti epico-lirici, ma si deve rilevare che questi canti finiscono sempre coll’epurare i fatti narrati, riducendoli a simboli e a segni, o meglio ancora a immagini. E’ questa la ragione per cui componimenti come Donna Lombarda sono cantati anche dalle madri presso le culle dei loro bambini. Inoltre e per quanto i canti epico-lirici non sempre siano stati ritenuti reliquie poetiche, quasi a rafforzare l’opinione del Nigra, il D’Ancona ebbe ad osservare che i Canti popolari del Piemonte formano un volume ricco di poesia spontaneamente robusta e gagliardamente leggiadra, che porta in se bene scolpita l’impronta della forte gente subalpina.

Un nostro glottologo, il Terracini, afferma invece decisamente: “Per solito l’arte di questi canti, è arte mancata. Poche di queste canzoni narrative sanno narrare: esse non esprimono un fatto, ma per lo più lo propongono o lo espongono analiticamente, punto per punto, senza mai dominarlo nella sua interezza”.

La verità, come sempre succede, è nel mezzo. Vi sono, infatti, fra i canti epico-lirici, dei componimenti tutt’altro che gagliardi e robusti, ma vi sono anche dei componimenti soffusi di poesia. D’una poesia semplice quanto si vuole, ma efficace e ricca di situazioni drammatiche. Il Terracini afferma che i canti epico-lirici non sanno narrare, ma qui è in errore. Essi narrano con un loro particolare andamento e se non esprimono un fatto ma lo propongono o se, esprimendolo, lo espongono analiticamente, qui, proprio qui, è il loro incanto e il loro fascino, perché non solo essi non accusano mai un riecheggiamento di poesia colta, ma si muovono nel clima di una loro particolare temperie. Le stesse frasi e formule tradizionali – come d’altronde avviene nelle fiabe – possono costituire un elemento negativo quando sono appiccicate esteriormente al canto, ma non lo sono quando diventano fonte essenziale della sua vita.

11 Alessandro D'Ancona (Pisa, 20 febbraio 1835 – Firenze, 8 novembre1914) è stato uno scrittore, critico letterario, politico e uno studioso delle tradizioni popolari italiane.

12 Benvenuto Aronne Terracini (Torino, 12 agosto 1886 – Torino, 30 aprile 1968) è stato un linguista, glottologo e critico letterario italiano.

E’ merito del Nigra l’aver salvato questo patrimonio la cui ricchezza è fatta della sua semplicità, ed è suo vanto l’avergli dedicato un volume che è un indispensabile strumento di lavoro e che, ancor oggi, sotto questo punto di vista, offre un notevole campo di studio. Basterebbe, infatti, scegliere i componimenti migliori dei Canti popolari del Piemonte per avere un’antologia poetica degna della massima considerazione.

Ma al Nigra non interessa tanto il valore poetico dei canti che ha raccolto, quanto la tradizione che li sostiene. Egli ha compreso che la poesia popolare non è soltanto un saggio poetico, ma anche un documento etnografico con una sua tradizione culturale. Nella poesia d’arte un testo é fine a se stesso, chiuso e definitivo; nella poesia popolare invece, esso, per vivere una sua vera vita, deve modificarsi continuamente, e dare origine ad altri testi. Di qui la necessità di raccogliere le varianti, ciascuna delle quali è un momento di quella vita.

Cosa né facile né semplice specialmente se riflettiamo a ciò che ne dice nella prefazione ai suoi Canti popolari del Piemonte: «Quando Io cominciai le mie prime pubblicazioni di canzoni popolari piemontesi (1854-60), gli studi sulla poesia popolare comparata o non esistevano o cominciavano appena»

Ben diverso invece il giudizio del Rubieri: “Il Nigra distinse le canzoni della sua raccolta in due serie, delle storiche e delle romanzesche, che rispondono con una logica esattezza ai due generi di poesia popolare effettivamente più comuni nel popolo subalpino, perche più confacenti alla seria e cavalleresca sua indole. Ad ogni canto aggiunse tutte le varianti delle diverse provincie e dei diversi dialetti e anche tutte le provenienze, affinità, imitazioni che possono rintracciarsi nella poesia popolare delle nazioni straniere. E infine corredò i canti di una fedele traduzione italiana e di tutte quelle note e avvertenze che possono meglio chiarire o illustrare il valore dei vocaboli e della pronunzia in ciascun dialetto”.

Cosicchè può dirsi che egli riunendo all’ufficio del raccoglitore quello di storico e di filologo facesse opera compiuta.

In sostanza anche per il Rubieri la raccolta delle varianti era puramente opera di ingegnosità. Sta di fatto, però, che la raccolta dei canti colle loro varie lezioni acquistò nel Nigra, a mano a mano che egli procedeva nel suo lavoro, una piena consapevolezza critica, che finì per trasformare la raccolta, fatta precedentemente su base quantitativa e sopra una sola lezione, in un accertamento comparativo nel quale ciascun canto viveva con tutte le sue varianti. E’ questa la ragione per cui, come ben osserva il Santoli, il passaggio dalla raccolta e dalla pubblicazione dei canti alla nuova maniera iniziata dal Nigra e in un certo senso paragonabile al passaggio dalla grammatica empirica o astratta o puristica alla linguistica comparata e storica.

Lo stesso Nigra, infatti, non intese che il suo compito dovesse limitarsi alla capacità e abilità tecnica del raccoglitore che risolve nella sistemazione delle varie lezioni i temi e la sostanza dei vari canti, egli volle trarre alcune conclusioni su quel particolare genere di poesia popolare che di più l’aveva interessato: l’epico-lirico.

13 Ermolao Rubieri (Prato, 21 febbraio 1818 – Firenze, 23 ottobre 1879) è stato un politico, scrittore, poeta e patriota italiano.

Per quanto oggi, alla luce delle più accurate ricerche, le sue comparazioni sembrino del tutto provvisorie e inadeguate, egli, per i suoi tempi, non poteva essere più esatto e più informato. Ma, in proposito, dobbiamo qui richiamarci alle conclusioni che egli seppe trarre dalle sue comparazioni che, in sostanza, delineavano la fenomenologia del canto epico-lirico.

Queste conclusioni si centrano su alcuni punti base che sono: la metrica e le forme linguistiche assunte, in Italia, dalla poesia popolare; la forma di questa poesia in rapporto al suo fondamento etnico; il dato etnico-razziale che, determinando la forma e perciò la natura e il carattere di un canto, consente anche di rintracciarne la genesi, lo sviluppo e la diffusione.

Nel suo saggio su La poesia popolare italiana il Nigra divide anzitutto la poesia popolare italiana in due zone: la media e inferiore, che ha un suo particolare genere di poesia, gli strambotti e gli stornelli; la settentrionale che possiede un altro genere di poesia, il canto epico-lirico. Questa fenomenologia, diciamo così esteriore, della poesia popolare non è dovuta al caso, ma risponde, secondo il Nigra, al substrato delle due zone: romanzo quello della prima, celtico o meglio celtico-romanzo quello della seconda. Il Nigra, insomma, è dell’avviso che «il fondo lessicale e le forme grammaticali dei dialetti dell’Italia superiore e dei dialetti dell’Italia inferiore procedono sostanzialmente dalla lingua latina, e hanno quindi una base sostanzialmente identica».

Ma nei due rami dialettali della penisola, egli osserva, se «la parte lessicale e la grammaticale sono sostanzialmente identiche, la parte fonologica e la sintassi offrono invece notevoli differenze». Orbene, la ragione della diversità deve cercarsi, sempre secondo il Nigra, nella stessa diversità delle razze che prevalsero nelle due parti della penisola. Di qui l’identità, che il canto epico-lirico del Piemonte ha con gli altri canti dello stesso tipo che si trovano diffusi nelle zone europee a substrato celtico. In altri termini, il Nigra è dell’avviso che un canto nasce e si irradia nei popoli che hanno lo stesso substrato. Non nega che un determinato motivo popolare possa essere comune a popoli di razza diversa, di diversa tradizione ecc., ma, a suo avviso, non è il motivo che crea l’opus novum (un nuovo lavoro ndr), bensì l’abito con il quale quel motivo si riveste.

Nella poesia popolare, – egli perciò sostiene –, come in ogni altra manifestazione dell’arte, la forma fa parte, e parte principale, della cosa stessa. Ove fosse lecito il ravvicinare cose cosi disparate, si potrebbe quì giustamente applicare l’assioma del diritto romano: forma dat esse rei (la forma dà essa stessa il contenuto ndr).

Da questa arditissima ricostruzione risulta evidente che il Nigra ha inteso collegare la razza alla lingua e a sua volta la lingua alla razza di un particolare genere di poesia popolare.

In una lettera del 24 marzo 1889, il Nigra scriveva al Pitrè a proposito dei Canti popolari del Piemonte: “Una delle parti più trascurate dell’opera, ed Ella ben lo notò, è quella degli strambotti. Questi, credo, avrebbero meritato meglio, che il poco spazio loro concesso dal tipografo Bocca. Non c’è dubbio che lo stampo degli strambotti, e spesso anche la materia venne all’Italia settentrionale dal Mezzodì.

Ma pur tuttavia essi hanno subìto, nella nuova residenza, la legge di trasformazione darwiniana, quella cioè dell’adattamento all’ambiente. Notare con diligenza l’esito di questa trasformazione sarebbe stata opera di non poco interesse. Io, non potei intraprenderla”. Orbene, se il Nigra avesse intrapreso lo studio cui allude, non solo si sarebbe accorto che le differenze linguistiche producono un opus novum soltanto quando ad esse si uniscono motivi interiori, ma si sarebbe convinto che lo strambotto, trapiantandosi in Piemonte attraverso la Toscana, non avrebbe attecchito se nel nuovo terreno non avesse trovato gli elementi adatti al suo sviluppo. Lo stesso avviene per il canto epico-lirico. Infatti, pur riconoscendo che le canzoni epico-liriche ebbero come centro di irradiazione il Piemonte, bisognerà pure ammettere che esse si sono diffuse (conservando di solito il medesimo spunto melodico, nonostante varianti ritmiche e modali) ben oltre i confini dei dialetti gallo-italici; e non solo il Veneto ne ha molte, ma moltissime ne ha la Toscana, in versioni molto numerose; e più o meno (per quanto bisogna stare attenti ai raccoglitori dei canti, non sempre intelligenti e sagaci) esse si trovano sparse in tutta Italia e fino in Sicilia. In conclusione la differenza razziale o quella delle forme linguistiche non costituiscono mai un ostacolo alla diffusione della poesia popolare, quali che siano i suoi generi particolari.

E’ noto, inoltre, che il Paris, recensendo i Canti popolari del Piemonte, non solo ebbe a dimostrare che, per quanto riguarda l’area europea delle canzoni epico-liriche, il Portogallo deve essere staccato dal gruppo celto-romanzo per essere riunito alla Castiglia, sia dal punto di vista del ritmo, sia dal punto di vista della poesia popolare romanza; ma avvicinò addirittura il patrimonio poetico dello stesso Piemonte, della Francia e della Catalogna a quello della Spagna, della Bretagna, dei Paesi germanici, della Grecia, delle genti slave ecc.

In più egli avanzò l’ipotesi che la Francia settentrionale sia stata il focolare principale della poesia popolare dei vicini paesi romanzi in ciò che essa ha di più interessante. Ma su questo punto bisognerà chiarire meglio il pensiero del Paris, il quale, pur abbandonandosi a una espressione generica, come quella riportata, ebbe l’indubbio merito di aver accertato un fatto di notevole importanza: che cioè il tipo di canto epico-lirico di cui Donna Lombarda è il modello più caratteristico, deve essere nettamente distaccato dalla origine che il Nigra gli attribuiva.

E’ vero che il Nigra, nel discutere il problema della genesi della poesia popolare afferma contradditoriamente che in alcuni suoi commenti egli si propose di ricercare l’origine immediata e non quella primitiva dei temi, in quanto «il periodo genetico ha

14 Giuseppe Pitrè (Palermo, 21 dicembre 1841 – Palermo, 10 aprile 1916) è stato uno scrittore, letterato e antropologo italiano.

sempre qualche cosa d’occulto» , ma in effetti, egli arriva, talvolta, non solo a determinare, con spavalda sicurezza, la data in cui un canto è nato, ma anche l’avvenimento storico che ne sarebbe l’occasione. Metodo che il Nigra adottò, ad esempio, nella canzone di Donna Lombarda da lui fatta risalire al secolo VI e collegata alla vicenda di Rosmunda.

Ma questa è la parte caduca del suo lavoro ed alla quale il Paris contrapponeva due osservazioni: la prima che la canzone di Donna Lombarda sviluppa un motivo o meglio una serie di motivi che sono comuni ad altre ballate diffuse in vastissime aree – senza distinzione di razza –; la seconda, che tale canzone, come si articola nelle redazioni raccolte dal Nigra, è composta nella metrica e nello stile dei canti epico- lirici della Francia del Nord la cui origine non va oltre il secolo XV. Ciò senza aggiungere che un fatto può anche resistere nella memoria dei popoli costituendo argomento di canto a distanza di tempo. Ammesso pure che il canto di Donna Lombarda si debba collegare alla vicenda di Rosmunda, v’è poi un modo assai più semplice, aggiungeva peraltro lo stesso Paris, « di esplicare le cose. Basta che un poeta popolare abbia inteso raccontare nel secolo XVI e nel successivo la tragica avventura di Rosmunda per comporre la bella canzone ». Il Paris, comunque, aveva richiamato il Nigra sul terreno da lui prediletto: quello della metrica, in base alla quale egli fissava la data di origine di un genere che dalla Francia del Nord si era poi irradiato un po’ dovunque. Questo non importava però la separazione della data di nascita dei canti relativi, ciascuno dei quali ha una sua propria storia.

Dobbiamo dunque concludere che gli errori di prospettiva non impedirono al Nigra di tracciare una sintesi critica che rimane la più alta conquista del suo teorizzare e al tempo stesso la conclusione vibrante del suo nuovo modo di raccolta. Il fatto di aver energicamente sostenuto che molte canzoni epico-liriche sono indigene del Piemonte era in lui una premessa che non poteva rimanere fine a se stessa, ed indicava che egli, pur postasi la ricerca delle origini, intuiva come, nella poesia popolare, queste si sciogliessero nel loro svolgimento, che è fatto sì di tradizioni culturali e perciò, come noi oggi diremmo, di aree di irradiazione e di diffusione, ma anche di poeti senza i quali non esisterebbero nemmeno quelle aree.

Appunto per questo la poesia popolare, secondo il Nigra, non è mai qualcosa di immobile, di fisso, bensì un’opera in continuo movimento e rinnovamento. La stessa tradizione della poesia popolare è perciò legata alla sua innovazione che la storicizza. I popoli,- afferma il Nigra-, in una delle pagine più belle che egli abbia scritto, non si limitano a ripetere le antiche canzoni e a modificarle continuamente. Essi creano nuove canzoni anche oggi.

Solamente, queste creazioni, che si producono, lungi dalle città, negli oscuri villaggi, nei campi e sui monti, difficilmente si lasciano sorprendere dall’osservatore nel periodo genetico. Questo periodo ha sempre qualche cosa di misterioso. La redazione prima d’una canzone non può certamente essere che opera individuale. Ma è poi continuamente elaborata da molti. Quindi in questo senso si può dire che la canzone popolare è opera collettiva. Nelle canzoni di data recente si scorgono spesso elementi di data più antica. Quando dai nostri contadini si compone una canzone, si comincia a fissare la melodia, e questa è tolta ordinariamente da una canzone anteriore. La melodia determina il metro. Intere frasi e interi versi, e spesso il principio della composizione sono mutuati a canzoni già esistenti. Ciò che si aggiunge di nuovo è spesso scorretto, rozzo e talora confuso; a poco a poco, passando per molte bocche, si modifica, si purifica, si compie; nuove idee si aggiungono; le espressioni scorrette sono successivamente eliminate e sostituite da altre più corrette; queste alla loro volta, passando per altre bocche, e trovandosi in ambienti meno propizi, si corrompono di nuovo, si oscurano, per rinnovarsi di poi. Nel trasmettersi di bocca in bocca il proprio canto, il popolo lo rinnova e lo modifica costantemente nelle forme dialettali e nel contenuto, e finalmente anche in parte nella melodia e nel metro, e queste continue modificazioni costituiscono in realtà una perpetua creazione della poesia popolare; creazione che passa per molte e varie fasi, e le di cui condizioni di vita e di perfezione, o di degenerazione e di oblio sono intimamente legate con quelle del popolo autore e conservatore.

Le canzoni, come i libri, hanno i loro destini. Riconosciuto il dato creativo individuale nella poesia popolare, il Nigra ferma il suo sguardo su un altro dato fondamentale: la perpetua creazione della poesia popolare, la quale le assicura una continuità che è la sua stessa tradizione. Questa continuità, a sua volta, fa veramente popolare la poesia popolare, la quale se pur è vivificata in modo diverso, ha pur sempre una sua realtà formale, fatta di una sua esperienza che potremmo chiamare collettiva.

Ma il Nigra disciogliendo il dato individuale della poesia popolare nella collettività, cioè nelle modificazioni che quel dato subisce nelle sue rielaborazioni, non si accorge di errare in quanto anche le varie varianti sono momenti di quel dato creativo.

La collettività, tuttavia, è sempre presente nel suo processo perche in essa la poesia popolare trova il suo legittimo ambiente. Staccate la poesia popolare dalla sua diffusione collettiva – cui s’intreccia la continua creazione individuale – ed essa non avrà più ragione di esistere.

E’ noto, d’altra parte, che il processo della elaborazione popolare è stato, dopo il Nigra, esaminato con maggiori e più precisi particolari, ricevendo una luce più viva e più intensa a mano a mano che le ricerche comparative si son fatte più scaltrite. Si pensi, in questo senso, all’opera svolta dal Menendez-Pidal15, il quale nel suo saggio, Sobre geografia folklorica, non manca di rifarsi al Nigra. Oppure a quella svolta dal Barbi16 che ha impiantato sui criteri del Nigra la sua grande raccolta di canti popolari toscani. E’ dunque merito del Nigra l’aver fissato per primo in Italia il processo della rielaborazione quale si configura nella fenomenologia della poesia popolare e senza il quale non sarebbe ormai più possibile capire o definire la stessa poesia popolare

15 Ramón Menéndez Pidal (La Coruña, 13 marzo 1869 – Madrid, 14 novembre1968) è stato un filologo e storico spagnolo.

16 Michele Barbi (Taviano di Sambuca Pistoiese, 19 febbraio 1867 – Firenze, 23 settembre 1941) è stato un filologo e letterato italiano.

Ma il Nigra eccelle anche nel difficile campo della poesia come ci dimostra Carlo Demarchi nella sua prefazione al Libro delle Poesie, edito dal Lions Club Alto Canavese nel lontano 2001.

La poesia, salvo quando tratta i grandi temi universali, sempre uguali in tutte le epoche dell’uomo, non può mai prescindere dal momento storico in cui viene creata e dal conseguente stato d’animo del suo compositore.

Costantino Nigra è stato uno dei più convinti ed efficaci artefici dell’Unità d’Italia e pertanto alcune delle sue poesie più celebri risentono del suo spirito guerriero e dell’amor patrio da cui sono state dettate. Sentimenti però che, a nostro parere, non riescono mai a spegnere del tutto l’estro lirico dell’autore.

Nella maturità poi, una volta attenuata l’eco delle trombe e scomparso l’ondeggiare dei vessilli, il Nigra, precedendo di poco la tendenza del Novecento, si ripiega su se stesso e nascono composizioni più intimiste e quiete, con ben altri temi e motivazioni, ed anche la poesia si avvantaggia raggiungendo mete di superiore altezza. In ogni caso, nelle une come nelle altre, non viene mai meno il magistero del fine letterato, cultore della forma oltre che del contenuto, tanto che, ove questo attenui la sua forza, l’altra sopperisce con risultati apprezzabili.

Come si è detto nella prefazione, le poesie sono divise in quattro gruppi.

Il primo comprende diciassette Componimenti di varia natura e di date anche molto lontane fra loro. Tra di essi vi è la prima poesia ufficiale del Nigra, l’ “Epitafio d’un amore”, scritta a 17 anni, durante il Liceo ad Ivrea, per una fanciulla che pare lo avesse abbandonato.

Tra gli altri componimenti spiccano la romanza patriottica “Al mio cavallo” e soprattutto la celeberrima “Barcarola” (che si chiama in origine "La Gondola") scritta per l’Imperatrice Eugenia in favore della liberazione di Venezia, che fu musicata e suscitò grandi entusiasmi in Italia ed anche in Francia. Vi sono comprese anche le quattro poesie scoperte di recente: la canzone “All’Italia” del 1848, uscita su La Gazzetta del Popolo di Torino il 2 luglio 1907, l’ “Epithalamion” del 1851, un imeneo in ben puliti versi latini pubblicato sulla rivista Il Baretti del 6 gennaio 1876, l’elegia “A mia madre” pubblicata in cartolina nel 1928 e “La romanza di Tristano e Isotta” pubblicata nel 1897 su Nuova Antologia.

Gli altri componimenti, di diverso argomento e metro, non aggiungono molto alla fama del poeta, ma vi si nota una sicura padronanza del verso e della metrica e, sparse qua e là, felici intuizioni di un romantico che, anche nei momenti meno impegnati o meno felici, riesce, se non a provocarci emozioni, ad essere almeno particolarmente gradevole al nostro orecchio.

Il secondo gruppo contiene i tre importanti Carmi in versi sciolti che gli diedero, ai suoi tempi, autentica fama. In essi vi è la prima poesia veramente impegnativa del Nigra che lo colloca nell'Olimpo dei poeti citati su tutte le Antologie della letteratura italiana.

“Per le nozze di Alessandrina d’Azeglio con il marchese Matteo Ricci” del 1852, di raffinata eleganza e di gusto sicuro, lodata anche dal Manzoni, nonno della sposa, che dichiarò al D’Azeglio: “fra gli ufficiali del suo Ministero uno ve n’è il quale sa scrivere versi siffatti, che da un pezzo non ne ho letto di eguali”.

Si tratta di 142 endecasillabi sciolti di squisita fattura in cui i critici, ma anche un attento lettore, hanno visto accenti del Monti, del Parini e del Foscolo, autori certamente ben presenti alla mente del Nigra.

Vi è contenuto un brano che è forse il più bell’elogio che mai sia stato scritto per il Canavese in poesia. Il carme fu stampato e distribuito agli invitati al matrimonio della figlia di Massimo D'Azeglio (e nipote di Alessandro Manzoni), ma ebbe un tale successo che se ne dovettero stampare molte copie in più e fu pubblicato poi sulla Rivista Il Baretti.

L’ ”Ode in morte di Silvio Pellico”, celebra con affetto fraterno una nobile figura del nostro Risorgimento, che pagò con dieci anni di detenzione, di cui otto di carcere duro nella fortezza dello Spielberg, il suo amore per l’Italia e la sua avversione per l’Austria. In seguito a questa durissima prova, a infelici vicende familiari ed anche a causa della salute malferma, il Pellico si era sempre più defilato dalla lotta attiva e si era via via rinchiuso in una intensa religiosità, suscitando prima il risentimento e poi l’oblio dei più attivi combattenti.

Il Nigra, non dimentico dei suoi meriti, ne mette in risalto le grandi virtù e lo ricorda con sincera commozione. In visita allo Spielberg, quando era Ambasciatore a Vienna, lascerà nel registro dei visitatori gli ultimi versi del carme, forse i più belli e sentiti.

Ma il più importante dei tre componimenti in versi, quello che immediatamente e per molti anni diede fama al Nigra, è “La Rassegna di Novara”, scritta con l’animo sincero di grande patriota, ed in cui vengono esaltate la gloria dei soldati piemontesi e quella del loro sfortunato Re, Carlo Alberto.

E’ una visione epica, che ancora oggi ci procura viva emozione e slancio patriottico, anche se talora, come abbiamo già accennato, il messaggio politico può travalicare la poesia, ma mai fino al punto da renderla sgradevole o sciatta. Nigra, da buon romantico quale era, aveva certo presenti “I canti di Ossian” e tutta la poesia sepolcrale dell’epoca, oltre ai poeti di cui abbiamo detto innanzi. Qui il suo endecasillabo raggiunge il massimo della perfezione e trova pochi eguali (se si escludono i grandissimi) nella poesia dell’ottocento, pur se gli mancano gli empiti del lirismo Carducciano di “Piemonte” o de “ I Sepolcri ” del Foscolo, e se nell’elencare i vari reparti che sfilano vi è certo un descrittivismo a volte un po’ monotono.

Il terzo gruppo, Gli Idilli” è quello più apprezzato dalla critica ufficiale. Abbandonati i toni epici dei carmi, il calore del suo fervente patriottismo, e certe movenze scopertamente romantiche delle composizioni cosiddette minori, il Nigra, oramai anziano e stanco, lontano dagli splendori delle corti dove era passato, personaggio ricercatissimo e vezzeggiato, e soprattutto deluso dalla politica, si

17 Vincenzo Monti (Alfonsine, 19 febbraio 1754 – Milano, 13 ottobre 1828) è stato un poeta, scrittore, drammaturgo e traduttore italiano.

18 Giuseppe Parini (Bosisio, 23 maggio 1729 – Milano, 15 agosto 1799) è stato unpoeta e abate italiano. Membro dell'Accademia dei Trasformati, fu uno dei massimi esponenti del Neoclassicismo e dell'Illuminismo in Italia.

19  Niccolò  Ugo  Foscolo (Zante, 6  febbraio 1778 – Londra, 10  settembre 1827)  è  stato  un poeta, scrittore e traduttore italiano,  uno  dei

principali letterati delneoclassicismo e del romanticismo. Ripiega su sé stesso e si riavvicina alla quiete della sua terra o a visioni idilliache che toccano e commuovono il suo animo stanco.

Nel volgere probabilmente di non molti anni egli compone i dodici Idilli, definiti “bozzetti poetici” o “quadretti fiamminghi” per la loro eleganza e la precisione dei particolari, e paragonati sovente ai sonetti de “L’ Astichello” dello Zanella20, ma in cui si notano anche movenze pascoliane e a volte carducciane.

Con un sorvegliatissimo registro stilistico, come dice il Rapetti21, Nigra descrive la pace dei campi, il fiorire ed il mutare delle stagioni, la bellezza dei luoghi, la purezza dell’aria, ma vi cala la presenza dell’uomo, magari con la gravezza della sua fatica, in balia del tempo che spesso ruba ciò che ha dato, lasciando disperazione e talora dura imprecazione.

Non è una voce possente quella del Nigra degli Idilli, ma il gusto, la padronanza del verso, la sincerità dei sentimenti manifestati, non lo fanno mai cadere nella retorica, e gli valgono, senza dubbio, un posto sicuro fra i poeti minori dell’ottocento.

Resta da dire del quarto gruppo, quello delle Traduzioni Poetiche.

Accenniamo appena a quella de “Il Profeta” di Puskin22 con un risultato, nonostante l’impossibilità del raffronto, che ci pare stilisticamente riuscito.

Occupiamoci invece delle traduzioni maggiori e cioè de “La Chioma di Berenice” da Catullo, con relativa dedica di mano del Nigra ad una sua ammiratrice, e gli inni “A Diana” e “Sui lavacri di Pallade” di Callimaco23. Qui veramente il Nigra dà prova di una squisita sensibilità per i classici e di una felicissima predisposizione, già peraltro dimostrata ampiamente, al metro più bello ed elegante della nostra letteratura.

E’ noto come il latino sia assai più conciso dell’italiano. Ciononostante il Nigra riesce a tradurre “La chioma di Berenice”, composta di 94 versi elegiaci (e cioè 47 coppie di esametri e pentametri), con soli 100 endecasillabi, più brevi dunque come numero di sillabe, senza peraltro allontanarsi dal testo e senza trascurare nessun particolare, virtù che è propria solo dei grandi traduttori.

Si sa che questa elegia, scritta originariamente da Callimaco di Cirene in greco, è andata persa e ce ne restano solo una ventina di versi. Ci rimane invece la traduzione latina di Catullo, che Foscolo volse in endecasillabi di pregevole fattura ma discostandosi spesso dal testo.

Nigra, nel riproporre la propria traduzione, è cosciente di aver fatto opera stilisticamente ineccepibile, più fedele e più stringata e così commenta: “Io ammetto candidamente che ho fiducia di dare una traduzione poetica della Chioma di Berenice migliore di quelle pubblicate finora nella nostra lingua, non esclusa la Foscoliana in quanto la mia segue un testo più corretto di quello adoperato da Ugo Foscolo e dagli altri traduttori italiani”.

 20 Giacomo Zanella (Chiampo, 9 settembre 1820 – Cavazzale di Monticello Conte Otto, 17 maggio 1888) è stato un presbitero, poeta e traduttore.

21 Giovanni Rapetti (Alessandria, 1922 – Alessandria, 26 gennaio 2014[1]) è stato un poeta italiano, che ha offerto un rilevante contributo alla continuazione della poesia in lingua piemontese.

22 Aleksandr Sergeevič Puškin (Mosca, 6 giugno 1799, 26 maggio del calendario giuliano – San Pietroburgo, 10 febbraio 1837, 27 gennaio del

calendario giuliano) è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo russo.

23 Callimaco ( Cirene, intorno al 310 a.C. – Alessandria d'Egitto, intorno al 240 a.C.) fu un poeta e filologo greco antico d'età ellenistica.

Nelle altre due odi “A Diana” e “Per i lavacri di Pallade” ha seguito gli stessi criteri traducendo direttamente dal greco e dandoci un altro grande saggio di bravura. Si tratta di due fra le più belle e raffinate odi di Callimaco, di grande eleganza, in cui sono contenuti due celeberrimi miti.

Abbiamo letto che il Nigra avrebbe pure tradotto qualche canto dell’Odissea, ma non ne abbiamo trovato traccia. Sappiamo invece per certo che con due suoi amici, G.Lignana24 e D.Carbone25, stava cimentandosi nella traduzione dell’Eneide (lettera all’avv. Talentino di Castellamonte, del 23 luglio 1850, in cui gli si chiede un parere per la traduzione di due emistichi virgiliani [v. 39-40 I] ), ma anche di questa, per quanto ci consta, non è rimasto nulla.

Uomo dal fervido, multiforme ingegno, pur fra i gravosi e talora drammatici impegni politici da cui era preso, si occupò di parecchie discipline, ma mai da modesto dilettante. Profuse anzi in ciascuna di esse la sua grande competenza e la specifica cultura frutto di studi non superficiali e di autentica passione: glottologia, filologia, demo-psicologia, folklore, poesia. Tutti interessi dettati dall’amor di patria e dall’attaccamento alla sua terra di origine. Accenniamo dunque per concludere alle altre sue attività letterarie principali, di cui peraltro non ci occupiamo in questo volume, ma che riguardano la poesia.

In quarant’anni di faticose ricerche ha messo insieme quel monumento del folklore e della filologia che sono i “Canti popolari del Piemonte”, ancora oggi opera fondamentale per gli studi europei del genere. Era egli stesso convinto dell’importanza dell’opera se scriveva: “ O m’illudono l’amore grande che ho delle cose nostre e l’orecchio da lunga mano assuefatto a queste rozze e commoventi armonie, o la poesia popolare (specie del Canavese) merita di essere raccolta con cura e studiata”.

Si tratta della raccolta delle canzoni popolari del Piemonte, paragonate con le versioni di altre Regioni o di altri Stati. Ma il Nigra vi sostiene alcuni punti di vista interessanti. Egli dice infatti che “la poesia é creazione spontanea della razza che canta e risponde al sentimento poetico ed estetico di questa razza” ed ancora “i popoli non si limitano a ripetere le antiche canzoni e a modificarle continuamente; essi creano nuove canzoni anche oggi. La redazione prima d’una canzone non può certamente essere che opera individuale ma poi è continuamente elaborata da molti. Quindi in questo senso si può dire che la canzone popolare è opera collettiva”.

Sempre di derivazione locale, il Nigra pubblica, insieme a Delfino Orsi26, tre “Rappresentazioni Popolari”: “Il Natale in Canavese”, “La Passione in Canavese” ed “Il Giudizio Universale in Canavese” riordinando la materia, apportandovi talune correzioni essenziali in modo da ridarci tre piccoli capolavori di poesia popolare, ancora rappresentati ai nostri giorni e ristampati di recente dalla “Omega Edizioni” di Torino.

24 Giacomo Lignana (Tronzano Vercellese, 19 dicembre 1827 – Roma, 10 febbraio 1891) è stato un filologo e accademico italiano.

25 Domenico Carbone (Carbonara Scrivia, 16 luglio 1823 – Firenze, 20 marzo 1883) è stato un patriota e scrittore italiano, volontario nelle guerre del Risorgimento, provveditore agli studi di Torino e autore per l'infanzia.

26 Delfino Maria Angelo Augusto Orsi, nobile dei conti (Torino, 7 luglio1868 – Torino, 28 ottobre 1929) è stato un giornalista e politico italiano.

Et de hoc satis” "E ciò è sufficiente" come avrebbe detto elegantemente Cicerone.

Ci siamo dilungati forse un po’ troppo ma di Nigra politico, uomo, letterato e cultore di altre discipline, destinatario di grandi onorificenze nazionali e internazionali oltre che di due Lauree Honoris causa, non si finirebbe mai di parlare, anche per la nobiltà della sua figura verso i deboli ed i bisognosi, ma rischieremmo di annoiare chi, visti i tanti titoli delle varie pubblicazioni del e sul Nigra, volesse leggerne soltanto le poesie.

Non possiamo esimerci da un’ultima considerazione: il Nigra è, sì, una nostra gloria regionale, ma siamo fermamente convinti che l’uomo, il diplomatico e anche il poeta rivendichino il diritto di essere ricordati nelle storie letterarie d'Europa e fra i grandi protagonisti della nostra storia patria. E, a questo scopo, spero di aver dato un piccolo contributo.

Lasciamo, per concludere, al giudizio del Ministro degli Esteri Giuseppe Pella27, che seppe magistralmente ricordare il Nigra in occasione delle celebrazioni, organizzate a Castellamonte nel 1957 per il cinquantenario della morte, concludere queste pagine di ricordo di un grande protagonista della storia risorgimentale italiana e uomo di eccezionale cultura. Concluse così il Ministro Pella il suo discorso commemorativo:

"In Costantino Nigra sono due gli aspetti della personalità che immediatamente vengono alla luce: l'aspetto nostrano, piemontese, ma direi, più canavesano del letterato e dello studioso; quello nazionale e, forse, ancor più internazionale del diplomatico, e, notatelo, sono due aspetti che nel loro coesistere non si sovrappongono, non si intralciano, anzi, si completano a vicenda nella figura di Costantino Nigra. Noi lo possiamo, senza dubbio, considerare certamente uno dei più grandi ambasciatori; forse, il più grande ambasciatore che abbia servito in questo secolo di storia lo Stato unitario".

Roberto Favero - Presidente Associazione Culturale Costantino Nigra - gennaio 2016