di Giovanni Tesio - Studi Piemontesi dicembre 2012 - Vol IX - Fasc.2

Giovanni TESIO – Unitre Cuneo

Nella vita di Costantino Nigra, la vocazione letteraria (se non immediatamente poetica) fu precoce, come testimonia Michelangelo Giorda[1], quando ricorda che Nigra nei 1845 si iscrisse alla Facoltà di Legge "un poco di malavoglia, in quanto - così il Giorda - avendo egli fin d'allora il chiodo della letteratura ed il bernoccolo della poesia, avrebbe prefe­rito seguire i corsi letterari e dedicarsi all'insegnamento".

Un "bernoccolo della poesia" che si manifesta in vario modo: sia come lettore, sia come traduttore, sia come poeta in proprio. Ma che si manifesta a fasi, sopravanzato dall'attività diplo­matica e dall'attività di ricerca (a parte l'alta competenza di filologo classico, basterebbe il monumento dei Canti Popolari del Piemonte, costruito nell'arco di quasi quarantanni, a fissarne la solida statura di studioso).

Violon d'Ingres, dunque, la poesia per Nigra, che tuttavia va tenuta nel conto di un diletto avveduto ed esperto. Un capitolo certamente minore entro la sua maggiore attività, di diplomatico al servizio prima dell'Italia costituenda poi di quella costituita (in cui non resisto tuttavia a iniettare la malizia del Cajumi "libertino" che in un suo elenco sostiene: "Nigra, che senza le istruzioni di Cavour rende la metà"[2], e naturalmente di ricercatore appassionato e ben munito di paleografia, di dialettologia, di etimologia, di lessicologia, di folklore. Se mai ci sarebbe da dire che quando tutte queste attività si accompagnano - come nel Nigra - da un estro di poesia, possono risultare (oggi come allora) non meno attrezzate, ma forse più appetibili.

Di fatto né i contemporanei né (tanto più) i critici che si sono occupati del Nigra poeta nel corso del Novecento (a cominciare dal D'Ancona che nel 1914 si fece editore delle Poesie originali e tradotte, aggiuntovi un capitolo dei suoi Ricordi diplomatici, presso Sansoni; e dal Croce che nel sesto volume della Letteratura detta Nuova Italia gli riserva un cenno abbastanza distratto. Per arrivare fino al Petrocchi che nel '47 includeva Nigra nell'Antologia della lirica italiana dell'Ot­tocento allestita con Ferruccio Ulivi[3] e nel '48 ne tracciava un profilo lesto e onesto nel volume Scrittori piemontesi del secondo Ottocento[4], e infine al memorabile Geno Pampaloni che scrisse una non proprio memorabile introduzione a Le poesie edite da Zanichelli nel '61; dicevo che di fatto nessun critico né dell'Otto né del Novecento ha espresso sul Nigra poeta se non giudizi chiaroscurati, prudenti, addirittura cautelosi.

Tutto sommato coerenti con il giudizio di uno storico di gusto intelligente come lo Chabod, che parlò (lo ricorda Giorda e lo riprende Pampaloni) di vena poetica fievole ma decorosa.

Per intanto - in questa nota che vuole essere più un saggio d'intenti che un resoconto di fatti - bisognerebbe tracciare la pur piccola storia della critica su Nigra poeta, insieme con la storia delle varianti che si diano nel passaggio delle poesie dall'officina (quanto ne resta) alla prima pubblicazione (su giornali e riviste) e poi in volume. Collazioni, datazioni, mutazioni. Tutto ciò che possa avvicinarsi non dico a un'edi­zione critica, che forse sarebbe troppo, ma a un'edizione ben fondata e annotata. Non senza tacere che vere sorprese non ne dovrebbero dare e che dunque l'edizione Zanichelli (non fosse del fatto che si tratta ormai di un'edizione rara e preziosa) potrebbe di per sé bastare a una lettura di onesta costituzione testuale.

Nigra poeta, allora. Nigra che, a parte le traduzioni in endecasillabi sciolti (La chioma di Berenice, "Elegia di Callimaco dalla versione latina di Catullo" pubblicata con ampi commenti storici e filologici presso U. Hoepli, Milano 1891; gli inni A Diana e Sui lavacri di Pallade di Callimaco, pubblicati da Loescher, Torino 1892; cui, per altra vicenda andrebbe aggiunto, come dice il Giorda, "una graziosa lezione de La romanza di Tristano e Isotta[5], sta tra l'occasione priva­ta (come documenta Emilio Pinchia[6], in versi latini scrisse un epitalamio per un amico e compagno d'armi[7]; come documen­tano le edizioni delle poesie, nel 1852 scrisse il carme Per le nozze di Alessandrina d'Azeglio con il Marchese Matteo Ricci); tra l'occasione privata e la pubblica celebrazione di un evento legato ai fatti risorgimentali (da ricordare il carme In morte di Silvio Pellico, del '54, insieme con il poemetto La Rassegna di Novara, composto nel '61 per celebrare i fasti unitari7); tra l'estemporaneità di un affetto (come le sestine del 1854 al suo cavallo Leardo) e l'allusività mondano-diplomatica (come la celebre Barcarola improvvisata nel 1863 per l'imperatrice Eugenia a Fontainebleau, su cui è una lettera del Merimée al Panizzi a gettare una luce agrodolcigna[8]). Tra la vena in qualche modo eteronoma o celebrativa (risorgimentalistica) e la vena "idillica", che resta probabilmente la più persuasiva.

Senza contare che rimarrebbero da datare alcune delle poesie che, sempre per merito del Giorda, furono aggiunte all'edi­zione Zanichelli, le quali si muovono tra suggestioni che - a non dire del componimento Ai compagni di studi e d'armi morti in battaglia, che una data ce l'ha, il 1849 - farebbero pensare a una più remota e giovanile matrice romantica (la fantasia d'amore di Ma poi?, la caccia "infernale" de La bal­lata del cacciatore dannato) e a un più disilluso incupirsi dei temi e dei toni che vanno da titoli carducciani quali Nunc lux e Mox nox a bibliche contemplazioni (naturale pensare al Qohélet) come in Finis cinis:

 Invan nella perpetua succession dei secoli

scruta Fumano spirito nella natura immensa;

invan dietro la traccia del vero inaccessibile

con incessante angoscia calcola, osserva e pensa.

Son lieve fumo e cenere la terra e il sol rovente,

cenere e fumo è l'opera dell'egra umanità,

e l'immortal materia, fusa al crogiolo ardente,

come sventrata bombola, polve e non altro dà.

Insomma, molto (ancora) da fare per le poesie del Nigra.

Anche sul versante della cosiddetta intertestualità, perché sul foscolismo di base si sono avvicendate altre suggestioni, che da alcuni critici sono state ipotizzate, ma che vanno verifìcate e studiate: dal Petrocchi, che indicava Carrer per il componi­mento Al mio cavallo o il Prati per la Rassegna di Novara, ma poi faceva un più complesso discorso di incroci tra Carducci e Pascoli, tra linea melica e linea bozzettistica, tra il settecentesco Vittorelli e l'ottocentesco Zanella (indicato soprattutto nella pagina che introduce alla scelta del Nigra nell'Antologia già citata del '47); o prima ancora dal D'Ancona che sempre per La Rassegna di Novara accennava - pur nella diversità degli esiti - a un impulso venuto da Dall'Ongaro. E poi bisognerebbe ulteriormente indagare entro le tracce romantico-risorgimentali che vanno dal bresciano Scalvini al napoletano Poerio fino a quelle post-risorgimentali che stanno tra Pompeo Bettini ed Enrico Panzacchi, tra Domenico Gnoli e Arturo Graf.

La verità è, Io credo, che proprio il carattere "occasionale" della poesia di Nigra contribuisca a fare di lui un poeta a suo modo mercuriale, difficilmente definibile, perché esposto a (e compromesso con) una sensibilità poeticamente indecisa, del resto non diversamente dalla condizione di tanta della nostra poesia ottocentesca (fino al Pascoli e al D'Annunzio), che annovera molti nomi ma - Carducci a parte - dopo Foscolo e Manzoni nessun vero protagonista. Incerta tra le impen­nate di un Risorgimento attivistico e le morbidezze di un Romanticismo sentimentale, tra i residui di un classicismo paludato e gli annunci di un incerto realismo, anche la poesia del Nigra patisce di approfondimento e di direzione.

In un primo tempo è adesione patriottica al necessario "riscatto", che s'incrocia con un temperamento colto ed emotivo, capace di dare anche voce a più private e segrete motilità. In un secondo tempo diventa espressione dell'om­bra e del disincanto, del rifugio e del riparo. Di certo, nel primo caso non deroga da una sorta di mediaetà celebrativa, in cui si possono, sì, cogliere qua e là tratti di un autentico e non retorico (o encomiastico) sentire (ad esempio, nel carme Per le Nozze di Alessandrina d'Azeglio, la dichiarazione di appartenenza canavesana); nel secondo caso una franca e pur sincera convenzionalità di sguardo, che solo quando è scurita dal dettato, sa riscattarsi nella trasparenza di una ben acuta e amara consapevolezza esistenziale.

Detto questo, se guardiamo specialmente agli Idilli (Idilli in cui sempre all'incanto o semplicemente al décor paesistico fa contrasto l'avviso finale che disdice spesso l'assunto e che sembrerebbe voltare in antifrasi la serenità della visione e dun­que del termine che la designa: ossia siamo autorizzati a parlare di "idilli" senza idillio e come spia grammaticale a ricordare la frequenza indicativa dell'avversativa "ma"); se guardiamo agli Idilli, è innegabile che Nigra sappia battere educatamente il suo verso, giocando di contrasto; derogando a tratti sapientemente dalla misura e dal ritmo in studiati enjambements e frequenti décalages, di cui è piccola ma significativa spia metrica la predi­lezione per la misura sdrucciola; mostrando nel complesso una sensibilità raffinata e sensuale (ad esempio, quel suo sostare alle soglie della femminilità sul punto di sbocciare in Sul pergolato o su quella più ardita e prorompente delle "montanine" che salgono "sull'erte/ cime esultanti" in Alpi e risaie), ma - den­tro questa sensibilità - già anche un'attenzione alle pieghe del quotidiano in modi che si potrebbero definire - deducendone, beninteso, ogni effetto d'ironia - pre-crepuscolari.

E per altro anche innegabile che a strofe di nitida fattura altre se ne mescolino di più faticosa e magari retorica concezione (possibile, quantunque da dimostrare, l'affinità con certe atmo­sfere pastorali della pittura piemontese di secondo Ottocento, dal Pittara all'Avondo e, insomma, la prossimità al "vero naturale" della canavesana scuola di Rivara), come accade ad esempio in Novembre, di cui mi limito a citare due (flagranti) strofe:

Ritto, appoggiato sul bastone,

come sentinella fantastica,

sta il pastor col cappuccio in sulle chiome

immoto all'intemperie.

Nella tasca ha la povera sua mensa,

dura ha la faccia ed ebete,

non favella, non opera, non pensa,

guata stupido ai nuvoli.

 Ma nel complesso non discosterei troppo il mio giudizio dal giudizio - onestissimo - che già diede a suo tempo il Giorda: "Un verseggiatore e quasi sempre un ottimo verseg­giatore, sì; una natura epica e georgica, anche; uno spirito eminentemente lirico, no"[9]. E tuttavia vorrei chiudere questa mia nota con una delle poesie più amabili, in cui si può coglie­re nell' "ispirazione" poetica il frutto poeticamente assimilato (e anche un po' pascoliano) del Nigra_demo-psicologo, già del resto presente nell' "idillio" di Settembre.

Voglio dire La canzone della nonna:

(In mezzo al mare un'isola c'è

e vi comanda la figlia del Re).

Canta filando l'avola

giù nella stalla. Le tremule note

i bimbi intenti ascoltano.

Sonnecchia in culla l'ultimo nipote.

(Ogni garzone che passa di là

paga dogana e un bacio le da).

Cala di fuori in gelide

falde la neve nella buja notte,

picchia il rovajo e fischia

nell'ultimo fesso e per le lastre rotte.

(Gentil galante nell'isola andò,

la damigella baciare non vuo').

Dura il canto monotono

quant'è lunga la sera, e passan l'ore.

Gli occhi dei bimbi chiudonsi

e la lucerna crepitando muore.

(La damigella suo schiavo lo fa,

se non la bacia, più scampo non ha).

Sulla povera paglia

or dormon tutti, l'uno all'altro accanto,

ma pur dormendo sentono

piano agli orecchi della nonna il canto.

(Gli han dato un letto di porpora e d'or,

e le catene son fatte di fior).

E van sognando l'isola,

l'isola verde e il giovine prigione

e la donzella pallida

che i ricci d'or si pettina al balcone.

(In mezzo al mare un'isola c'è,

e vi sospira la figlia del Re).

E anch'essa alfin la vecchia

dorme, seduta colla testa china,

e sogna che nel cofano

c'è ancor del pane e un poco di farina.

Questo quadretto di genere, che incrocia la realtà e la fiaba, la visività della scena e la musicalità del contrappunto, credo che sia il meglio - nel suo perfetto equilibrio metrico-prosodico — per chiudere su uno studio ancora tutto o quasi tutto da fare.

Università del Piemonte Orientale

 [1] Storico Castellamontese (1892-1961) che pubblicò una biografia del Nigra in occasione del 50° anniversario della morte del grande canavesano.

   Costantino Nigra la vita e le opere, a cura del Comitato Promotore Canavesano, 1957(Ing. C. Olivetti - Reparto Tipografico)

[2] A. Cajumi, Pensieri di un libertino, Torino Einaudi, p.148

[3] Roma, Colombo Editore

[4] Torino, De Silva

[5] M.Giorda, op. cit, p. 78

[6] Emilio Pinchia,Il conte Costantino Nigra, Ivrea, Viassone, 1930

[7] per la pubblicazione che avvenne solo nel 1875 e successive edizioni, cfr M.Giorda, op cit, p.79

[8] "Passiamo qui il tempo allegramente e in ottima compagnia, quasi ottimamente come a Biarritz, tranne i calzoni alla zuava.... Davanti al palazzo vi è un grande stagno che chiamiamo onorevolmente "Il Lago".Vi sono tante piccole imbarcazioni, un Caicco di Costantinopoli ed una Gondola veneziana con il suo gondoliere. Questa gondola ha preso la parola l'altra sera e ha recitato per bocca del Nigra alcuni bei versi a Sua Maestà (l'Imperatrice). Ed ecco il finale: _Ma è viva e aspetta ancor. Credo che abbiamo risposto: "Aspetti". Al momento Nigra è molto festeggiato qui.

[9] M.Giorda, op cit, p.78