TESI DI LAUREA - Laura Nigra
Università degli Studi di URBINO CARLO BO
Relatore professor Fabio Turato
Anno Accademico 2016-2017
Il ruolo di Costantino Nigra nel processo di unificazione d'Italia
INDICE
INTRODUZIONE..................................................................................... Pag.
CAPITOLO 1
La figura di Costantino Nigra come patriota, diplomatico
e uomo di cultura........................................................................................... 2
CAPITOLO 2
Braccio destro del Conte Cavour ................................................................. 7
2.1 Capo di gabinetto di Cavour.......................................................... 7
2.2 La missione segreta presso Napoleone III.................................... 10
2.3 Ministro a Parigi ......................................................................... 17
CAPITOLO 3
La carriera diplomatica del Nigra nell’Europa di fine 800 ....................... 22
3.1 Ambasciatore d’Italia a San Pietroburgo, 1876-1881................... 22
3.2 Ambasciatore d’Italia a Londra, 1882-1885................................ 29
3.3 Ambasciatore d’Italia a Vienna, 1885-1904....................................
CONCLUSIONI ..............................................................................................
INTRODUZIONE
Il volume nasce da una grande curiosità ed interesse per l’uomo che Nigra ha saputo essere e portare nel mondo. Un uomo al quale mi sento legata da un nome e da un sangue e che, nonostante i tanti anni che oramai ci dividono e che molte cose han cambiato, inevitabilmente mi danno una sorta di appartenenza. Ma al di là di questo aspetto puramente personale e che mi ha essenzialmente motivata a studiare di lui, attraverso queste poche e modeste pagine intendo fare un excursus storico che ha visto il Conte Costantino Nigra essere uno dei protagonisti principali di quel lungo processo che condusse all’Unità nazionale. Al fianco del grande Cavour e collega di tanti personaggi illustri, egli ha saputo fare della sua vita un continuo impegno verso la sua amata Patria e, anche se il suo lavoro lo vedeva inevitabilmente dietro le quinte, ciò non fu comunque motivo per non dare il meglio di sé e spiccare ai massimi livelli.
Lo studio vuole essere un viaggio attraverso quei luoghi che hanno visto Nigra scalare, passo dopo passo, con forza e determinazione, le più alte vette della diplomazia internazionale. In questo mio percorso mi sono avvalsa di vari testi, carteggi e testimonianze. La parte migliore dell’opera storica di Nigra è sicuramente contenuta nel Carteggio con il Conte Cavour, di cui sono pubblicati ben quattro volumi e nei quali è lampante l’unione che lega i due uomini per idee e sentimenti oltre alla fiducia e alla stima reciproca. Cavour nutriva per Nigra una fede illimitata al punto da investirlo della più ampia libertà di negoziazione e spingerlo a pronunciare le famose parole: “Egli ha più talento di me, conosce perfettamente le mie intenzioni, e le sa seguire come niun altro”. CHIALA, III, p124; VI; p. 667
E’ altrettanto vero, però, che quando quel prescelto mancava di informarlo come avrebbe dovuto, Cavour, preso da una irrefrenabile passionalità, lo riprendeva risoluto per rimetterlo sulla buona strada. Da uomo straordinariamente intelligente qual’era, non si perdeva certo nell’ire e nel rancore, ma perdonava. E in questo perdono si ritrovavano ogni volta più forti e uniti che mai. Il Nigra, dal canto suo, aveva per il maestro una devozione infinita che, dopo la morte nel 1861, si trasformò in una vera e propria adorazione. Un altro documento essenziale per la mia ricerca è stato l’Epistolario, ovvero quello scambio di lettere tra Nigra e i vari Ministri degli Esteri che si sono succeduti via via nel tempo a dimostrazione di quanto complesso sia stato il processo di unificazione del nostro paese.
Il mio ringraziamento particolare va al Professor Fabio Turato, docente di Relazioni Internazionali presso l’Università di Urbino e all'Ing Dr. Roberto Favero, Presidente della “Associazione Culturale Centro Studi Costantino Nigra” a Castellamonte in Provincia di Torino. Il Centro raccoglie e mette a disposizione degli studiosi tutta una serie di informazioni oltre ad organizzare eventi importanti per tenere sempre alla ribalta questo illustre protagonista della storia del Risorgimento italiano. Un ruolo essenziale che rappresenta un’interessante sfida ed anche un giusto impegno verso i giovani di oggi, nella consapevolezza che il messaggio che Cavour e Nigra ci hanno lasciato risulta più che mai attuale e di riferimento. Con questo lavoro ho potuto realizzare un desiderio a me caro e che mi auguro possa portare un contributo a tenere alto il valore di un uomo straordinario, che tanto ha speso per fare dell’Italia un’Italia unita al pari delle altre grandi Potenze europee. E rendere così onore al grande Conte di Cavour!
CAPITOLO I
La figura di Costantino Nigra come patriota, diplomatico e uomo di cultura
Una figura articolata ed affascinante quella di Costantino Nigra che spiazza sia per il suo talento come illustre patriota e diplomatico sia per il suo spirito romantico la sua natura romantica che trova manifestazione nella più alta forma di poesia e di ricerca. Pur consacrandosi, infatti, come uno dei personaggi più significativi dell’unificazione d’Italia dedicò molti anni della sua vita alla poesia e agli studi di filologia, etnologia, glottologia ed etimologia. Pur se con modi e tempi diversi come, del resto, sottolineò Giovanni Tesio, filologo e critico letterario: “In un primo tempo è adesione patriottica al necessario riscatto che s’incrocia con un temperamento colto ed emotivo, capace di dare anche voce a più private e segrete motilità. In un secondo tempo diventa espressione dell’ombra e del disincanto, del rifugio e del riparo”. G. Tesio, Nigra poeta, Studi Piemontesi, 2012, Vol. IX, Fasc. 2
Nigra scrisse molto di quei luoghi che lo videro crescere, ma che poi dovette abbandonare per rincorrere sogni ed aspirazioni elevate. Luoghi fatati e mai dimenticati che proprio quando la nostalgia di quell’Italia risorgimentale e di quella piccola terra del Canavese lo assalivano, amava cantare nei suoi componimenti. La stessa Villa Castelnuovo, frazione di oggi ribattezzata Castelnuovo Nigra, che diede i natali l’11 giugno 1828 a Costantino, verrà molti anni dopo da lui descritta parlando del Canavese:
“Bellissima fra quante
il sol riscalda
E’ una terra,
di pampini e di messe
E di gregge feconda”
Pagine di una bellezza straordinaria in cui il ricordo di quel verde Canavese, delle persone che lo abitavano e delle leggende che lo coloravano, gli consentiranno di divenire nel corso del tempo uno dei personaggi più seguiti ed apprezzati. Di seguito alcuni dei componimenti più conosciuti:
- Ai compagni caduti in guerra (1849)
- Per le nozze di Alessandrina D’Azeglio con il marchese Ricci (1852)
- In morte di Silvio Pellico (1854)
- La Passione in Canavese (1895)
- La Rassegna di Novara (1861)
- La Gondola Veneziana (1863)
- Il Natale in Canavese (1894)
- Canti popolari del Piemonte (1855-1888)
- La chioma di Berenice (1891)
- La passione in Canavese (1895)
- Idilli (1893)
Il Nigra uomo di cultura, quindi, ma non solo. La poesia era per lui una vera passione anche se sopraffatta dal più grande impegno, quello di diplomatico, attraverso cui fece dei suoi sogni e ideali un motivo di vita vero. La sua carriera iniziò nel 1845 quando si trasferì a Torino per frequentare la Facoltà di Legge e accondiscendere così alla volontà del padre Lodovico, nonostante egli avrebbe preferito di gran lunga seguire la vena letteraria.
Lo storico castellamontese Il suo caro amico, Michelangelo Giorda, nel ricordarlo negli anni di università scriveva di lui: “Un poco di malavoglia in quanto avendo egli fin d’allora il chiodo della letteratura ed il bernoccolo della poesia, avrebbe preferito seguire i corsi letterari e dedicarsi all’insegnamento”[1].
In quegli stessi anni, il giovane Costantino, allora appena ventenne, non rimase estraneo alla crescente tensione dell’ambiente studentesco e sposò rapidamente le idee patriottiche del 1848 che videro il Piemonte entrare in guerra contro l’Austria nella I Guerra d’Indipendenza italiana. Nigra decise di partire volontario con la III Compagnia di bersaglieri-studenti, ma purtroppo nel combattimento di Rivoli venne gravemente ferito ad un braccio e si rese necessario un periodo di recupero dopo il quale, però, tornò nuovamente sul campo di battaglia. Una volta terminati gli studi in Legge nel 1849 partecipò al primo concorso pubblico per “applicato volontario” presso il Ministero degli Esteri del Regno di Sardegna, a Torino. Come ci ricorda il Contaretti in “Il bel Costantino: la giovinezza torinese di Nigra”, la possibilità di accedere in quell’epoca alla carriera diplomatica veniva per la prima volta contestata da Massimo D’Azeglio che si batté per l’introduzione del concorso pubblico. Se prima, infatti, solo certe fasce della società potevano accedervi, ora anche i giovani non aristocratici avrebbero potuto sperare in un futuro migliore. Con il tema in concorso dedicato al diritto di proprietà, il pensiero di Nigra sulla proprietà privata quale simbolo di ricchezza, risultò alquanto propizio. Il ruolo di applicato volontario era un lavoro semplice e gratuito, ma che si rivelò indispensabile per la sua futura carriera lavorativa. Passarono infatti solo due anni che, alla prima occasione utile, il Ministro D’Azeglio, che lo seppe apprezzare per la sua vivida intelligenza e bella calligrafia, gli offrì un posto come “applicato fisso di IV Classe” con uno stipendio annuale di mille lire, permettendogli così la tanto desiderata indipendenza economica. Con la stima e la fiducia che si seppe conquistare, Nigra, ebbe anche l’onore di essere tra gli invitati al matrimonio della figlia del D’Azeglio, circostanza che lo ispirò a scrivere “Per le nozze di Alessandrina D’Azeglio con il marchese Matteo Ricci”. Bellissimo componimento dove non si dimenticò certo della sua amata e verde terra, già citata in precedenza:
“A me fu patria e Canavese ha nome
la suberba contrada. In su la riva
D’un queto lago, di ridenti ville
Coronato e di selve, antiquo s’alza
Un castello, di mura ardue e di fosse
Un dì cerchiato; a tergo alta gli sorge
Folta d’ombre la Serra e di lontano
Le sue merlate al ciel torri sospinge
La domatrice di cavalli Ivrea”
Considerata la bella amicizia che si era venuta a creare tra i due, è doveroso ricordare come fu proprio il D’Azeglio, al momento del passaggio delle consegne al Cavour, a segnalare il giovane Nigra al grande statista, Ministro del Commercio e dell’Agricoltura dal 1850, Cavour, aveva in realtà però già avuto modo di conoscerlo ed apprezzarlo per l’efficacia e la rapidità nel redigere dei suoi dispacci urgenti destinati al Ministero degli Esteri. Fu solo con il passaggio effettivo delle consegne e, quindi, con l’avvento di Cavour alla Presidenza del Consiglio, che la carriera diplomatica del Nigra ebbe finalmente una svolta decisiva. Da quel momento diverrà, infatti, uno dei collaboratori più stretti e fidati del presidente su tutte le questioni inerenti gli affari internazionali. Ma Cavour considerava Nigra più di un semplice assistente: egli divenne per lo statista un uomo di fiducia, sempre al suo fianco nella discussione e nella preparazione dei tanti documenti ufficiali e la frase “Ne ho parlato con Nigra” che il Conte spesso annotava nelle brutte copie dei documenti, ne è chiara manifestazione. E in questo loro procedere insieme, riconoscevano che ogni successo doveva essere sorretto da un’iniziativa personale, ricercata e finalizzata dove niente e nessuno doveva essere mai lasciato al caso. Per Nigra ogni nuova conquista fu il risultato di un grande desiderio di dare il meglio di sé senza mai dimenticare gli importanti consigli del suo maestro di: “cedere sulle piccole cose per guadagnare le grandi, di non trasformare piccoli incidenti in questioni grosse; ma nelle questioni veramente importanti, nessuna transazione, nessuna rinunzia”[2]. Come vedremo nelle pagine a venire, la carriera diplomatica di Nigra vide un susseguirsi di avvenimenti importanti: a Parigi rappresentò l’Italia in qualità di Ministro Plenipotenziario presso la nuova Repubblica di Napoleone III e, anni dopo, divenne Ambasciatore d’Italia dapprima a San Pietroburgo, poi a Londra e infine a Vienna. All’età di 74 anni chiese di andare in congedo entrare a riposo al termine di una lunga e straordinaria carriera potendosi così dedicare interamente ai suoi studi, all’attività di senatore e a curare i suoi reumatismi. Tornato in Italia fece visita a Napoli e agli scavi di Pompei per poi trasferirsi nella sua abitazione invernale a Trinità dei Monti. In quel periodo romano era solito frequentare i salotti intellettuali di Donna Laura Minghetti dove ebbe persino occasione di conoscere il Carducci, del quale era grande estimatore. Solo tre anni dopo la sua salute peggiorò notevolmente e decise di trasferirsi a Rapallo dove, in suo omaggio, sventolava il Tricolore su Villa Tigullio mentre dalle navi tuonavano i ventuno tiri di cannone, quale normale consuetudine per i decani del Corpo degli Ambasciatori e dei Collari dell’Annunziata. Nella notte del 1 luglio 1907, da poco ottantenne, si spegneva il Conte Costantino Nigra lasciandoci per sempre l'eredità un esempio di alti ideali e dirittura morale. Proprio quegli stessi valori che egli volle per sempre comparire impressi nel suo stemma nobiliare!
CAPITOLO II
Braccio destro del Conte Cavour
2.1 Capo di Gabinetto di Cavour
Uno dei periodi più importanti della vita di Costantino Nigra fu sicuramente quello compreso tra il 1855 e il 1861, quando il giovane diplomatico divenne collaboratore stretto del Cavour in tutte le varie fasi nei vari passaggi che condussero all’unificazione del paese. Nel novembre ‘55 Nigra fece il suo primo passo sulla nella scena diplomatica e, in occasione della visita agli alleati della guerra di Crimea, fu così menzionato da Cavour in una lettera a Pes di Villamarina: “Porto con me, come segretario, un impiegato del ministero degli esteri, il signor Nigra”.[3] Il viaggio prevedeva la partenza da Torino con prima destinazione a Parigi alla Corte dell’Imperatore Napoleone III e poi a Londra alla Corte della Regina Victoria. Al seguito del Re Vittorio Emanuele II, la delegazione italiana vedeva il Conte di Cavour (Presidente del Consiglio dei Ministri), il Duca Vivaldi Pasqua (Prefetto del palazzo reale), il Conte Giovanni Nigra (Ministro della Real Casa), Massimo D’Azeglio (colonnello del Battaglione Piemonte Reale), il Conte di Persano (Capitano di Vascello), il Conte di Robilant ed Alessandro Riberi, medico personale del Re. Per Nigra, anche lui parte della compagnia, si trattava di partire per la sua prima missione all’estero in qualità di “segretario personale” del Conte Cavour. Il viaggio aveva lo scopo principale non solo di incontrare gli alleati della guerra di Crimea, ma anche di organizzare diplomaticamente la presenza del Regno Sardo all’imminente “Congresso di Parigi”. Per il Nigra l’occasione fu anche importante per conoscere bene la città e le persone che, di lì a breve, segneranno la parte più rilevante della sua stessa esistenza. La delegazione italiana fece un’ottima impressione ad entrambe le Corti, ma i risultati più significativi del viaggio furono la promessa fatta da Napoleone III a Cavour di consentire la partecipazione del Regno Sardo al congresso e la chiara dimostrazione di una certa nuova disponibilità. La famosa domanda dell’Imperatore “Cosa possiamo fare per l’Italia?” ne fu una prova indubbia. Cavour si riservò di sottoporre la questione a Sua Maestà il Re ed incaricò il D’Azeglio di compilare la risposta. La mattina successiva, dopo ore ed ore trascorse nello studio del D’Azeglio, Nigra consegnò la Memoria a Cavour che ne apprezzò la buona forma, ma non l’eccessiva prolissità. Onde evitare che l’Imperatore non la leggesse, Cavour, decise quindi di riscriverla di suo pugno, di leggerla al Nigra guardandolo spesso in viso per scorgerne gli effetti suscitati e di fargliela copiare ed inviare per corriere al marchese di Villamarina, a Parigi. Questa Memoria, non troppo dissimile da quella del D’Azeglio, se non per maggiore precisione e brevità, era già portatrice di quel grande disegno di unificazione tanto desiderato!
A questa prima esperienza all’estero ne seguirono altre e sempre più importanti per la sua nascente carriera diplomatica. Rientrato dalla missione e trascorse le vacanze di Natale in famiglia, già fu ora di ripartire per Parigi, questa volta con la nomina di “Capo di Gabinetto” del ministro Cavour. Un ruolo che gli attribuì compiti più ampi che andavano dal curare la corrispondenza, allo stendere le note per la preparazione del Congresso di Parigi e al padroneggiare quella corte imperiale francese che diverrà trampolino di lancio per nuovi e importanti successi.
Il Congresso si riunì dal 25 febbraio al 16 aprile 1856 e fu presieduto dal Ministro degli Esteri francese A. Walewski, con il fine di restaurare la pace dopo la guerra di Crimea conclusasi con la vittoria schiacciante di Francia, Turchia, Regno Unito e Regno di Sardegna contro la Russia. La vera motivazione per cui Cavour tenne a parteciparvi fu, però, il mettere in risalto la questione italiana e dimostrare come l’Austria, con i suoi continui interventi sugli Stati della penisola, fosse ormai divenuta elemento di forte disordine. Il discorso di Cavour si rivelò memorabile non solo perché per la prima volta il Piemonte parlava a nome di tutta la penisola, ma anche e soprattutto perché l'Europa intera volgeva finalmente lo sguardo alla questione italiana. A conferma del successo ottenuto, l’Imperatore Napoleone III, in incontri privati e immediatamente successivi, già considerava la possibilità di un consistente aiuto al Piemonte qualora avesse combattuto contro l’Austria. Seppur il Congresso non portò all’ampliamento territoriale sperato quale risarcimento dell’impegno bellico, è pur vero che diede già buoni effetti. E di ciò il Cavour si ritenne altamente soddisfatto!
Il Congresso di Parigi si concluse con il noto “Trattato di Parigi” e mise in evidenza un Nigra di assoluta eccezione tanto da promuoverlo “Vice Console di 1°classe” il 5 maggio 1856 e “Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro”. Lo storico Umberto Levra scrive scrisse di lui: “In quegli anni il Nigra si rivelò un diplomatico di prima grandezza, sotto la guida di Cavour: fu quest’ultimo a inventare Nigra e non Massimo D’Azeglio”[4].
2.2 La missione segreta presso Napoleone III
«La Valle del Po, la Romagna e le Legazioni avrebbero costituito il Regno dell'Alta Italia, sul quale regnerebbe Casa Savoia. Al Papa si conservava Roma e il territorio che la circonda. Il resto degli Stati del Papa, con la Toscana, formerebbero il Regno dell'Italia centrale. La circoscrizione territoriale del Regno di Napoli non verrebbe modificata. I quattro Stati italiani formerebbero una Confederazione a somiglianza della Confederazione Germanica, della quale sarebbe data la presidenza al Papa, per consolarlo della perdita della miglior parte dei suoi Stati. Questo assetto mi parve interamente accettabile, fatta la considerazione che il Re di Sardegna, essendo Sovrano di diritto della metà più ricca e più forte dell'Italia, sarebbe stato sovrano di fatto di tutta la Penisola»[5].
Così Cavour e Napoleone III sognavano il futuro della penisola italiana. Un futuro che iniziò a fine nell’agosto 1858 quando Nigra fu inviato ufficialmente nella capitale francese con un banale pretesto, ma con il compito preciso di prendere accurati contatti che porteranno, di lì a breve, a quello che sarà l’incontro segreto di Plombières.
Tutto il periodo che condurrà all’incontro fu per Nigra intenso di lavoro e spostamenti, ma non certo privo di grandi soddisfazioni. Si trattava di una questione assai complessa considerato che la costruzione di uno Stato nazionale avrebbe richiesto non solo un’attenta analisi, ma anche e soprattutto una massima segretezza. Una così complessa faccenda richiedeva, di conseguenza, che ogni singola dinamica fosse ben giustificata di fronte all’opinione pubblica internazionale. Ancor più considerato che proprio l’Austria dell’Imperatore Francesco Giuseppe sarebbe dovuta cadere in trappola e portata a scatenare essa stessa il conflitto contro il Regno Sardo. Come il Crispi ricordò al conte Cavour, seguire le normali vie della diplomazia pubblica sarebbe stato non solo inutile ma anche dannoso, e solo il Nigra poteva essere l’uomo perfetto per “trattare direttamente con l’Imperatore al di fuori della diplomazia ufficiale”[6]. L’organizzazione dell’incontro andò a buon fine ed il 21 luglio 1858, nella cittadina termale di Plombières, si stabilirono i presupposti segreti per la II guerra d’indipendenza italiana di cui solo Napoleone III, il cugino Gerolamo Napoleone, Cavour e Nigra erano perfettamente a conoscenza:
- la Francia s’impegnava con un esercito di 100.000 uomini a favore del Regno Sardo in caso di attacco austriaco
- la Francia sarebbe stata compensata con la cessione del territorio di Nizza e della Savoia appartenenti al Regno di Sardegna
- il Re Vittorio Emanuele II avrebbe dato in sposa la giovane figlia Clotilde al cugino dell’Imperatore, Gerolamo Napoleone Bonaparte
- il futuro Regno dell'Alta Italia avrebbe sostenuto le spese di guerra.
La suddivisione del futuro Regno d’Italia era, invece, così definita:
- Regno dell’Italia del Nord con Piemonte, Liguria, Sardegna, Lombardia, Veneto, Romagna per i Savoia
- Regno dell’Italia Centrale con Toscana, Marche, Umbria per il Principe Gerolamo Napoleone
- Regno delle due Sicilie a Luciano Murat, figlio dell’ex Re di Napoli
- Stato Pontificio ridotto al solo Lazio
- Roma a capitale del Regno d’Italia.
Dopo l’incontro privato di Plombiéres, i contatti tra Torino e Parigi divennero intrattenuti principalmente da Costantino Nigra. Il suo compito era di provocare quella famosa miccia, che mai e poi mai nessuno, avrebbe ancora immaginato potesse condurre a quella che sarà l’unificazione d’Italia. Cavour era certo di essere in buone mani al punto che in una lettera indirizzata a Napoleone asserì: “Sire, a seguito dell’invito che mi ha voluto indirizzare, invio immediatamente a Parigi il sig. Nigra, mio segretario personale, con questa lettera. Il sig. Nigra merita una fiducia illimitata, Io sono sicuro di lui come di me stesso”[7]. Ma anche lo stesso Gerolamo Bonaparte tenne a ribadire: “Gli affari che noi trattiamo sono di tale importanza che io credo sarebbe utile che il signor Nigra venisse spesso a Parigi, ch'egli fosse il nostro trait d'union permanente (...). L'imperatore, voi, Nigra ed io sappiamo tutto senza eccezione”.[8]
Per quanto concerne le condizioni segrete stabilite a Plombières, non vi è dubbio, che quella relativa alle nozze richiese ancora a Nigra grande impegno e grandi fatiche e responsabilità. Era il 7 maggio 1858 quando, una lettera di Cavour a Napoleone, evidenziava l’urgenza di suggellare un’alleanza tra Regno di Sardegna e Francia attraverso il matrimonio della principessa Clotilde con il principe Napoleone Girolamo. Le trattative non furono semplici, ma Nigra fu estremamente cauto e prudente tanto che, nel riferire a Cavour, si permise solo di evidenziare che se l’unione non si fosse celebrata sarebbe stato utile posticipare l’iniziativa. Ulteriori e fuorvianti dettagli vennero sapientemente omessi. Il tutto andò secondo i piani, la cerimonia fu celebrata come da accordi e Nigra, ancora una volta, si rivelò quel tramite segreto ed indispensabile da essere l’elemento cruciale di tutta l’ingarbugliata vicenda. Il clima europeo, invece, intendeva preservare la pace sollecitando la convocazione di un’assemblea nella quale la questione italiana poteva essere affrontata con assoluta calma e obiettività. Senza negare tale soluzione, il binomio Cavour-Nigra, continuò comunque ad esasperare il conflitto con l’Austria affidando anche a Garibaldi, il compito di reclutare volontari e mobilitarli verso la frontiera austriaca come atto di provocazione verso Vienna. Il ricorso al generale rientrava in un preciso piano tattico che coincideva anche con i tanti moti patriottici che stavano attraversando la penisola e che erano motivo di forte instabilità politica.
Cavour e Napoleone III,al fianco l’uno dell’altro, scrissero di quel momento: “Noi ci ponemmo a percorrere insieme tutti gli Stati dell’Italia, per cercarvi quelle cause di guerra così difficili a trovarsi. Dopo aver percorso mentalmente tutta la Penisola, giungemmo, per caso a Massa e Carrara: e lì scoprimmo quello che cercavamo con tanto ardore… provocare un appello degli abitanti al Re Vittorio Emanuele II”[9].
Per spazientire ulteriormente gli austriaci, il Cavour, chiese anche sostegno al Re Vittorio Emanuele II che, a pochi pochi mesi dallo scoppio della guerra, il 10 gennaio 1859, pronunciò il famoso discorso del “Grido di dolore” alla Camera per l’inaugurazione della IV legislatura del Parlamento subalpino. Quel discorso, accolto da applausi scroscianti, riassumeva in sé il significato profondo di quel faticoso momento:
“Signori senatori! Signori deputali! L'orizzonte in mezzo a cui sorge il nuovo anno non è pienamente sereno: ciò nondimeno vi accingerete colla consueta alacrità ai vostri lavori parlamentari. Confortati dall'esperienza del passato, andiamo risolutamente incontro alle eventualità dell'avvenire. Quest'avvenire sarà felice, riposando la nostra politica sulla giustizia, sull'amore della libertà e della patria. Il nostro paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei consigli dell'Europa, perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli giacche nel mentre che rispettiamo i trattati, NON SIAMO INSENSIBILI AL GRIDO DI DOLORE, CHE DA TANTE PARTI DI ITALIA SI LEVA VERSO DI NOI. Forti per la concordia, fidenti nel nostro buon dritto, aspettiamo prudenti e decisi i decreti della Divina Provvidenza”.
Nonostante le toccanti parole del Re e i primi cenni di intolleranza dell’Austria alle agitazioni nella penisola e all’arrivo dei tanti patrioti da Parma, Piacenza, Massa e Carrara che stavano affluendo in Piemonte, Cavour non si lasciò comunque andare a facili entusiasmi. Il rischio di una qualsiasi mediazione diplomatica avrebbe potuto ancora mandare tutto all’aria. Ma è proprio in questo clima di tensione e sfiducia che, il 24 aprile 1859, inaspettato arrivò il minaccioso ultimatum austriaco che intimava l’immediato disarmo e l’allontanamento dei volontari. Subito Cavour telegrafò a D’Azeglio e Nigra, entrambi a Parigi, per avvisarli soddisfatto che il casus belli non era affatto concluso. La situazione si fece subito incandescente e, da Parigi e Londra, il consiglio era di acconsentire al disarmo e partecipare al Congresso al pari delle altre grandi potenze, ma al netto rifiuto del Cavour perentoria arrivò la dichiarazione di guerra che fece portò Cavour a pronunciare la celebre frase: “Il dado è tratto!”. Quel no era la premessa per la realizzazione di quel sogno tanto impossibile quanto desiderato di creare uno Stato nazionale italiano.
Nel rispetto dei patti di Plombières, Vittorio Emanuele II, invocò l’intervento della Francia alleata e si preparò a sostenere l’urto dell’Austria. Ci furono battaglie cruenti, le più sanguinose quelle di San Martino e Solferino che contarono migliaia di caduti sul campo, ma quando la liberazione dell’Italia settentrionale sembrava ormai cosa certa, ecco piombare l’annuncio di un armistizio a Villafranca tra Napoleone III e Francesco Giuseppe, sottoscritto dal Re Vittorio Emanuele II. Consegnata al Nigra la copia dei preliminari il Re proseguì per Monzambano dove l’attendeva il suo primo ministro sconvolto dall’inaspettata notizia, il Conte Cavour. Nella notte tra l’11 e il 12 luglio 1859 Nigra fu presente come unico testimone al furioso colloquio tra i due, al termine del quale Cavour fu intimato dal Re di andarsene a dormire. Quella era una chiara ed esplicita richiesta di dimettersi. Inutile dire che in quel momento Nigra ebbe un ruolo essenziale accanto al suo maestro che, anche nel suo ritiro a Leri, neppure mai dimenticò il suo fedele amico verso il quale mantenne sempre grande ammirazione e fiducia. L’Armistizio di Villafranca pose così fine alla II guerra d'indipendenza e, con la stesura del “Trattato di Alleanza” fra Regno di Sardegna e Impero di Francia, esempio di fine ed accurata strategia, il Nigra verrà designato “Nestore della diplomazia italiana” che per la mitologia greca, è il più vecchio e saggio dei sovrani. Come ha sottolineato Roberto Favero: “La preparazione della guerra del 1859, con gli accordi di Plombiéres e la conclusione dell’alleanza tra il Piemonte e la Francia furono il capolavoro politico di Camillo Benso conte di Cavour e Nigra mise al servizio della grande causa tutta la conoscenza della Corte francese e del carattere dell’imperatore, da lui perfettamente compreso, nel suo misto di sogni e di nobile incostanza, ma anche di tenacia e di perseveranza”[10]. L’impegno del Nigra si rivelò quindi vitale in questo processo di costruzione di un’unità nazionale al fianco del Cavour, a cui molto altro sarebbe però ancora dovuto seguire. Se il 17 marzo 1861 si festeggerà la proclamazione del Regno d’Italia è altrettanto vero che il 6 giugno dello stesso anno morirà il grande statista Cavour. Stando alle parole di Chabod il Nigra apparirà, da quel momento, privo di slancio nel proseguire, ma gli futuri dimostrarono egregiamente come, seppur fosse evidente gli mancava una parte di sé, continuerà fiero e sicuro nel suo cammino. Un cammino ricco di nuovi incarichi, onori politici e riconoscimenti internazionali. E così quell’uomo che Chabod raffigurò della stagione cavouriana, che si spense con la morte del suo maestro, fu invece destinato a svelare al mondo intero la sua umile e straordinaria grandezza!
2.3 Ministro Plenipotenziario a Parigi (1861-1870)
Il 7 febbraio 1860 Nigra fu nominato Ministro Plenipotenziario a Parigi assumendo un ruolo impegnativo e gratificante allo stesso tempo. Le cronache dell’epoca ci raccontano di una brillante vita parigina fatta di ricevimenti, balli in maschera e partite di caccia in cui con l’arte finissima della parola, egli faceva breccia su rapiva cuori femminili innamorati. Doveroso, in proposito, un giudizio su Nigra del 1899 di Gustave Rothan, diplomatico e storico francese: “Aveva iniziato il suo lavoro nell’ombra, a tutti conosciuto prima d’apparire alla luce del sole. Il suo tatto, lo charme che emanava da lui, il suo sapere, la rettitudine e la prontezza dei suoi giudizi, condizionavano le scelte dei suoi superiori, le sue brillanti qualità gli avevano assicurato il favore inalterabile dell’imperatore e dell’Imperatrice. A tutti i suoi meriti esteriori, fatti per piacere e per sedurre, Nigra aggiungeva l’arte della parola e riusciva a ottenere confidenze senza confidare i propri segreti. Venne accreditato ufficialmente alle Tuileries e familiarmente a Palazzo Reale, ove le intese erano raramente d’accordo; veniva coinvolto negli affari di Stato più delicati nei momenti maggiormente critici. Impegnato talvolta a dover interpretare una politica fatta di reticenze, aveva avuto dalla sua parte la fortuna - o la sorprendente abilità – di sapere come non compromettersi mai. La sua azione diplomatica è stata spesso messa in discussione dal patriottismo italiano deluso, ma la sincerità delle sue simpatie personali nei confronti della Francia non è mai stata oggetto di discussione”. G. Rothan, Révue des Deux Mondes, Tome 151, 1899, p.529-561. Parole bellissime e cariche di emozioni. Quelle stesse emozioni che Nigra metteva nel suo lavoro, sin dai primi giorni parigini, volto a proteggere gli equilibri tra la nuova Italia e gli Stati europei e ad assicurare protezione allo Stato Pontificio in Roma. Il primo incontro fu con il Principe Gerolamo Napoleone ed il Ministro Thouvenel e, successivamente, con l’Imperatore Napoleone III. Passarono pochi mesi e il 25 marzo 1860, a soli 32 anni, Nigra venne ufficialmente nominato “Ministro Residente a Parigi”, attività che portò avanti per vari anni a parte una breve parentesi a Napoli come “Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario per le Regioni del Sud Italia”. Tante furono le faccende di cui Nigra dovette occuparsi, ma è mia intenzione approfondire qui uno degli argomenti che non solo lo occuparono maggiormente, ma che forse più di altri riguardano da vicino quel famoso processo di unificazione d’Italia: la “Questione romana”.
Come noto il 17 marzo ‘61 il primo Parlamento unitario proclamò il Regno d’Italia, ancora però mancante di Roma e Lazio (che appartenevano allo Stato Pontificio) e delle Venezie (che appartenevano all’Austria). Ma se la conquista di Venezia si risolse con un conflitto e consentì al Re Vittorio Emanuele II di entrare trionfante a Venezia il 7 dicembre ‘66, la questione romana risultò ancor più lunga e complessa.
Il Governo italiano era allora in mano a Bettino Ricasoli il quale affidò il Ministero degli Esteri a Emilio Visconti Venosta, cavouriano d’eccellenza e descritto da Chabod come un politico tra i più calcolatori e cauti che ci fossero. Il carteggio Visconti Venosta-Nigra, curato da Roberto Favero in “Il completamento dell’Unità d’Italia dopo la morte di Cavour” abbraccia il periodo che va dal 1861 al 1876 e mette in risalto le due straordinarie figure. Come evidenziato nella presentazione di Nerio Nesi, Presidente della Fondazione Camillo Cavour, essi furono uniti da quell’appartenenza alla “Destra storica” che vedeva, nell’interesse superiore del Paese, il principio fondamentale su cui basare i propri comportamenti politi e morali. A rafforzare questa loro unione d’intenti vi era poi un livello di assoluta parità basato su amicizia, fiducia e stima reciproca, nonostante le differenze sociali e di classe (Venosta era un ministro aristocratico e Nigra un funzionario borghese). Differenze che nella società politica piemontese dell’epoca avevano un preciso carattere gerarchico. Nel decennio 1863-1873 lavorarono instancabilmente per dirigere una delle fasi più complesse della storia risorgimentale che vide proprio l’annessione delle Venezie e di Roma. Quella stessa Roma che Cavour, al primo discorso alla Camera dei Deputati, indicava descriveva come: “Roma è la necessaria Capitale d’Italia, perché senza che Roma sia riunita all’Italia come sua Capitale, l’Italia non potrebbe avere un assetto definitivo”. L’idea cavouriana era che conquistando Roma e facendone il centro politico ed amministrativo dello Stato italiano sarebbe stato possibile decentrare per sempre il potere della Chiesa. Ma se è pur vero chea la Francia era interessata a liberarsi dal fardello di guardia del Papa ritirando la guarnigione militare attestata a Civitavecchia dal 1849, è altrettanto vero che l’Italia era costretta ad una politica di prudenza per non irritare i sentimenti dell’opinione pubblica internazionale. Specie di quella francese considerato che in tempi non lontani aveva sostenuto proprio la causa italiana. Ma il vero problema è che mai e poi mai, la Francia, avrebbe potuto accettare la proclamazione di Roma Capitale visto che la città apparteneva da tempo al Papato e non vi erano ragioni urgenti per cambiare lo stato delle cose. Ci vollero ripetuti e laboriosi tentativi, da parte dell’ormai straordinario inossidabile binomio Cavour-Nigra per trovare una soluzione pacifica ed efficace al problema. Nel 1861 per iniziativa del Conte Cavour si stilò allora un primo progetto di trattato in cui erano presenti tutti i punti che verranno poi definiti nella convenzione definitiva che, purtroppo, si bloccò per l’improvvisa e amara scomparsa dello statista il 6 giugno 1861. Per Nigra quello fu un colpo durissimo che gli procurò vuoto e smarrimento perché aveva perso per sempre il suo grande maestro e sostenitore, ma le ultime parole dette, prima di spirare, “Ho ancora due cose da fare, Venezia e Roma; il resto lo faranno poi loro”, lo indussero comunque a portare avanti i lavori interrotti proprio come Cavour li aveva pensati. In questo programma due erano i punti essenziali: la cessazione dell’occupazione e il principio di non intervento. Quest’ultimo, del resto, unico e solo motivo per il quale Napoleone III sarebbe stato disposto a scendere a compromessi visto che la possibilità di convincerlo circa la riduzione del potere del Papa o di affidare Roma all’Italia erano questioni assolutamente improponibili.
Finalmente dopo lunghe trattative si sottoscrisse a Parigi la cosiddetta “Convenzione del 15 settembre 1864” che porta proprio il nome dalla data in cui venne firmata. La firma fu apposta dal Governo del Re d’Italia rappresentato dal ministro Nigra e dal marchese Pepoli e dal Governo dei Francesi con il ministro degli Affari Esteri Drouyn de Lhouis. Come scrisse lo stesso Nigra in un suo comunicato a Visconti Venosta: “Essendo S.M. il Re risoluto ad accettare il trattato quale era formulato dal progetto, volle dare a me ed al M.se Pepoli i primi poteri necessari per la conclusione di questo accordo”[11]. La Convenzione stabiliva i seguenti punti:
Art. I L’Italia si obbliga a non attaccare e ad impedire anche con la forza qualunque attacco contro il territorio del Papa
Art. II La Francia ritirerà le sue truppe da Roma gradualmente per dare tempo all’esercito pontificio di organizzarsi, ma fissa il termine di evacuazione entro e non oltre due anni
Art. III L’Italia permetterà la costituzione di un esercito papale sufficiente a garantire la sicurezza del Santo Padre
Art. IV L’Italia si impegna nel farsi carico di una parte del debito pubblico della Chiesa
Un Protocollo aggiuntivo e segreto prevedeva, inoltre, che la Convenzione divenisse efficace solo quando il Re d’Italia avesse dichiarato il trasferimento della capitale del Regno da Torino ad altra città, scelta su valutazione di una commissione militare ed entro sei mesi. Nella corrispondenza del Nigra con Visconti Venosta si legge, tra l’altro, che il governo italiano avrebbe giustificato la questione evidenziando che per esclusive ragioni strategiche e di interna amministrazione, aveva scelto di trasportare la capitale in altra città. Città che fu presto identificata in Firenze (1865-1871). Come da suggerimento volontà di Nigra la Convenzione riprese le linee guida del disegno di Cavour apportando solo due variazioni: se nel progetto iniziale i francesi avrebbero dovuto lasciare l’Italia immediatamente e non era previsto l'obbligo di trasferimento della capitale, nella Convenzione l’evacuazione era consentita entro due anni ed il trasferimento era condizione sine qua non. L’autunno 1864 fu un periodo ancora fecondo di avvenimenti, ma già la firma della Convenzione tra Italia e Francia riattivò quel processo di costruzione nazionale che solo pochi anni prima era ancora lontano da ogni immaginario. Mancavano all’appello ancora Roma e Lazio, ma basterà attendere il 20 settembre 1870 quando il Generale Cadorna, alla guida di un nutrito numero di bersaglieri, aprì una breccia nelle mura a Porta Pia ed irruppe nell’Urbe. Il trasferimento ufficiale della Capitale d’Italia da Firenze a Roma avvenne poi il 1 luglio 1871.
E’ doveroso, a questo punto, affermare che il contributo di Nigra alla Convenzione abbia permesso il raggiungimento di un altro importante fine, coerentemente al disegno di Cavour. Interessanti e degne di nota, a tal proposito, le parole conclusive di una lettera del Nigra a Venosta: “Io penso che il Governo del Re abbia ragione di essere soddisfatto di questi lunghi e difficili negoziati. Per poco che si considerino le presenti circostanze politiche e lo stato dell’opinione pubblica in Francia e nell’Europa Cattolica, per poco che si voglia rammentare la vivacità delle passioni che la questione romana sollevò nel mondo, ogni uomo imparziale giudicherà che il Governo Italiano e la sua Diplomazia ottennero un reale successo e bene meritarono per l’Italia non solo, ma anche per la causa liberale in Europa. Non rimane che l’Italia, al di cui vantaggio più speciale rimane la presente Convenzione, l’accolga e la giudichi senza passione e senza pregiudizi. Il senso politico che forma uno dei principali caratteri della nostra ragione mi fa sperare che così sarà”[12].
CAPITOLO III
La carriera diplomatica del Nigra nell’Europa di fine 800
3.1 Ambasciatore d’Italia a San Pietroburgo, 1876-1881
Il 5 maggio 1876 il Re Vittorio Emanuele II dispose il trasferimento di Nigra da Parigi a San Pietroburgo con le funzioni di Ministro Plenipotenziario, ma l’elevazione al ruolo di Ambasciatore verrà poi formalizzata con regio decreto il 22 giugno successivo. Nonostante il lasciare la Francia significava abbandonare quei luoghi che lo avevano posto messo al centro dell’attenzione internazionale, Nigra accolse con grande gioia la nuova nomina sia per il desiderio di provare nuove esperienze sia per l’attrazione che quella terra tanto suscitava in lui.
Dall’analisi dei carteggi che Nigra intrattenne con i vari Ministri degli Esteri che si sono susseguiti in questi cinque anni (Melegari, Depretis, Corti), si può facilmente evincere la mole di attività di cui Nigra dovette occuparsi. In particolare, il mio lavoro si concentrerà nell’opera che egli svolse in Russia proprio negli in anni in cui la complessa “Questione d’Oriente” e, nello specifico la guerra russo-turca (1877-1878), scaldò non poco gli animi dei diplomatici. Combattuta tra l’Impero Russo e l’Impero Ottomano, la guerra battaglia fu innescata da violente repressioni dei mussulmani sui cristiani di Bosnia, Erzegovina, Bulgaria e Montenegro, alle quali la Russia diede appoggio intravedendo la possibilità di estendere la propria influenza fino al Mediterraneo. Premesso che l’Impero di Russia nutriva da sempre un grande interesse a sviluppare con l’Italia più intensi rapporti di collaborazione, sin dai primissimi incontri Nigra si prodigò a creare quel clima di rispetto e fiducia, affinché, come in passato, anche per il in futuro le due Corone avrebbero potuto perseguissero obiettivi comuni. Da Roma, il Ministro degli Esteri Melegari scriveva infatti al Nigra: “L’abilità e lo zelo di V. E. mi sono pegno che, mercé l’opera sua, saranno viepiù rassodati i buoni rapporti esistenti tra l’Italia e la Russia ed avranno tutela tutti i legittimi nostri interessi, mentre per la diligente osservazione dei fatti so di poter far pieno assegnamento sulla perspicacia e l’avvedutezza di cui V. E. già diede prove luminose”[13].
Nigra incontrò per la prima volta l'Imperatore Alessandro II ad Ems (località termale della Germania) che subito volle ringraziare il Re d’Italia per il supporto negli sforzi a pacificare l'Oriente e per l’ottima scelta del suo Ambasciatore. Gratificato, Nigra scrisse in proposito: “E volle con grande bontà aggiungere che era grato al Re della scelta da lui fatta del suo primo Ambasciatore in Russia”[14]. Poche settimane dopo ebbe luogo l’udienza ufficiale per la presentazione delle lettere credenziali, che divenne occasione importante anche per ricevere informazioni sull’ultimo incontro che lo Czar ebbe con l’Imperatore d’Austria-Ungheria. Il programma dei due governi stabiliva il principio di non intervento nel conflitto turco-serbo onde evitare spargimenti di sangue, a meno che la situazione non fosse divenuta insostenibile. Le provincie sarebbero, di conseguenza, rimaste soggette alla Sublime Porta seppur non si escludeva il raggiungimento di un’autonomia amministrativa e finanziaria. Al timore di Alessandro II di non essere supportato nella sua volontà dagli altri Governi, Nigra seppe trovare giuste parole per ribadire come il Governo del Re lo aveva espressamente incaricato di informare che la politica italiana coincideva perfettamente con quella russa i suoi obiettivi. E ciò costituì la base non solo di una maggiore tranquillità dello Czar, ma anche e soprattutto di una più solida alleanza tra Italia e Russia. Il tempo passava inesorabile e la situazione stava però precipitando. A questo punto la proposta del governo britannico di una “Conferenza a Costantinopoli” delle Grandi Potenze, divenne indispensabile per trattare due principali questioni: le eventuali misure amministrative-finanziarie da introdurre nelle Provincia Turche di Bosnia, Erzegovina, Bulgaria e le cosiddette “guarentigie efficaci e reali”. Ovvero tutte quelle garanzie che fossero in qualche modo in grado di escludere un intervento armato russo, austriaco o austro-russo. Nigra era consapevole che la Russia fosse animata da sentimenti pacifici per il desiderio di risparmiare il suo popolo e l’Europa dalla sciagura di un conflitto, ma era altrettanto cosciente che se soluzioni alternative avessero tardato ad arrivare difficilmente si sarebbe fermata. Se inizialmente lo Czar si era dichiarato contrario all’uso delle milizie, adesso qualcosa stava profondamente cambiando e molte cose parvero sfuggire di mano. Nigra fu immediatamente incaricato, con questa lettera di Melegari, di raccogliere notizie in merito: “Penso che potrà essere utile che la Russia non abbia alcun dubbio sulla nostra posizione reale su questo soggetto, ma la natura segretissima delle comunicazioni che voi dovete fare a questo scopo, esigono che voi sondiate cautamente il terreno, per avere la certezza che fra i tre Imperi non esista a questo riguardo alcuna intesa contraria ai nostri interessi”[15]. Nel rispondere alla richiesta, Nigra, seppe informare con assoluta chiarezza l’evolversi della situazione senza però suscitare inutili e ancora precoci allarmismi. Ciò nonostante, il ministro Melegari considerò gravissimo tale cambiamento d’opinione della Russia, considerato che sin dal 1867 gli interessi italiani nell’Adriatico erano garantiti non solo dal contrasto Russia-Austria, ma anche dall’opposizione della Russia verso l’ampliamento territoriale dell’Austria in Bosnia. Ma al di là dei propri interessi, l’Italia voleva anche salvaguardare la pace e fare in modo che le popolazioni oppresse potessero migliorare le loro condizioni di vita. Scrisse a questo proposito il ministro Melegari: “Noi non ci prefiggiamo altro intento, tranne quello di agevolare, mercé la conservazione del buon accordo tra le Potenze, il mantenimento della pace e l’allontanamento di quelle complicazioni che, per le loro gravissime conseguenze, turberebbero profondamente l’assetto e la quiete stessa dell’Europa”[16].
Progetti e controprogetti si susseguirono fino all’ultima comunicazione turca di rifiuto dell’ennesimo protocollo. A questo punto il Governo Russo, ormai stanco ed innervosito, considerò la risposta come occasione per scatenare l’azione armata. Furono giorni difficili e anche l’attività di Nigra si fece molto più intensa. I carteggi divennero giornalieri e ricchi di dettagli e consigli. In un dispaccio Nigra si sentì di suggerire al Melegari di attivarsi per un ultimo appello delle Potenze alla Porta e, magari, di approfittare anche del viaggio dello Czar a Kischineff per mandare lì un suo Inviato con le soluzioni per un rapido disarmo.
Buone le intenzioni e buoni i propositi, ma non bastarono. La guerra fu dichiarata e Nigra renderà subito noto all’Italia della pubblicazione del “manifesto di guerra” nel Messaggere Ufficiale e nel Giornale di Pietroburgo. In esso erano indicate le grandi fatiche della Russia e delle Potenze per la pacificazione, oltre all’irriducibile ostinazione turca che richiedeva l’ormai inevitabile ricorso alle armi. Nella primavera 1877 lo Czar di Russia dichiarò, quindi, guerra alla Turchia spingendo il suo esercito nel Principato di Romania e, sebbene formalmente sottoposto ai turchi, anche il principe Carlo I di Romania, dichiarò guerra al Sultano con la speranza di ottenere l'indipendenza. Dopo tutta una lunga serie di aspri combattimenti l’esercito russo sconfisse quello turco arrivando alle porte della capitale ottomana Costantinopoli. Proprio a Costantinopoli, il 3 marzo 1878, lo Czar decise di concludere il favorevole “Trattato di Santo Stefano” con il quale la Russia impose alla Turchia la cessione di buona parte dei suoi possedimenti in Europa, determinando l'indipendenza del Montenegro, Serbia, Romania e l’autonomia della Bulgaria che aveva ampliato di molto i suoi territori. L’accordo fu però intollerabile per molti paesi, soprattutto per Austria ed Inghilterra, timorose di veder compromessi certi loro interessi nei Balcani. Tale situazione fu quindi sufficiente a rettificare il Trattato di Santo Stefano con il “Trattato di Berlino” che pur confermando l'indipendenza delle provincie, privò la Russia di gran parte dei vantaggi conseguiti nella guerra contro i Russi.
Al Congresso di Berlino rappresentante dell’Italia fu l’allora Ministro degli Esteri Luigi Corti che, insieme a Nigra, condivideva un’amicizia sincera da anni. E questo è evidente anche dal Tu delle loro comunicazioni. Comunicazioni che mettono ben in luce due personalità forti e con assoluta comunanza vicinanza d’intenti: entrambi avevano come fine primo quello di evitare ogni situazione potesse penalizzare in qualche modo l’Italia. Corti, con il suo motto “Frangar, non flectar” (mi piego, ma non mi spezzo) partecipò al Congresso, sicuro che l’Italia, esponendosi come solo elemento di concordia, e non certo come potenza armata e pronta alla guerra, ne sarebbe uscita con grande onore e dignità. Oltre che in buone relazioni con tutte le Potenze e perfettamente libera delle sue azioni per l’avvenire. Principio, questo, che guidò tutti i vari Ministri degli Esteri italiani che nei cinque anni si succedettero nel tempo.
A conferma di quanto si diceva pocanzi della grande amicizia che intercorreva tra i due, ritengo doveroso sottolineare anche delle richieste del ministro al Nigra circa suggerimenti per il suo lavoro in modo che proseguisse così da proseguire più risoluto. Risponderà a tal proposito Nigra: “Non spetta ad un Ambasciatore il dar consigli al Ministro degli Affari Esteri da cui dipende, ma permetti all’amico di dare all’amico almeno questo mio consiglio. Evita persino l’apparenza di una politica inquieta ed instabile e; prima di fare un passo verso l’una o l’altra delle grandi Potenze, quale che sia questo passo, pondera bene le conseguenze; ed infine metti la più grande riserva nelle comunicazioni verbali coi Rappresentanti esteri, giacché da una conservazione verbale si può sempre, con un po’ di buona o cattiva volontà, cavare quello che si vuole”[17].
Il rapporto Nigra-Corti durò non più di sei mesi considerata la rassegna delle dimissioni del Ministro che non sentiva più il programma ministeriale in linea coi ai suoi valori e sentimenti più profondi. Il Corti si riferiva al programma della Sinistra salita da poco al potere che vedeva in Agostino Depretis il nuovo Presidente del Consiglio che inaugurò quel sistema politico che prese il nome di Trasformismo, scegliendo tra i suoi collaboratori uomini di sinistra e di destra, al fine di garantirsi maggiori consensi e proteggere così i suoi più personali interessi. Per quanto concerne la posizione di Nigra, le nuove disposizioni arrivarono appunto dal Depretis e del Ministro degli Esteri Mancini per condurlo verso nuovi ed affascinanti orizzonti. Londra lo stava infatti già aspettando. Lasciò san Pietroburgo con la malinconia di chi lascia un luogo caro che custodirà per sempre, ma pieno di curiosità per i giorni a venire. La sua partenza fu salutata da un coro unanime di congratulazioni ed auguri festosi da parte di tanti amici, che lasciava lì, in quella terra di fascino e cultura, forse dispiaciuti di perdere un così ferrato interlocutore dei salotti di Pietroburgo.
3.2 AMBASCIATORE D’ITALIA A LONDRA (1882-1885)
Il 1882 si aprì per Nigra nel migliore nei migliori dei modi. In virtù del grande ed apprezzato lavoro svolto in tutti quegli anni di impegno al servizio dell'Italia ricevette infatti dal Re Umberto I, succeduto al padre Vittorio Emanuele II, un’importante onorificenza: il titolo di Conte. Così scriveva Sua Maestà in una sua lettera consegnata a Nigra dal Depretis: “La Maestà del Re, volendo dare alla E.V. un attestato della sovrana soddisfazione pei servizi resi al paese nella sua lunga carriera, con decreto di Motu proprio in data del 21 dicembre 1882, si è degnata di concederle il titolo e la dignità di conte, trasmissibile ai suoi discendenti maschi, in linea e per ordine di primogenitura maschile, con facoltà di usare e di trasmettere un particolare stemma gentilizio”. Ad essa il Re fece anche seguire la richiesta di trasferimento in una delle Ambasciate più ambite da tutti i diplomatici di carriera, quella di Londra. Orgoglioso del nuovo titolo nobiliare, Nigra si insediò in Queen’s Gate 35, non senza però un pizzico di preoccupazione considerato l’ambiente altamente competente e qualificato. Gli impegni diplomatici erano di gran lunga più numerosi rispetto a quelli russi e la corrispondenza che egli tenne con il Ministro degli Esteri Stanislao Mancini, ne fu prova evidente. Mancini, marchese di Fusignano, si adoperò molto per la propaganda a favore dell’espansione coloniale italiana in Africa con un ardore politico che, insieme a quello del Nigra, li porterà a rafforzare ancor più quella già salda amicizia tra i due paesi.
L’arrivo di Nigra in Inghilterra si aprì nel migliore dei modi perché già dopo pochi giorni, forte del suo titolo di Conte, ottenne un’udienza privata con la Regina Victoria nella sua residenza sull'isola di White di Farnborough Hill. L’appuntamento si aprì con i racconti italiani di una giovane Regina e del suo ancora vivo ricordo per il Re Vittorio Emanuele II ed il Conte Cavour, entrambi conosciuti durante l’incontro ufficiale tra gli alleati della Guerra di Crimea avvenuto nel 1855 a Londra. L’incontro fu importante anche per introdurre l’ambasciatore Nigra a quelli che sarebbero stati, di lì a breve, gli argomenti di suo interesse circa la politica del paese, specie quella estera. Nigra rimase molto soddisfatto di quella visita al punto da ricordare una donna che pur non essendo né particolarmente bella né particolarmente brillante, lo aveva saputo conquistare con la sua cordialità e con il l’affetto sincero per il suo paese. Preso il suo posto in Ambasciata, egli venne subito assorbito dai tanti impegni che, rispetto a quelli di San Pietroburgo, gli diedero immediatamente l’idea di una Londra, allora capitale del mondo, alquanto più impegnativa e faticosa. In particolare, fu coinvolto nella dedito alla “Questione Egiziana” che tanto preoccupava la Regina Victoria e tutto il Governo Inglese. Come noto, ogni potenza coloniale, dietro il bel nome di "missione civilizzatrice", celava in realtà forti interessi a sfruttare le risorse naturali, a controllare le vie di comunicazione e a procacciare nuovi mercati di assorbimento.
La colonizzazione dell’Africa da parte dei paesi europei (soprattutto Francia ed Inghilterra) raggiunse il suo apice intorno al 1850 per occupare accaparrarsi in primis le regioni affacciate sul Mar Rosso come Egitto, Sudan e Canale di Suez. Proprio in quell’epoca, il Regno d’Egitto del Khedivè Ismail Pascià, inaugurò una politica di sviluppo di importanti infrastrutture che vide realizzati ben 112 canali e 400 ponti. Il Canale di Suez, in particolare, rappresentò una joint venture tra il governo egiziano e quello francese. Era infatti il 1859 quando il Sovrano Ismail, chiesto un considerevole prestito ai banchieri di Inghilterra e Francia, ottenne solo da quest’ultima il finanziamento sperato. La realizzazione del progetto spettò all’ingegnere italiano Luigi Negrelli, mentre, la realizzazione dei lavori al francese Ferdinand de Lesseps che fu a capo della “Compagnia Universale del Canale Marittimo di Suez”. Nel frattempo la Gran Bretagna, che sprezzava l’utilità del canale, costruì alcune linee ferroviarie tra Alessandria, Cairo e Suez per agevolare la circolazione dei prodotti. Ma il trascorrere del tempo evidenziò l’errore commesso di non aver sostenuto il progetto e, pentitasi amaramente, decise di trovare un’adeguata ed efficace soluzione.
Un altro obiettivo della politica egiziana era quello di allargare i propri confini e l’Etiopia ben soddisfava tale allettante desiderio. I due eserciti si scontrarono, ma la forza e la resistenza di quello etiope distrusse per sempre ogni speranza di conquista. Quando i debiti di guerra unitamente a quelli del canale di Suez divennero insostenibili, il paese cadde in una profonda ed irreversibile crisi finanziaria. Il Khedivè vista la complessa situazione debitoria e, dunque, l’impossibilità di ottenere nuovi prestiti, fu così costretto a vendere le sue quote di proprietà della Compagnia del Canale al governo britannico. Più semplicemente, l’Inghilterra approfittò per strappare concessioni e rimediare a “quel” famoso errore. Ora, Francia ed Inghilterra avevano entrambe parte in causa sul suolo d’Egitto e solo la creazione del “condominio anglo-francese” permise una collaborazione nell’esercizio della loro sovranità. Per nulla semplice!
Ed è proprio in questa difficile e delicata situazione che la figura di Nigra s’inserisce. Nell’Epistolario del Mancini con l’Ambasciatore, infatti, è ben evidente come il Governo del Re desiderasse fortemente che l’Inghilterra e la Francia definissero al meglio il loro compito in Egitto, nell’interesse generale dell’Europa e della Civiltà. L’Italia, del resto, pur avendo un ruolo secondario e di rappresentanza, seguiva con particolare benevolenza l’evolversi della situazione per non tralasciare quel dovere di sorveglianza dei suoi connazionali e di tutela dei suoi interessi. Lord Granville fece intendere a Nigra che il programma non prevedeva l’annessione dell’Egitto, ma solo una parziale smobilitazione delle truppe inglesi che avrebbero lasciato l’amministrazione in mano agli egiziani al popolo, pur sotto l’egida del governo britannico. L’intricato intreccio degli eventi portò presto a considerare la necessità di una conferenza internazionale per la regolarizzazione degli affari egiziani tra Francia ed Inghilterra. La nota “Conferenza di Londra” venne presieduta per il Governo Italiano dall’Ambasciatore Nigra affiancato dal Commendator Baravelli quale antico ispettore della Cassa del Debito Pubblico in Egitto. Ai fini di una preparazione prepararsi al meglio era quanto mai saggio ed opportuno avere il maggior numero di informazioni per capire bene quale posizione l’Italia avrebbe dovuto assumere. Durante i suoi incontri con Lord Granville il Nigra ebbe modo di capire che la Francia non solo avrebbe rinunciato al “condominium”, perché considerava ormai gli affari d’Egitto solo un interesse comune europeo, ma anche che si sarebbe impegnata a non procedere ad un intervento armato in Egitto senza un previo consenso inglese. In cambio chiedeva all’Inghilterra di lasciare l’Egitto attraverso una clausola d’evacuazione a scadenza prefissata, da non estendersi se non con il concerto con le altre Potenze governative. Lord Granville prese atto delle dichiarazioni francesi e affermò che l’Inghilterra sarebbe stata disposta a procedere all’evacuazione solo ad inizio 1888 se le Potenze fossero state concordi nel ritenere che tale sgombero non avrebbe comportato pericolose conseguenze per la pace d’Egitto. Su questa prima parte di programma le previsioni circa il raggiungimento di un accordo sembravano essere positive. Il punto dolente era capire se quell’accordo avesse trovato il consenso delle Potenze per correre spediti verso la conferenza ove discutere dell’aspetto finanziario. Ed è proprio su questo ultimo punto che la lotta tra i due paesi si prevedeva più che mai agguerrita: i francesi si opponevano ad ogni benché minima riduzione del debito egiziano mentre gli inglesi lo pretendevano ostinatamente.
Gli schieramenti delle Potenze vedevano Austria e Germania assolutamente a favore della proposta francese, mentre l’Italia rimase per un po’ indecisa sul da farsi. Del resto, essere a favore dell’una o dell’altra parte significava influire direttamente sulle relazioni internazionali. L’Ambasciatore Nigra, forte della sua esperienza e lungimiranza, non celò le sue preoccupazioni politiche e consigliò il ministro Mancini di pronunciarsi risoluto a favore degli inglesi. Egli non vedeva in tale risoluzione alcun svantaggio per l’Italia, tutt’altro. Infatti, se le altre Potenze europee avessero accettato la risoluzione ugualmente all’Italia, la responsabilità italiana sarebbe stata alla pari con quella degli altri governi; se invece la risoluzione fosse stata respinta, come egli del resto riteneva certo, la Conferenza avrebbe sì fallito ma con un’Italia che avrebbe dato prova della sua amicizia all’Inghilterra e di cui quest’ultima avrebbe potuto sempre tener conto. Scrisse in proposito in una sua lettera al Mancini:“Vi è un’occasione da prendere, prendetela”. (Epistolario Mancini-Nigra, p.109). Come previsto dal Nigra la Conferenza abortì completamente perché non fu trovato un accordo circa la questione del debito e dell’attribuzione di poteri alla Commissione del Debito. Fu quindi chiesta dai Plenipotenziari una proroga della conferenza ad ottobre e Nigra tenne a sottolineare che il Governo del Re non voleva sentirsi legato all’opinione espressa quel giorno. I principali giornali dei due Partiti salutarono positivamente il fallimento della Conferenza e l’Italia poté dire di aver fatto del suo meglio. E’ vero che l’incontro non andò a buon fine ma è altrettanto vero che l’Italia, a differenza di altre potenze, decise di prendere posizione ed appoggiare fermamente il Governo Inglese dimostrando grande stima e disponibilità. E di ciò l’Inghilterra fu gratificata. Granville, infatti, non tardò a manifestare a Nigra la soddisfazione per l’appoggio italiano che gli sembrava basato su un sentimento di vera amicizia per l’Inghilterra e di giusto interesse per il bene dell’Egitto.
Pochi giorni dopo, direttamente da Roma, non tardarono ad arrivare grandi elogi per l’Ambasciatore Nigra da parte del Re e del Ministro Mancini per l’impegno, la prudenza e l’esperienza sapientemente messe a favor di Patria.
Dopo un breve e meritato congedo Nigra riprese il suo posto in Ambasciata pronto a discutere con Lord Granville sulle nuove questioni in agenda. E il porto di Massaua, nel Mar Rosso, era una di queste. Non era intenzione dell’Inghilterra occuparlo, ma non si voleva lasciarlo neppure in mano ad altri. Motivo per cui si pensò di proporlo anzitutto alla Turchia, Potenza sovrana, e nel caso di non accettazione, all’Italia. Alla domanda del tutto confidenziale di Granville su un eventuale interesse italiano, il Nigra, cautamente non si espose e prese tempo per riflettere e confrontarsi. A parer suo, ciò non fu altro che un primo positivo segno di riconoscenza degli inglesi per l’appoggio precedentemente dimostrato. Un ulteriore confronto confidenziale, di giorni successivi, dimostrò proprio tale supposizione. Lord Granville affermò, infatti, che l’eventuale occupazione italiana di Massaua non doveva essere considerata come un servizio che l’Italia doveva rendere all’Inghilterra, viceversa, come manifestazione di sincera amicizia dell’Inghilterra verso l’Italia.
La solidità del rapporto che si era venuto a creare tra i due paesi era talmente evidente anche agli occhi delle altre Potenze, che molti pensarono addirittura ad una segreta alleanza. Il Governo londinese pose immediatamente fine a quelle sgradite chiacchiere affermando di rifiutare alleanze generali, ma di nutrire sincera amicizia verso Roma per la disponibilità e la correttezza dimostrata sulla questione egiziana. Inoltre, aggiunse di non avere obiezione alcuna a che l’Italia potesse occupare zone sulle coste del Mar Rosso (porti di Massaua, Zoulla e Belouil) dopo l’evacuazione degli egiziani ed il consenso della Sublime Porta.
A questo punto lo stesso carteggio tra Londra e Roma si fece quanto mai ricco ed interessante. Nigra, anche in questo caso, non tralasciò di dare il suo punto di vista sull’argomento: “Io suppongo che il Governo del Re avrà considerato la questione sotto tutti i suoi aspetti. Se io dovessi dar qui il mio pensiero, dovrei confessare che non nutro troppe illusioni intorno al profilo che l’Italia può ricavare dal possesso di quei Porti”. (Epistolario Mancini-Nigra, p.139). L’Italia era di fatto un paese principalmente agricolo, la migrazione puntava di conseguenza alla ricerca di lavori agricoli e non poteva di certo dirigersi dove questi non vi erano. Ecco perché acquisire quei Porti avrebbe avuto valore solo con una reale trasformazione del lavoro e dei lavoratori. Quei porti sarebbero, sottolineò rinforzò Nigra, potuti divenire luogo di scambio con l’Abissinia e deposito di carbone per le navi italiane se finalmente queste fossero state destinate a salpare oltre il Mediterraneo. L’occupazione di quei porti, dunque, in un’ottica di sviluppo e crescita, avrebbe rafforzato di gran lunga il potere dell’Italia nelle questioni egiziane. Fu proprio con tali premesse che l’Ambasciatore spinse con ardente motivazione e coraggio all’occupazione di quei territori, invitando il Governo Reale a procedere rapido e sicuro. Purtroppo, nonostante i buoni proponimenti, il governo italiano presieduto dal Depretis, che aveva nel ministro Mancini il responsabile del dicastero degli esteri, stava vivendo momenti di forte agitazione interna. Intuendo la vicina caduta del Governo, Mancini, che il Nigra conosceva bene Nigra e del quale era amico fidato, pensò di interpellarlo per conoscere la sua disponibilità a ricoprire il ruolo di Ministro degli Esteri. Quella proposta solleticò la curiosità del Nigra, che ma decise comunque di rifiutarla abbandonarla. Nuovo Ministro degli Esteri divenne così il conte Robilant, generale e uomo politico di grande fama internazionale e sarà proprio con lui che quell’atteso disegno di espansione italiano venne portato avanti. Correva infatti l’anno 1885 quando, dopo molti sussulti, venne finalmente occupato il porto di Massaua all’evacuazione delle truppe egiziane, gettando per sempre le basi di un ulteriore significativo avanzamento dei possedimenti italiani.
3.3 AMBASCIATORE A VIENNA (1885-1904)
Per il Re Umberto I ed il neo Ministro Robilant nessuno, meglio di Nigra, poteva occupare il posto di Ambasciatore italiano a Vienna considerato il suo brillante intelletto, la risoluta fermezza e la grande esperienza ormai acquisita e riconosciuta dalla diplomazia europea. Pur lasciando Londra a malincuore, Nigra si sentì comunque estremamente soddisfatto per quella nuova nomina che costituiva per lui un fortissimo richiamo. Anche l’Imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe, antico noto rivale nella I II e III guerra di indipendenza, accettò con soddisfazione immenso piacere l’elezione del Nigra, a cui riconosceva correttezza di comportamento anche da rivale. Nel giorno della presentazione delle credenziali infatti ebbe per il Re d’Italia, il Ministro degli Esteri e il nuovo Ambasciatore parole assolutamente cordiali e calorose. Con il Marchese Pepoli e il Conte di Robilant, Nigra diveniva così il terzo Ambasciatore d’Italia presso l’Impero Austro-Ungarico. Entrambi i suoi predecessori avevano beneficiato di ottima elevata considerazione e, per questo, al momento del congedo dall’incontro, Nigra chiese all’Imperatore di riservare la stessa considerazione un poco di quella clemenza che aveva riservato a dato loro. Stando alle parole di Nigra, l’Imperatore era un uomo forte che pretendeva dagli altri le doti del soldato e del gentiluomo, ma che sapeva rispettare anche il nemico più agguerrito purché onesto e corretto. E ciò ben chiarisce la considerazione che ebbe nei confronti delle persone che gli furono al suo fianco. Nigra aveva forse un merito in più: quello di aver guadagnato la popolarità degli ambasciatori delle grandi Potenze pur essendo ambasciatore di un piccolo Stato, divenuto anche grazie a lui, una nuova grande Potenza. Unitamente a questo anche la dirittura morale, la tenacia nel raggiungere grandi ideali di libertà, quel pennacchio da bersagliere del 1848 e quell’aureola di poeta, lo rendevano forse ancor più apprezzabile agli occhi di Francesco Giuseppe. Nel tempo la stima e la fiducia reciproca tra i due creò un rapporto d’amicizia vero, rafforzato anche dalla grande passione che entrambi avevano della caccia. Non è infatti un caso se l’Imperatore regalò al Nigra una tenuta di caccia nei pressi di Vienna per fare ogni tanto delle battute insieme. In quelle occasioni Nigra portava con sé anche il fucile che gli fu regalato da Napoleone III e costruito presso la Manifattura Imperiale di Saint Entienne. Il castello di caccia dell’Imperatore a Meyerling, dove spesso si recavano, fu purtroppo teatro di una gravissima disgrazia: il figlio dell’Imperatore, il principe Rodolfo d’Asburgo, erede al trono, fu trovato morto con la sua amante la baronessina Maria Vetzera (1989). L’Europa intera rimase scossa ed impressionata e Nigra venne incaricato direttamente dal Governo Crispi di stilare un rapporto quanto più dettagliato possibile sulla vicenda. Dettagli agghiaccianti vennero ben presto alla luce: la giovine, di bella presenza e appena diciottenne, fu ritrovata morta con le mani incrociate mentre l’arciduca era per metà fuori dal letto. Lo indagini lasciarono dunque presupporre ad un omicidio-suicidio. Devastato dal dolore, l’Imperatore desiderò per il figlio funerali solenni e Nigra, in qualità di delegato speciale del Re Vittorio Emanuele II, presenziò presenziare alla triste cerimonia in rappresentanza dell'Italia.
Tanti altri ancora furono gli episodi, piccoli e grandi, che coinvolsero Nigra nella sua lunga carriera viennese. Per quanto concerne il suo impegno diplomatico non si può non accennare ad una delle questioni che forse più di tutte lo coinvolse: il primo rinnovo del “Patto della Triplice Alleanza”. Si trattava della di una convenzione militare stipulata tra Italia, Germania e Austria e sottoscritta per la prima volta a Vienna il 20 maggio 1882. Contrapponendosi alla “Triplice Intesa” di Francia, Inghilterra e Russia prevedeva che in caso una di esse fosse stata attaccata da potenze nemiche, le altre avrebbero assicurato il loro intervento. Il primo rinnovo dell’alleanza del 1887 presentò una serie di difficoltà anche per alcuni risultati fino a quel momento così poco soddisfacenti: l’Italia non era stata contraccambiata della visita del Re Umberto I a Vienna mentre Germania ed Austria non comprendevano l'irredentismo italiano e l’occupazione di Massaua compiuta su suggerimento dell’Inghilterra e a loro insaputa.
I tanti carteggi di quel periodo ci raccontano di un Nigra che lavorò instancabilmente dimostrando appieno il grande impegno per il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale. Insieme al Ministro degli Esteri, il conte di Robilant, era deciso a far sì che il rinnovo dell’alleanza offrisse maggiori vantaggi all'Italia, ma Kálnoky replicò che l'Austria-Ungheria avrebbe acconsentito volentieri al rinnovo, ma senza alcuna modifica. L’Italia, infatti, era convinta che per Austria e Germania fosse utile ma non necessaria e che la forza militare venisse considerata molto modesta. Questi i motivi per i quali il Conte Robilant chiedeva al Nigra di non fare alcun passo, di non dire una parola per il rinnovamento dell’alleanza cercando di evitare ogni occasione per discutere sull’argomento. Nigra prese atto delle disposizioni, ma non mancò di dare le sue opinioni. Anche lui era dell’idea che “non ci conviene far buon mercato della nostra alleanza, e di mostrare un soverchio impegno” Epistolario Robilant-Nigra, p.36 ma voleva prevenire eventuali e scomode conseguenze che una tal scelta avrebbe potuto comportare. Se, infatti, i Governi di Austria e Germania non avessero fatto passi verso l’Italia e si fosse arrivati alla scadenza del trattato, l’alleanza sarebbe finita e con essa probabilmente anche l’amicizia. Per quanto magari a voce dichiarata, poi nei fatti forse non sarebbe più stata la stessa. Proprio per scongiurare dei pericoli, Nigra consigliò il Robilant di far pervenire una Dichiarazione ai due governi ed una al Parlamento per non lasciare dubbi e tagliar corto su ingiusti commenti e supposizioni. Cauto e risoluto com’era, Nigra non si lasciò andare a facili pessimismi, di tempo ancora ce n’era e non bisognava abbattersi. La soluzione migliore era sì quella di serbare un certo silenzio con il conte Kalnoky, ma rimanendo sempre disponibili e fiduciosi. Ma i giorni passarono e quel silenzio venne bruscamente interrotto dall’ipotesi italiana di abbandonare l’alleanza se le sue aspirazioni di conquista nel Mediterraneo fossero state deluse e ciò destò fortissima preoccupazione. Solo l’intervento risoluto e tempestivo del cancelliere tedesco Bismark fu in grado di trovare una giusta soluzione nell’integrazione del Trattato con due patti bilaterali.
Il patto bilaterale Italia-Austria stabiliva che nel caso una delle due potenze avesse occupato i Balcani anche l’altra avrebbe acquisito di diritto proporzionati compensi territoriali. Il patto bilaterale Italia-Germania, invece, stabiliva che quest’ultima avrebbe dovuto supportare la politica mediterranea dell'Italia. Per esempio, avrebbe potuto dichiarare guerra se l'esercito francese avesse invaso i territori nordafricani rivendicati dall'Italia. E’ doveroso ricordare, infatti, come la Francia svolse in quel periodo un’intensa opera di espansione coloniale in Africa creando una forte concorrenza con l’Italia. Italia che trovò proprio nell’occupazione francese della Tunisia una forte spinta ad allearsi alla Triplice Alleanza. E’ facile quindi immaginare quanti interessi erano in ballo e quanto intensa fosse di conseguenza la motivazione a portare a termine il primo rinnovo della Triplice Alleanza, al quale poi seguirono quelli del 1891, 1896 e 1902.
Un altro interessante progetto che vide Nigra in prima linea fu quello relativo alla nomina di Capo della delegazione italiana alla prima “Conferenza per la Pace e il Disarmo” proposta dallo Zar russo Nicola II. La Conferenza si aprì il 18 maggio 1899, con ventisei stati membri che governavano l’allora scena mondiale, per istituire una “Corte permanente di arbitrato” quale istituzione con giurisdizione sovranazionale per la risoluzione di controversie internazionali che avrebbero dovuto evitare la guerra, per discutere sul disarmo e sulla limitazione di armamenti. Le Convenzioni dell’Aja rappresentarono, quindi, i primi tentativi di formalizzare leggi per i tempi di guerra e definire i concetti di crimini di guerra all’interno del diritto internazionale.
Il ruolo di Nigra alla Conferenza dell’Aja fu quello di presiedere coordinare il Comitato per l’Arbitrato, compito fattibile se non fosse che a complicare le cose si presentò la questione sulla partecipazione della Santa Sede. In realtà, la natura della Conferenza permetteva la partecipazione di Stati aventi un territorio, ed il Vaticano con la perdita del potere temporale dei Papi, non ne possedeva alcuno. I paesi che pretendevano la presenza del Papa quale migliore arbitro per i conflitti tra Stati, avevano forse intenzione di rimettere in discussione la legittimità di Roma Capitale. La tensione salì alle stelle e dall’Italia giungevano categoriche le istruzioni a Nigra per informare che sarebbe stato poco auspicabile che una delegazione italiana sedesse accanto ad una delegazione pontificia in una conferenza politica e militare. Al punto che, il Governo di Sua Maestà, non esitò a confermare l’astensione dal prendervi parte se la Santa Sede fosse stata confermata. Nel sondare l’opinione che circolava, Nigra scrisse al Ministro degli Esteri Canevaro che i Gabinetti di Austria e Germania avrebbero lasciato il Governo libero di accettare o non la sua partecipazione, sottolineando però che essi avrebbero certamente pensato che “in una Conferenza Internazionale in cui è esclusa ogni questione territoriale e nella quale deve trattarsi dell’arbitraggio internazionale, attribuito talvolta al Papa, la presenza di un rappresentante pontificio non dovrebbe essere per il Governo italiano ragione sufficiente per astenersi ed esporsi all’accusa di contribuire all’insuccesso della proposta russa”. Epistolario Canevaro-Nigra, p.14
In seguito anche la Germania dettò le sue condizioni affermando di rinunciare qualora anche una sola delle grandi Potenze non avesse aderito; innescando così un meccanismo a catena che avrebbe portato probabilmente anche l’Austria-Ungheria a desistere dal parteciparvi. Con conseguente inevitabile fallimento del tutto.
Tentare di risolvere la questione non fu quindi semplice, specie quando a complicare ulteriormente le cose, un rappresentante belga si ostinò a fare approvare una risoluzione che permettesse la presenza di almeno un delegato del Papa. Nigra anche in questo caso, si rivelò molto abile nel trovare rapidamente una soluzione che prevedesse la lettura di un messaggio del Papa, senza relativa discussione in merito.
Dopo anni di assiduo lavoro, Nigra cominciò pian piano a pensare al suo ritiro dalla diplomazia per riposarsi in un bel castello in Canavese e dedicarsi alla grande passione della poesia e della letteratura. E’ vero che nel periodo viennese, nel poco tempo libero, concluse e pubblicò vari componimenti (Canti popolari del Piemonte, La chioma di Berenice, Inni di Callimaco su Diana e sui lavacri di Pallade, Idillii), ma quel desiderio si faceva sempre più intenso ed invadente. Il 13 luglio 1901, da Roma, giungeva un dispaccio del Prinetti nel quale era evidente il turbamento che tutto ciò provocava: “Io devo pregarla che nemmeno per ridere Ella parli dell’eventualità di un riposo, che ad uomini come Lei non può essere concesso. Ella ha reso troppi servizi al paese e al re, e questi servizi sono a loro volta troppa sicura caparra di altri grandissimi che Ella può ancora rendere, perché ella possa nemmeno pensare alla eventualità di privarne la Patria e la Monarchia. Siccome poi ho la fortuna di constatare ogni giorno che la di lei attività fisica e intellettuale non ha nulla da invidiare a quella del più giovane diplomatico, così mi permetto quasi di farle dolce rimprovero d’aver anche solamente espresso un simile pensiero”. Epistolario Prinetti-Nigra, pag. 23
Bisognerà attendere il 1902 quando Nigra, ormai settantaquattrenne, chiese il permesso di lasciare il suo servizio ed il servizio allo Stato. I problemi di salute, l’avanzare dell’età e l’anzianità di servizio di oltre 52 anni furono validi motivi per chiedere il collocamento a riposo. Ovviamente non si trattò per lui di una scelta a cuor leggero, tutt’altro, ma la consapevolezza della forza che quel lavoro in quel particolare momento storico richiedeva, lo resero sempre più convinto della sua decisione. Fu così che con il Ministro degli Esteri Tommaso Tittoni, da pochissimo in carica, Nigra concluse la sua splendente carriera diplomatica ottenendo il “congedo illimitato” con Decreto del 28 gennaio 1904. Fu lo stesso Nigra a fare il nome del suo successore, l’Ambasciatore Avarna, duca di Gualtieri, che per vicinanza di intenti e ideali, era fu in grado di garantire una sorta di continuità e stabilità.
Nel Giugno successivo, dopo alcuni mesi dalla sua partenza, Nigra tornò nuovamente a Vienna per prendere il congedo ufficiale dall’Imperatore Francesco Giuseppe con il quale aveva instaurato un ottimo rapporto di amicizia e che, anche in quell’ultima occasione, non mancò di dimostrargli la sua più alta benevolenza e considerazione. L’Imperatore e Nigra conclusero, quindi, con il loro incontro ufficiale, la carriera di chi può essere considerato non solo un grande diplomatico e uomo di cultura, ma come ha affermato l’Ambasciatore Spinetti, un vero e proprio “Padre della diplomazia italiana”. Al punto da rappresentare, oggi come allora, un punto di riferimento essenziale per i molti diplomatici in Italia e nel mondo!
CONCLUSIONE
La figura del Conte Costantino Nigra, così complessa ed articolata, è stata una delle più interessanti da un punto di vistao non solo politico, ma anche culturale e umano. I successi che hanno coronato la sua vita sono stati molteplici e tutti degni di nota, fatta qualche piccola eccezione. Dal suo esordio nel 1851 egli fece una vera e propria scalata al successo e l’elenco di seguito ne evidenzia i passaggi più significativi:
1851 Volontario al Ministero degli Esteri
1852 Segretario Particolare del Ministro Conte di Cavour
1853 Applicato di 4° classe (Dirigente al Ministero)
1855 Capo di Gabinetto al Congresso di Parigi
1856 Vice Console di 1° Classe
1860 Ministro Plenipotenziario a Parigi
1861 Segretario Generale di Stato per le Provincie Meridionali
1861-1870 Ministro Plenipotenziario d’Italia a Parigi
1864 Firmatario per l’Italia della Convenzione del 15 settembre
1869 Ministro Plenipotenziario per la Conferenza sulla Grecia
1870-1876 Ministro Plenipotenziario a Parigi
1874 Ministro Plenipotenziario per la ratifica Convenzione Monetaria
1875 Ministro Plenipotenziario per la Conferenza Metrica internazionale
1876-1881 Ambasciatore d’Italia a San Pietroburgo
1882 Ambasciatore D’Italia a Londra
1884 Ambasciatore a Mosca per l’incoronazione Czar Alessandro II
1884 Ministro Plenipotenziario per Conferenza sugli affari egiziani
1885-1904 Ambasciatore d’Italia a Vienna
1887 Ministro Plenipotenziario per le Proprietà artistiche e letterarie
1890 Senatore del regno d’Italia
1899 Capo delegazione Conferenza Internazionale di Pace all’Aja
Come appare dunque evidente, Nigra, seppe fare della sua carriera diplomatica un’importante raccolta collage di esperienze di vita dove convegni, incontri, conferenze e viaggi erano ogni giorno motivo di crescita e soddisfazioni professionali. E a tale impegno non potevano mancare riconoscimenti, nazionali ed internazionali. Nigra ricevette, infatti, varie onorificenze tra le la più importante delle quali fu la nomina di Conte dal Re Umberto I nel 1886 e di Senatore a vita nel 1892. La più importante seguì nel 1892 Non ultimo, il Collare della S.S.S Annunziata per conferirgli il titolo di Grande Ufficiale dello Stato Eccellenza e il rango di “cugino del Re”. |
Come è noto, quella del Nigra fu una carriera che lo trattenne principalmente all’estero nonostante l’Italia insistette due volte per volerlo come Ministro degli Esteri. L’unica volta che si occupò di vicende italiane fu quando, il 26 ottobre 1860, Cavour lo nominò “ Segretario di Stato Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario per le Regioni del Sud Italia” dove il Principe di Carignano svolgeva funzioni di Reggente e Nigra ricoprì in quell’occasione il ruolo di “Segretario Generale della Luogotenenza” ovvero quelle di governatore delle Provincie meridionali. Nei carteggi con il suo maestro Cavour egli evidenziò da subito le immense difficoltà incontrate, di ogni ordine e tipo, a causa del grave e radicato scompiglio amministrativo. Purtroppo amministrazione e diplomazia sono cose lontane e Nigra non possedeva quelle conoscenze e capacità tecniche necessarie, né tantomeno poteva improvvisarle. Come scrisse Maturi in proposito: “Diplomatico, il Nigra amministrò Napoli con la sapienza e l’insipienza d’un diplomatico” W. Maturi, Costantino Nigra secondo il Carteggio col Cavour, da Il Risorgimento Italiano, VOL. XXII, fasc.III-IV, 1929
Uomo intelligente e di buon senso, ben vide da subito l’impossibilità di cambiare le cose che andavano dall’eliminazione della corruzione, al ripristino della viabilità, dalle finanze all’istruzione. E’ vero che Nigra non fu in grado di soddisfare Napoli e i suoi bisogni, ma si deve anche considerare che egli oltre a non essere un amministrativo, aveva anche molto poco tempo a disposizione. Quattro mesi sono un tempo relativamente breve per trasformare luoghi e persone.
Ma qui non si vuole difendere un uomo, anzi presentarlo con tutti i suoi pregi e difetti per mettere in risalto l’essenza più vera e profonda del suo essere, che in fondo è quella che appartiene ad ognuno di noi.
Concludo questo volume con il desiderio di rendere omaggio ad uno dei protagonisti del Risorgimento Italiano che tanto hanno speso per il processo d’unione del nostro Paese, e che troppo spesso sono passati inosservati alla storia. Come ha scritto Levra: “Mettiamo pure nel conto che, a differenza di tanti altri, protagonisti, testimoni e uomini politici, egli rimaneva un diplomatico e perciò vincolato al riserbo. Aggiungiamo la prudenza e la misura che gli erano connaturate e quello spirito di segretezza a cui la sua attività l’aveva assuefatto”. U. Levra, L’opera politica di Costantino Nigra, op.cit, p.33 Ecco perché orgogliosa e onorata di aver condotto questa esperienza a ritroso nel tempo, mi auguro che il nome di Costantino Nigra possa ancora comparire maggiormente sulle pagine dei libri di storia dove poco è stato menzionato e dove, invece, meriterebbe di essere al pari delle figure rilevanti di tanti altri che con lui hanno amato e vissuto per l’Italia Unita.
BIBLIOGRAFIA
R. Favero, Io, Costantino Nigra. L’unità d’Italia narrata da un protagonista dimenticato dalla storia”, Riva presso Chieri, Emilogos, 2006.
Umbeto Levra, Nigra tra storia e mito, in L’opera politica di Costantino Nigra, Il Mulino, 2008 ????
P. Borrelli, Costantino Nigra. Il diplomatico del Risorgimento, Cavallermaggiore, Gribaudo, 1992.
V. Avalle, Costantino Nigra. Amori, battaglie, poesia, Ivrea, Tip. Ferraro, 1988
Carteggi Diplomatici della Farnesina dal 1861 al 1904
[1]Giorda, Costantino Nigra, la vita e le opere, a cura del Comitato Promotore Canavesano, 1957.
[2]Maturi, Costantino Nigra secondo il Carteggio col Cavour, in Il Risorgimento italiano, 1929, p.10
[3]Epistolario Cavour, vol. XII, 1855, p. 587.
[4] Levra, Costantino Nigra, Comitato Nazionale per il centenario nazionale della morte di Costantino Nigra, pag.36
[5] R. Favero, Io, Costantino Nigra. Un canavesano alle corti imperiali d’Europa, Associazione Culturale Costantino Nigra, p. 97
[6] Carteggio Cavour, vol I, p. 83-84
[7] Epistolario Cavour, vol. XV, 1858, p. 597-598
[8]Epistolario Cavour, vol. XV, 1858, p. 770-71
[9] R. Favero, Io, Costantino Nigra. Un canavesano alle corti imperiali d’Europa, op.cit, p.98
[10] R. Favero, Il completamento dell’Unità d’Italia dopo la morte di Cavour 1861-1876, Associazione Culturale Costantino Nigra, 2015, p.19
[11] R. Favero, Il completamento dell’Unita d’Italia dopo la morte di Cavour, op. cit, p.105
[12] R. Favero, Il completamento dell’Unità d’Italia dopo la morte di Cavour, op. cit, p.106
[13]Epistolario Nigra-Melegari, p.18
[14]Epistolario Melegari-Nigra, p. 6
[15] Episolario Melegari-Nigra, p. 22
[16] Epistolario Melegari-Nigra, p. 90
[17] Epistolario Nigra-Corti, p.8