IL CARTEGGIO CAVOUR NIGRA
di Alessandro De Bosdari, tratto da Nuova Antologia anno 1928
La Casa Zanichelli di Bologna è giunta al terzo volume della prima serie nelle pubblicazioni della
R. Commissione editrice dei carteggi cavouriani. Questi tre volumi hanno rispettivamente i titoli:
Plombières, La campagna diplomatica e militare del '59, Le annessioni.
Il quarto volume, in corso di stampa, sarà intitolato: La liberazione del mezzogiorno. Il quinto:
II congresso di Parigi. Sembra tempo che i lettori della Nuova Antologia abbiano conoscenza di
questa grande pubblicazione; e ci accingiamo a dire poche parole dei volumi che abbiamo sottocchio.
Non si deve credere di non incontrare qui che documenti nuovi, né molti fra i più importanti e
significativi erano già, almeno inizialmente, conosciuti dalle pubblicazioni del Ghiaia, del
Bianchi, Mayor, del Bollea, ecc., ecc. ; ma, oltre l'inedito che non è poco, l'ordine con cui
vengono adesso ripubblicati i documenti conosciuti e la lezione più corretta e più completa di
essi, rendono questi volumi preziosi per chi ritiene ancora utile anzi necessario che si ritorni su
quel gran periodo storico e se ne riscrivano le vicende con perfetta e completa conoscenza di ogni
più recondito pensiero che guidò gli attori del dramma della formazione del Regno d'Italia, ed in
modo speciale del suo protagonista il Conte di Cavour. Forse alcuni studiosi moveranno all'egregia
Commissione la verità non infondata che questa pubblicazione è destinata a far mettere in oblio
tutte le precedenti, condotte con criteri tanto meno corretti ed esaurienti.
Un altro appunto che potrà forse farsi è che il titolo "Carteggio Cavour Nigra" non dà che un'idea
incompleta dell'immensità dell'opera. Difatti un semplice sguardo dell'indice permette di
constatare che la corrispondenza diretta dei due personaggi non occupa più della metà dei tre
volumi; e che Cavour, oltre a Nigra, ha molti altri corrispondenti quali i due Sovrani, Napoleone
III e Vittorio Emanuele II, il generale Lamarmora, il marchese Salvatore di Villamarina, Alessandro
Bixio, Massimo D'Azeglio e molti altri ancora; e che, inoltre, vi abbondano lettere di diversi
corrispondenti fra loro, al di fuori di Cavour e Nigra. Basti citare la corrispondenza diretta fra
i due Sovrani, di Vittorio Emanuele II con Rattazzi, con Girolamo Napoleone, con Pio IX ed altri
esempi ancora.
Il dramma è oramai noto da infinite pubblicazioni storiche e ormai son note le caratteristiche
principali dei suoi personaggi e ciononostante, come accennavo qui sopra, questa pubblicazione più
completa e sistematica delle precedenti dovrebbe, a mio credere, avere per risultato di eccitare
qualche penna agile e potente a ritentare la prova di scrivere nuovamente tutta la storia del
periodo.
Tanto più che le Storie che possediamo sono in gran parte stranierequali quelle del La Gorge, di
Emilio Ollivier, di Bolton King, dì Treitzke, più recentemente di Paul Matter e di Paléologue; e le
italiane, pure pregevolissime sotto molti aspetti, difettano quasi tutte o per incompletezza di
contenuto o per parzialità di opinioni o per poca piacevolezza di forma; e quella del Raulich che
prometteva tanto,è rimasta incompleta per l'immatura morte dell'illustre storico.
Loggendo con sostenuta e continuata attenzione questi tre volumi, ci siamo rivisti comparire
davanti agli occhi le immagini singolari dei due Sovrani. Napoleone III innamorato in fondo
all'anima dell'idea italiana ma incapacitato di lasciare libero sfogo al
proprio sentimento, ai propri desideri, dalla sua natura, dai continui ostacoli frappostivi dai
suoi Ministri, dall'Imperatrice, dalle correnti politiche del proprio Paese che scorgevano un
pericolo per la Francia nel permettere la formazione di un grande Stato italiano, dagli
ondeggiamenti inglesi, russi e prussiani. In presenza di Cavour, di Nigra, di Girolamo Napoleone,
di Vittorio Emanuele II, Egli cede sempre, sempre promette e sempre si compromette; ma poi si
disdice, si contraddice e tentenna; e suscita ire tremende in coloro che ha troppo lusingato e che
si sono lasciati indurre a credere che Egli avrebbe rovesciato tutti gli ostacoli che si
frapponevano ad una effettuazione integrale dell'indipendenza italiana da lui desiderata e non
sconfessata, ed anche della sua unità da lui ugualmente desiderata e considerata come fatale, ma
pur sempre ostacolata e contraddetta.
Nessun contrasto più assoluto si può immaginare con questo carattere imperiale tutto pieno di
reticenze e di contraddizioni che quello di Vittorio Emanuele IL tutto di un pezzo, tutto scatti e
veementi risoluzioni, tanto da renderlo impaziente fino alla collera, fino alle male parole, delle
incertezze dell'Imperatore.
Egli è dispregiatore delle tergiversazioni della diplomazia, vorrebbe subito correre alle armi, non
conosce compromessi né ripieghi o indugi. Non ama Cavour poiché Sovrano costituzionale per lealtà
ed anche perché la sua intelligenza pratica ben gli fa comprendere che solo nei principi
costituzionali e liberali risiede la forza del Piemonte contro l'Austria e contro gli altri Stati
italiani, nel fondo dell'animo è rimasto Sovrano di diritto divino e. religiosissimo, sente e crede
di non dovere la sua corona che a Dio. La soverchia limitazione che il genio di Cavour pone alla
sua autorità regale lo impazientisce e le sue simpatie vanno piuttosto al disciplinato Lamarmora,
al duttile Rattazzi al cavalleresco d'Azeglio, nei quali egli crede di scorgere strumenti più
adatti a lasciare integra, nei momenti decisivi, la forza delle risoluzioni regali. Certo più
presto e più completamente di Cavour egli ha la visione dei risultati finali e vorrebbe camminarvi
senza ambagi e senza ammettere ostacoli e difficoltà. Eppure in mezzo a tanta audacia, che fa
tremare per una sua apparente imprudenza, Egli non si sbaglia mai, non commette errori non da passi
falsi. Cavour ci balena, da questa lettura davanti agli occhi, quale già ormai lo conosciamo da
tempo. Meno sicuro di se stesso meno determinato del suo Sovrano, perché il suo spirito più colto e
più ponderato gli permette di scorgere le difficoltà che il Sovrano o ignora o vuole ignorare, Egli
però non è mai a corto di espedienti per rimuoverle; come scriveva uno storico recente, lo spirito
si perde a seguire tutte le infinite sinuosità della sua politica e tutti gli inesauribili
espedienti a cui è ricorso.
Di fronte al Sovrano egli è autoritario e talora impertinente; ma ne sente il pugno di ferro e
talora è costretto a cedere, salvo a riprendersi delle rivincite con mezzi talora sottili ed
insinuanti, talora anche violenti. Quasi tutti si dolgono di lui: il Re, Massimo d'Azeglio,
Rattazzi, Dabormida, Lamarmora; Egli non ha riguardi per nessuno, prende ed allontana la gente a
seconda dei bisogni e delle circostanze, non si fa scrupolo di troncare le carriere più onorate e
più promettenti, ma ha però dei ritorni di cortesia e di blandizia e cerca di non giungere con
nessuno alle estreme rotture. Ma se ciò gli riesce con caratteri miti e cavallereschi, quando egli
si scontra con uomini della sua statura quali Garibaldi e Mazzini i compromessi sono impossibili e
l'odio diviene inestinguibile. Certo le impazienze, gli scoraggiamenti, gli sdegni, le inimicizie,
gli odi di Cavour, tutto ciò che in lui vi fu di troppo umano, fu sanato dal suo indomito amore per
l'Italia e dalla sua costanza nel volerne il Risorgimento.
2
L'unica amicizia veramente inalterata appare in questi tre volumi quella per il Nigra; e certo
l'interesse principale, almeno dal punto di vista della novità e dell'inedito, di questa
pubblicazione risiederà, per la più parte dei lettori, nel vedersi completare davanti agli occhi
l'immagine di questo grande diplomatico italiano. Noi lo conoscemmo nel suo declinare, ambasciatore
per molti anni a Vienna, avvolto in una specie di aureola gloriosa che rendeva i giovani titubanti
nell'accostarlo. Era cortese ed insinuante quando voleva; ma spesso non lo voleva affatto e non si
riteneva dal farci comprendere che Egli si considerava appartenere ad un'altra generazione, quasi
ad un'altra razza.
Politicamente ci appariva incerto e sfiduciato; ed i pochi documenti di lui contenuti nelle
pubblicazioni del Palamenghi-Crispi contribuirono a confermarci nell'opinione che Egli avesse poca
fiducia nei destini dell'Italia nuova. Ma tutti gli uomini superstiti dell'epoca cavouriana che noi
abbiamo ancora potuto conoscere, i Visconti Venosta, i De Launey. ecc., erano così, e sembravano
esauriti dall'immenso sforzo della loro giovinezza e persuasi che ormai per l'Italia non vi fosse
più altro, per molto tempo, che la possibilità di una paziente attesa ed anche della rassegnazione
ad accontentarsi del già fatto, del già acquisito. Rinfresca quindi lo spirito della gente della
mia età che ha avuto del Nigra e dei suoi contemporanei la stessa impressione che ne ho riportato
Io, il rivederlo in questi volumi quale egli veramente fu nel suo fiore.
Ossequente sino alla devozione al suo Capo, ma nello stesso tempo libero, quasi audace,
nell'esprimergli le sue opinioni. Patriota ardente e persuaso della prossima effettuazione dei due
grandi ideali della indipendenza e della unità, si adatta meglio del suo Capo, con più pazienza e
più sangue freddo, alle lunghe attese, alle penose tergiversazioni, e si accontenta di salire la
scala gradino per gradino. Dimostra fin dai suoi primi passi quella dote suprema del diplomatico
che consiste nel far parlare gli altri, nell'ottenere tutte le informazioni, tutte le dichiarazioni
possibili, dandone loro in cambio le meno possibili.
Non perde mai di vista il terreno conquistato, non retrocede di un passo, ed il prossimo passo
prende sempre le mosse dal passo precedente e, se possibile, anche un pochettino più in là,
considerando talora come acquisito ciò che effettivamente non lo è ancora.
La redazione dei suoi rapporti è ammirevole, tanto in francese che in italiano, e dimostra in sommo
grado il talento di riprodurre i colloqui in modo da ispirare, nel Superiore che li leggerà, la
persuasione che essi sono riprodotti con ogni esattezza e fedeltà e che si può far capitale sulle
cose riferite come effettivamente dette.
Nel periodo di disgrazia di Cavour successivo alla Pace di Villafranca, Nigra mantiene contatto con
lui ma in forma discreta e prudente. E' persuaso che Cavour tornerà ma non può averne la certezza
assoluta; e non compromette la propria carriera, il proprio avvenire. Del resto Cavour comprende
perfettamente bene che Nigra voli ormai con quelle proprie ali che Egli ha tanto contribuito a far
spuntare e crescere; e non gli dimostra nessun rancore di ciò che Esso, sua creatura, continui a
servire sotto altri padroni. Ed in tutta questa corrispondenza appare chiara quella fiducia
assoluta che sempre dovrebbe correre tra Ministri degli Affari Esteri e rappresentanti all'estero;
e che Cavour, se la dimostra in massimo grado al Nigra, non nega però ad agenti minori, quali
Emanuele D'Azeglio, Durando, De Launey ed anche a giovani segretari.
Altra figura importantissima del dramma, il cui veramente incomparabile amore e devozione alla
causa italiana ci risulta di nuovo da questa lettura nella maniera più evidente, è il principe
Gerolamo Napoleone.
3
A lui Cavour e Nigra ricorrono costantemente nei momenti più difficili, nelle incertezze più penose
dell'Imperatore, nelle opposizioni più sottili del Walewski, quasi sempre con buon risultato. Ci
appare nelle sue lettere uomo di idee e di giudizi franchi e decisi. Al di fuori di Cavour e di
Nigra e tutt'al più un poco di Massimo d'Azeglio, Egli è spregiatore di tutti gli uomini politici e
diplomatici italiani ed anche del popolo italiano, ed in modo speciale del toscano, col quale ha
occasione di venire a più intimi contatti. Ma nonostante questa scarsa opinione dell'Italia,
purtroppo comune a tanti francesi di allora ed anche di poi, l'utilità dell'opera di Girolamo
Napoleone a favore dell'Italia ci risulta più chiara ed evidente a misura che meglio conosciamo i
suoi atti ed i suoi scritti.
Vi era un fondo di ambizione personale? Aspirava Egli veramente al Trono di Toscana? Ecco un
problema che neppure questi documenti ci permettono di risolvere completamente. E
nell'amore appassionato dei Napoleonidi per l'Italia vi è pur sempre un elemento impalpabile ed
inesplicabile colla sola scorta dei fatti materiali e dei documenti positivi; e per cui convien
ricorrere a spiegazioni psicologiche ed atavistiche.
Questi i personaggi principali; ma quanti e quanti altri balzano da queste pagine. Generali,
Diplomatici, Ministri sardi, più o meno elevati di ingegno e di sapere, più o meno consci del
momento storico senza pari in cui si muovevano, della missione sublime di cui era loro affidata una
particella; ma tutti o quasi tutti coscienziosi, laboriosi e modesti.
Massimo D'Azeglio figura evanescente davanti al prepotere del genio di Cavour, in cui si ripongono
grandi speranze nei momenti difficili, ma che in sostanza si dissimula, sente che la sua missione è
finita e che il suo estro è impallidito per sempre davanti alla nuova luce nascente; Lamarmora
tenace dell'onore del proprio Paese e della sua dignità personale in cospetto ai generali inglesi e
francesi della spedizione di Crimea, pronto a sobbarcarsi del compito ingrato di formare un
Ministero di transizione senza vita possibile e senza avvenire, dignitoso e calmo contro gli
attacchi, anzi le ingiurie, di Cavour, Salmour, Des Ambrois, Villamarina, rappresentanti sardi
presso Napoleone III i quali, comprendendo che Nigra è il solo che possa indurre l'Imperatore dei
francesi il collo sino all'ultimo alla politica cavouriana, si dissimulano, a poco a poco
spariscono e non si lagnano troppo; Boncompagni violentemente attaccato dal principe Napoleone,
fiaccamente difeso da Cavour, compie opera non inutile a Firenze ed a Bologna e poi sparisce
anch'esso.
Più forti ed audaci, più attivi ed intraprendenti e più in favore e più rispettati da Cavour, gli
emigranti lombardo romagnoli napoletani e siciliani, Farini, La Farina, Minghetti, Ricasoli e tanti
altri. Si direbbe che talora animino Cavour e talora veggano più in là di lui. E poi infinite
figure della diplomazia internazionale, agenti ufficiosi ed ufficiali. Walewski sempre ostile,
sempre irritato ed offeso, sempre pronto all'intrigo ed all'ostruzione; poco migliore di lui nei
riguardi della questione italiana e poco più franco e chiaro, il Thouvenel. I Ministri francesi
presso la Corte sarda, La Tour, Gramont, Taillerand, incerti per loro carattere e per l'incertezza
delle istruzioni che ricevono. Poco a parte dei segreti che del resto il loro stesso Capo ignora a
lungo, li subodorano ma non riescono ad afferrarli e soffrono delle contraddizioni che sentono e
non sanno completamente spiegarsi. Più deciso e convinto sarebbe l'inglese Hudson; ma anche per lui
quante correnti diverse, contradditorie ed eliminantesi, giungono da Londra.
E' certo uno dei punti principali su cui sarà attratta nuovamente l'attenzione dei lettori di
questi libri, consisterà nelle tergiversazioni, che spesso si risolvono in aperte opposizioni,
della politica inglese nei riguardi della formazione dell'Italia; e che potrà condurre a
4
5
qualche revisione dì opinioni coloro che adottarono da tempo la facile e semplicistica formula
della « tradizionale amicizia dell'Inghilterra per l'Italia ».
Bastino queste poche parole ad invogliare qualcuno alla lettura attenta e ponderata di questi tre
volumi, e ad attendere con desiderio la pubblicazione degli altri. Una vasta e profonda cultura
storica è condizione indispensabile, e purtroppo non ancora completamente adempiuta, per
l'elevazione dello spirito italiano; il quale deve sempre ritemprarsi al ricordo che le origini
dello Stato italiano, nate in mezzo a tanta grandezza ma anche a tanta piccolezza di uomini, a
tanto favore ma anche a tanta contrarietà di eventi, rappresentano, nel loro complesso, qualche
cosa di così fatale e provvidenziale da farne arguire e concludere che fatale e provvidenziale sia
veramente per essere la missione dell'Italia nel mondo.
ALESSANDRO DE BOSDARI
Alessandro De Bosdari (Bologna, 10 maggio 1867 – Bologna, 12 maggio1929) è stato un
diplomatico italiano.
Alessandro De Bosdari nacque a Bologna, rampollo di una nobile famiglia cittadina di rango comitale
che aveva aderito agli ideali risorgimentali.
Dopo essersi laureato il 21 giugno 1888 all'Università di Bologna in giurisprudenza con una tesi
dal titolo Di alcune questioni intorno al lusso, De Bosdari intraprese la carriera diplomatica
divenendo Ministro plenipotenziario a Sofia dove rimase dal 1910 al 1913 per poi passare ad Atene
(1913-1918). Dopo questa prima fase divenne ambasciatore in Brasile ove rimase sino al 1921.
In quello stesso anno fu designato Governatore di Rodi e del Dodecanneso, possedimento italiano,
rimanendo in carica dal 17 agosto 1921 al 15 novembre 1922 dal momento che il 12 novembre di quello
stesso anno aveva ottenuto la nomina ad ambasciatore a Berlino, ove rimase fino al1926.
Morì a Bologna nel 1929.