NIGRA E LA SUA TERRA NATALE- racconti, poesie, canti

 Associazione Culturale Costantino Nigra                                                                                                                                                                                               Centro Studi Costantino Nigra  - Centro Studi Valle Sacra - Cantori Salesi

col patrocinio del Comune di Castellamonte

interpretati dai suoi compaesani

testo di Roberto Favero e Cinzia Cappa

26 gennaio 2013 - Teatro Parrocchiale Castellamonte – ore 20.45

Personaggi ed Interpreti

Tota Rusin: Anna Calzia

Nonna: Susanna Cappa

Madre del Nigra: Maria Gigliotti

Una Bambina: Erica Mantelli

Un Pastore: Giuseppe Gola

Margherita: Jessica Bertoglio

Voce Letteraria: Marco Picchiottino, Maurizio Rolando Perino

Cuoco: Giuseppe Gola

1a Cameriera: Ilenia Cidani

2a Cameriera: Irene Giacoletto Papas

Prevosto: Giuseppe Gola

Perpetua: Susanna Cappa

Contadino: Luca Simeone

Contadina: Susanna Cappa

Guardiacaccia: Luca Simeone

Virginia Nigra: Irene Giacoletto Papas

Derossi: Luca Simeone

Domenica: Susanna Cappa

Giacomino: Luca Simeone

Angelo: Francesco Grandinetti

Fanciulla: Michela Cappa

Ombra di Costantino Nigra: Pierfranco Costamagna

Costantino Nigra: Sergio Bracco

11 Pastori: Componenti dei Cantori Salesi

Regia: Cinzia Cappa, Roberto Favero, Pierfranco Costamagna

Immagini al computer: Marco Marcon

Canti

“La canzone della nonna” (Michela Cappa)

“Dormi, dormi” (Cantori Salesi)

“Addio compagni” (Cantori Salesi)

“Mi sovvien una notte serena” (Cantori Salesi)

“La Guerriera” (Michela Cappa)

ALLESTIMENTO

Sfondo blu del teatro.

Sedie, culla, filarello, tavolinetto e varie

A INIZIO SPETTACOLO Pierfranco Costamagna presenta lo spettacolo al pubblico.

A FINE SPETTACOLO, altre canzoni dei Cantori Salesi.

Conclusione con la canzone"Elvira".

Proiezioni

Verranno proiettate Immagini in Retroproiezione su di uno schermo bianco a finestra disposto su di un lato del palcoscenico.

Sull’altro lato un’altra finestra su cui verrà proiettata l’ombra di Nigra che recita.

Scenetta 1 - Immagine del manifesto (1)

 Si apre il sipario in scena

1 Nonna che fila

1 Mamma con culla

1 Bambina

Durante tutta la lettura e la canzone questi ascoltano in silenzio, la nonna filando, la mamma cullando il neonato che dorme nella culla e la bambina giocando con giocattoli d'epoca.

Entra in scena Tota Rosin: interpreta la zitella del paese che conosce tutti i pettegolezzi. Frivola e accattivante cattura l’attenzione del pubblico. Poi incomincia la lettura

TOTA ROSIN

Le storie più avvincenti erano quelle che raccontavano le nonne, un tempo.

Ve ne vogliamo raccontare una anche noi: una storia di Re, di Imperatori, di Regine e Cavalieri, di guerre e di conquiste, di sogni e di ideali, di come Costantino Nigra amava la sua gente e la sua terra.

Ve la vogliamo raccontare alla guisa di un tempo, come se fossimo tutti riuniti in una casa di campagna dove la nonna, con la sua cantilena dolce e intensa addormenta i bimbi, e poi cattura l’attenzione di tutti...

Non può mancare la nonna in questi quadretti agresti ed il suo ruolo rimane da sempre quello di cantare le filastrocche ai nipotini attenti ai suoi insegnamenti affettuosi.

Quanto è grande il potere della fantasia sul cuore umano! Può trasformare la più misera stalla in una reggia, il più duro giaciglio in un letto dorato.

La nonna lo sa e, nella notte di bufera, per tenere cheti i bambini, canta di un’isola meravigliosa in mezzo al mare e di un principe incatenato con corone di fiori.

Poi tutti dormono ed anche la nonna sogna...

La canzone della nonna si intercala con i versi del poeta Costantino Nigra.

La canzone fu musicata e la composizione omaggiata da Nigra alla principessa viennese Marie Hohenlohe-Schillingsfürst per la sua attività filantropica a favore dei bambini. Ascoltiamo questa bella melodia dalla voce di Michela Cappa.

 NONNA                                

(Canta la Canzone della nonna e la VOCE LETTERARIA  recita i versi tra parentesi)

In mezzo al mare un'isola c'è

e vi comanda la figlia del re.

(Canta filando l'avola

giù nella stalla. Le tremule note

i bimbi intenti ascoltano.

Sonnecchia in culla l' ultimo nipote.)

 Ogni garzone che passa di là

paga dogana e un bacio le dà.

(Cala di fuori in gelide

falde la neve nella buia notte,

picchia il rovaio e fischia

nell'uscio fesso e per le lastre rotte.)

 Gentil galante nell'isola andò,

la damigella baciare non vuo’.

(Dura il canto monotono

 quant' è lunga la sera, e passan l'ore.

Gli occhi dei bimbi chiudonsi

 e la lucerna crepitando muore.)

  La damigella suo schiavo lo fa,

 se non la bacia, più scampo non ha.

(Sulla povera paglia

 or dormon tutti, l'uno all'altro accanto,

 ma pur dormendo sentono

 piano agli orecchi della nonna il canto.)

  Gli han dato un letto di porpora e d'or,

 e le catene son fatte di fior.

 (E  van sognando l'isola,

l'isola verde e il giovine prigione

e la donzella pallida

che i ricci d'or si pettina al balcone.)

 In mezzo al mare un'isola c'è,

e vi sospira la figlia del re.

(E anch'essa alfin la vecchia

dorme, seduta colla testa china,

e sogna che nel cofano

c' è ancor del pane e un poco di farina.)

Terminata la canzone, la bambina si rivolge alla  nonna dicendo:

BAMBINA:          La canzone era bella nonna, ma raccontami una storia!

MAMMA:  Su racconta.

La Nonna racconta la storia dell'uomo selvatico e pronuncia delle battute in piemontese

NONNA                                     

L’uomo sulla porta dell’Alpeggio vedeva che il pelo si rizzava al povero Selvaggio, e rise.

Ciò indispettì il Selvaggio, ma questi non se ne partì ancora.

Il giorno seguente, entrando nell’Alpeggio, vide l’uomo sulla porta che soffiava sulle dita per riscaldarle, perché faceva freddo.

E gli chiese: “Perché soffi sulle dita?”

E quello rispose: “Per riscaldarle”.

Entrati nell’Alpe si distribuì la minestra alla famiglia, e l’uomo soffiava sulla minestra che era calda.

E il Selvaggio chiese: “Perché soffi sulla minestra?”

E quello: “Per raffreddarla”.

Allora il Selvaggio se ne andò e disse: “Non voglio più stare con chi manda caldo e freddo dalla stessa bocca”.

E non fu più visto.

 VOCE LETTERARIA                                

Le tradizioni di questa bella Valle del Canavese erano tante e tutte assai apprezzate dalla gente. Si cominciava a dicembre, nella Chiesa dell'Assunta, a Villa Castelnuovo, dove gli abitanti di Sale e Cintano accorrevano per assistere alla rappresentazione popolare de Il Natale che rievocava la gioia della natività. Nigra pubblica il testo di questa sacra rappresentazione e nella prefazione illustra la sua valle nativa, il carattere degli abitanti, i costumi, le tradizioni e salva dall'oblio dei testi preziosi tramandatisi da padre in figlio per decenni.

Il Natale è un racconto scritto in versi ed ha per argomento la gita dei pastori a Betlemme, la loro adorazione al presepio e le loro offerte a Gesù bambino.

 Scenetta 2 -

 Siamo nel 1838 e il Nigra, che ha 10 anni, impersona l'Angelo.

Durante la lettura entrano i personaggi dei pastori con i doni. Finita la lettura, sul palco ci sono i pastori con i loro doni (come da elenco in fondo), ed ecco che entra correndo il giovane Costantino Nigra vestito di bianco, con una ghirlanda in capo e un cero in mano. Viene rincorso da sua madre che tenta di mettergli le ali.

MADRE: Costantino, tutti gli anni è la stessa storia, poi lì in Chiesa sembri veramente un angioletto; ma so io quanto mi dai da fare.

UN PASTORE si intromette dicendo: Eh sì, quest'angelo farà molta strada nella vita!

Costantino esce di scena rincorso dalla madre e dai pastori.

Usciti questi appare Tota Rosin

TOTA ROSIN

In quei tempi ogni rappresentazione si concludeva con un canto, e anche se il Natale è passato da poco vi facciamo ascoltare un bel canto natalizio della tradizione popolare piemontese.

CANTORI SALESI                           

Che cantano "Dormi, dormi"

 VOCE LETTERARIA                        

Il giovane Costantino cresce e diventa uno studente modello che si conquista, con l'intelligenza e la preparazione classica, una Borsa di studio per l'Università, che frequenta a Torino con grande profitto. Ha l'animo di poeta, Costantino, ma anche quello di patriota che aspira ad una patria comune: si arruola volontario nel 1848, a soli vent'anni, per combattere gli austriaci ed esprime questo suo anelito con dei versi che cantano la sua forte volontà di combattere l'oppressore sulla groppa di un cavallo creato dalla sua fertile fantasia.

OMBRA DI COSTANTINO                  Immagine cavallo al galoppo

Alta la testa, mio bel Leardo,

le nari aperte, foco lo sguardo,

tu squassi all'aure lucida e nera

superbamente la tua criniera;

il suol battendo coll'arid' ugna

cerchi la pugna, cerchi la pugna.

  Oh se una volta, lasciati i carmi

  andrò alla pugna, stringerò l' armi;

  con te, mio fido compagno antico,

  avventerommi contro il nemico;

  io pur difendere vo' il suol natìo,

  nacqui in Italia, son forte anch' io.

 Alza la testa, mio bel Leardo,

apri le nari, sia foco il guardo,

squassa per l'aure lucida e nera

ferocemente la tua criniera,

batti la terra coll'avid' ugna,

corri alla pugna, corri alla pugna.

VOCE LETTERARIA                        

Una triste guerra in cui il Regno di Sardegna è sconfitto e Re Carlo Alberto abdica. Molti i giovani studenti caduti sui campi di battaglia che vengono ricordati da una bella canzone popolare.

CANTORI SALESI                       

Che cantano "Addio compagni"

VOCE LETTERARIA                        

Finita la guerra Costantino si laurea e poi inizia la sua carriera, prima con Massimo D'Azeglio e poi con il Conte di Cavour. Lo apprezzano entrambi immediatamente. Massimo D'Azeglio lo invita al matrimonio della figlia Alessandrina a Genova, dove è presente il nonno Alessandro Manzoni; per l'occasione scrive un epitalamio di eccezionale valore poetico, lodato dal grande Manzoni, in cui canta la sua terra natale: il Canavese

 OMBRA DI COSTANTINO                

Fra l'Alpi e la maggior Dora, e la sponda

del superbo per molte acque Eridàno,

ove, mugghiando, le dorate arene

disdegnoso di ponti Orco rivolve,

bellissima fra quante il sol riscalda

è una terra, di pampini e di messi

e di greggi feconda. Ivi leggiadre

le donne, e amico ai pellegrini il tetto,

e la coppa ospitale, ed esultanti

di vendemmie, di cacce e di canzoni

le colline e le valli. Ivi severa

di studi e d' arme disciplina. Caro

l'onor più che la vita. Intemerata

lealtà. Fiero, indomito, operoso

amor di patria; e ne' securi petti,

come l'Alpe natia, salda costanza.

A me fu patria e Canavese ha nome

la superba contrada.

 VOCE LETTERARIA                          

Cavour, appena eletto Presidente del Consiglio, sceglie Nigra come Segretario prima, e Capo di Gabinetto poi, affidandogli le mansioni più delicate della sua politica tutta rivolta a fare l'Italia, tanto che un giorno dell'ottobre 1858 gli scrive:

"Con un interprete par suo dei miei pensieri io non ho timori.

Soccomberò può darsi del compito così difficile che mi sono imposto, ma sarà sicuramente senza disonore, senza rammarico, con la coscienza che lei ed io avremo fatto quanto era umanamente possibile fare per l’avvenire del nostro paese.

Non le dò ulteriori istruzioni giacché a quest’ora ella sa condurre la barca al pari per non dire meglio di me".

Oramai la carriera del Nigra sta crescendo notevolmente e lui a trentadue anni si trova a frequentare una delle corti più importanti d'Europa, quella francese dell'Imperatore Napoleone III, dove è apprezzato per le sue grandi capacità dialettiche e culturali e per la sua bella presenza che incanta anche l'Imperatrice Eugenia. Una sera, Nigra viene invitato ad una cena a corte.

Un pranzo al castello di Compiégne, (Incominciano a essere portati in scena gli oggetti della scenetta e i personaggi) offerto dalla famiglia imperiale ad un ristretto gruppo di diplomatici stranieri, che aveva lo scopo di mettere a confronto la cucina francese e quella italiana, dava occasione a Nigra di far gustare dei prodotti rinomati della nostra terra e ancora poco conosciuti in quel paese. Nigra non esitò a procurarsi dei tartufi d’Alba ed a farli arrivare nelle cucine imperiali.

Scenetta 3

In scena un tavolo, cuochi, cameriere, utensili vari d'epoca.

CUOCO (rivolto al personale della cucina): L'Ambasciatore Nigra manda questi strani tuberi; sembrano quasi delle patate!

Esibisce i tartufi a tutta la cucina e tutti li guardano straniti.

 Una CAMERIERA esclama: Ma cosa sono!

CUOCO: Si chiamano tartufi! Arrivano da Alba e l'Ambasciatore vuole che vengano adagiati su un letto di risotto e su un'insalata.

Tutto il personale della cucina fa una risata e una esclama “Ci scusi ci è venuto da ridere”

Un'altra cameriera si avvicina, guarda i tartufi, li annusa un po'  e poi  esclama:

Sono brutti da vedere e, (con un inchino e una smorfia) dirò di più. Che odoraccio!

Tutto il personale della cucina rimane immobile, come fermi nel tempo.

 TOTA ROSIN

Vi devo dire che il pranzo fu molto apprezzato e il nostro Nigra se la cavò molto bene. In cucina aveva dato precise istruzioni tanto che l’Imperatore, notoriamente buongustaio, andò in visibilio e l’Imperatrice si lasciò andare ad espressioni di alto gradimento per questa leccornia.

Fu così che circa una settimana dopo il Nigra non si lasciò sfuggire l'occasione e mandò,  dalla Legazione Italiana, un cesto con una trentina di splendidi tartufi bianchi con questo biglietto di accompagnamento:

Si spengono le luci, si illumina la finestra con l'ombra del Nigra che legge il biglietto

OMBRA DI COSTANTINO                  

 “Sapendo che Vostra Maestà apprezza i tartufi bianchi del Piemonte, mi prendo la libertà di offrirgliene un cestino, che mi è appena arrivato tramite un corriere di Legazione. Lo chef delle cucine imperiali sa perfettamente come utilizzarli. Debbo però far notare come a Compiégne la scorsa settimana non erano stati tagliati secondo le regole; mi permetto quindi di unire ai tartufi anche una piccola macchinetta da usare per affettare i preziosi tuberi in foglie molto sottili. Prima di servirli su di una insalata è buona norma di esporre il piatto che li contiene al calore di un fuoco; debbono venir serviti leggermente tiepidi, il loro profumo sarà così esaltato ed il loro sapore ancora più piacevole.

Nella speranza che Vostra Maestà possa gradire questo umile omaggio, La prego di voler accettare l’espressione dei miei sentimenti più rispettosi e devoti con i quali ho l’onore di essere, di Vostra Maestà, il più umile e fedele servitore”.

TOTA ROSIN                     

Nigra non soltanto era generoso con la nobiltà, ma si preoccupava spesso di fare omaggi anche alle persone più umili.

L'ombra del Nigra legge la lettera

OMBRA DI COSTANTINO

"Riverito signor Prevosto, mi permetto di mandarle qui unita una cesta contenente 6 fagiani provenienti dalla Caccia reale a cui S.M. il Re Umberto I mi fece l'onore di invitarmi la scorsa settimana a Monza. Voglia gradirli come segno del mio riconoscente animo, e mi creda, come mi pregio di essere della S.V. devotissimo".

 TOTA ROSIN

State a sentire come finirono i 6 fagiani

Scenetta 4

Entrano in scena il Prevosto e il Guardiacaccia con la cesta dei fagiani e il fucile in spalla.

Entra la Perpetua. Il Prevosto si rivolge a lei.

PREVOSTO: Buongiorno perpetua, guardate cosa mi ha mandato il Nigra

La Perpetua alza un lembo della tovaglietta che ricopre la cesta ed esclama

PERPETUA: Che meraviglia, sei fagiani di montagna

PREVOSTO: Basta perder tempo, andate a prepararli.

La perpetua prende la cesta e si dirige verso la cucina.

Entra una contadina che saluta il Prevosto e il Guardiacaccia.

CONTADINA: Buongiorno Prevosto

PREVOSTO (fregandosi la pancia): Buongiorno Margherita, corro a casa che ho molto da fare.

Il Prevosto se ne esce di scena per andare a casa

La contadina rivolta al Guardiacaccia chiede cosa lo porta da quelle parti

GUARDIACACCIA: Sono qui perché il Nigra ha mandato sei fagiani al Prevosto.

Il guardiacaccia saluta ed esce. Torna, tutta affaticata, la perpetua, dicendo alla contadina

PERPETUA: Sono proprio stanca

CONTADINA: Immagino, con tutti quei fagiani da pulire!

PERPETUA: Io li spiumo, poi li cucino e lui li mangia, e non mi lascia neanche un’ala da succhiare! Sarei io che dovrei fare la predica al Prevosto!

VOCE LETTERARIA               

Il suo Piemonte, la sua terra canavesana, la sua Valle rimanevano sempre nei suoi pensieri e nel suo cuore. Le sue vacanze le trascorreva in varie località europee, ma tutti gli anni passava da Castellamonte a trovare la sorella, il figlio, i nipoti. Erano momenti in cui riviveva la sua giovinezza, le sue  escursioni in Valle Sacra, la spensieratezza tipica della sua terra e la sua passione per la canzone popolare.

CANTORI SALESI

Che cantano "Mi sovvien una notte serena"

TOTA ROSIN

Anche le sue battute di caccia gli tornavano in mente come ricordi vivi e affascinanti.

Ecco come il Nigra, girando per la sua terra, ha raccolto la canzone della Guerriera e molti altri canti popolari del Piemonte

Durante la lettura seguente sale in scena una giovane fanciulla, viene proiettata una foto con animali che pascolano, vicino all’immagine la fanciulla fila cantando la canzone

OMBRA DI COSTANTINO                  

 “Per una di quelle splendide aurore di settembre, ch’io mi ricordo d’aver contemplato spesso dagli alpestri gioghi del Canavese, un’allegra brigata di cacciatori saliva un poggio tutto coperto di folti castagni, posto agli ultimi lembi delle Alpi Graje. Al di là del poggio, giù nella valle, rumoreggiava un torrente cavalcato da un grosso tronco d’albero a guisa di ponte; poi un altro poggio, poi le falde della nuda montagna. Questo secondo poggio, popolato di lepri, era destinato a diventare il campo delle prime ore di caccia. Uccisa la lepre, una seconda caccia doveva cominciarsi ai piedi della montagna, dove una nuova muta si sarebbe lanciata contro la volpe.

Cominciò allora una scena veramente degna delle cacce di Sant’Uberto. Un formidabile ululato di cani e lo squillo dei corni empirono improvvisamente d’insolito strepito quei monti e quelle valli; la lepre s’involò intorno al colle, poi scese il poggio e si cacciò difilata su per la montagna. Cani e cacciatori, trasportati da mirabile ardore, corsero sulle sue tracce fuggitive e ben tosto scomparvero tutti dietro la costa.

Rimasto solo, prevedendo che i compagni non sarebbero ritornati prima di mezzogiorno (erano le nove del mattino) andai in cerca di una fontana e, trovatala non lungi dalla cima del poggio, m’adagiai sull’erba e m’addormentai profondamente.

Parvemi, tra sonno e veglia, di sentirmi risuonare nella testa una lunga cantilena, dapprima vaga e confusa e poi, man mano, più chiara e più distinta, che a me, così assopito, empiva i sensi d’insolita dolcezza e l’animo di malinconia, come se avessi subito l’impressione delle note profonde e commoventi d’un organo lontano.

Al re jià scrit na letter. Na lettera sigilà .

An bun vei da stantan. Dev andar a far al suldà.

 A pians al por pare. Piansi pi, vu mi

 Deme an caval moro. Che posa ben purtar

Deme an bun pagi. Che mi posa ben fidar

 Con la mia veste russ. Feme far an mantel

Con su le guarnidure. E coccarda sal cappel

 Deme na spadina. Con l’impugnadura durà

Che tutta la geint che passa.Ho dirà che bel suldà

 Al lento ma continuo approssimarsi della melodia, il sonno fuggiva leggero dalle mie palpebre e, quando fui desto del tutto, potei distintamente udire il canto modulato da una voce fresca, nitida e pura. Non mossi il collo, né mi piegai per osservare. Temevo che il minimo movimento potesse far cessare il canto e far svanire l’illusione, come recitava una vecchia storia che ai fanciulli raccontavano le donne di casa. Cacciatore che dorme non piglia lepri gridò ad un tratto, interrompendo il canto, la mia sirena. Vedendomi scoperto, mi alzai. Mi trovai dinnanzi ad una svelta e graziosa ragazza che stava filando e cantando, mentre pascolava una dozzina di agnelle, quattro capre ed una giovenca. Aveva non più di quindici o sedici anni; quindi forme ancor troppo gracili e non abbastanza compite, perché la si potesse definire una bella donna. Ma l’aspetto era seducente; il pittoresco costume della sua valle nativa, semplice e pulito, le stava a pennello. Alta e snella, anca modesta, mano torinese e gamba parigina, benché senza guanti e senza scarpe, l’una e l’altra però, a dire il vero, un po’ abbrunite dalla nebbia e dal sole; occhi d’azzurro cupo, grandi, umidi; una capigliatura immensa del più bel biondo cinereo che fosse mai, ripartita in due lunghe trecce,legate in punta con un nastro di velluto nero, e cadenti giù per le spalle; infine denti di cane e labbra di rosa.

Rivà che fù sla spiaggia.Chila as butà a cantar

E i sulda an arme. Staval li ad ascutar

 Jà dit al capitano. Che chi sa ben scutar

Smia la vus nà fia. Nin la vus dan cavalie

 Se voli ben cugnosla. Purtela an t'an giardin

Se chila l'è na fia. As cuirà ad masulin

 Su su sulda cuive. Cuive ad rose ed fiur

No no sior capitano. Non cià grada pa l’udur

 Se voli ben cugnosla. Purtela dan marsè

Se chila l'è na fia. As catra ad bei bindei

 No no sior capitano. Le pistole e i cutei

Della voce non parlo, argentina davvero, soave e potente e precisa di giunta. Le dissi che se continuava a cantare le avrei fatto scegliere una delle cose che avevo nel carniere e, con una curiosità tutta infantile, scelse un bel collare di cordovano fulvo, orlato di rosso, con inciso il mio nome su una piccola lamina di rame appesa ad una catenella di acciaio.

Se voli ben cugnosla. Cugeve a dui a dui

Se chila l'è na fia. As cuirà pa con vui

 Su su sulda cugeve. Cugeve a dui a dui

La fietta saggia e accorta. Con al pagi ando a dormir

 Se voli ben cugnosla. Meinela an t'an navil

Se chila l'è na fia. San cala pa spuiar

Vi devo dire che scelse il collare per la sua capra bianca, e mentre lo adattava al collo della gentile bestiola, cominciò a cantare la canzone che io trascrissi.

Mentre chila sa spoia. Na lettera rivò

So pare l'è malavi. Chila a cà dev riturnar

 Su su sior capitano. Firmeme al cunge

La fietta munta an sella. E cantando se ne va

 La fietta travestia. Per sett'an servi al re

Quando finì, il sole cadeva dietro la montagna ed io udivo il richiamo dei corni lontani. Risposi dando fiato all’olifante e mossi giù per la costa incontrando i compagni.

TOTA ROSIN

Dopo Parigi la sua carriera di Ambasciatore lo portò nelle capitali più importanti d'Europa:

San Pietroburgo, Londra e infine Vienna.

A San Pietroburgo, nella fredda Russia, sentiva spesso la mancanza dei tipici prodotti delle terre canavesane, quelli dell'orto, delle vigne, degli alveari, della campagna e i suoi famigliari cercavano di soddisfare i suoi desideri spedendo in quelle terre lontane le cose allora più tipiche: mele, pere, cachi, miele. Ma lui scriveva al fratello Michelangelo da San Pietroburgo dicendo:

OMBRA DI COSTANTINO                 

"La cassa del miele inviatami dal cognato Derossi mi è giunta tre giorni fa. Ho già assaggiato il miele che è eccellente e molto profumato. Il gusto è sopraffino e potrebbe competere con quello di Chamonix se fosse altrettanto bianco e purificato come quest'ultimo.

Mi rincresce di non aver pensato di mandare da Parigi a Derossi un saggio del miele di Chamonix affinché potesse farci sopra degli studi comparativi. La cosa merita attenzione perché il miele di Castellamonte è veramente buono e per farlo diventare perfetto non gli manca che un maggior grado di purificazione ed un colore meno giallo".

Scenetta 6

In scena la sorella del Nigra Virginia ed il cognato Derossi  che commentano quello che il Nigra ha scritto loro:

DE ROSSI (rivolto alla moglie Virginia): Te lo dicevo, io, che il mio miele è profumato e sopraffino. Tu sempre lì gelosa anche delle mie api. Quello che si dovrebbe lamentare sono io, con tutti quei calabroni che ti ronzano intorno.

VIRGINIA: Eh sì, poi la gelosa sarei io! Vai, vai, smettila di discutere, vai a vedere le tue api così mandi altro miele a Costantino che si faccia latte e miele, che lì fa un gran freddo.

TOTA ROSIN

Eh, il mio Costantino. Si interessava di tartufi, di miele, e anche di fotografia. Di cosa non si interessava il mio Costantino.

 OMBRA DI COSTANTINO                     

Vienna, 10 febbraio 1902

Caro nipote, Ti ringrazio della primizia della tua arte fotografica. E giacché la prova è ben riuscita, ti prego di fotografare per me un oggetto che mi preme di avere sott’occhio disegnato al vero. Desidero cioè di avere il disegno esatto d’una di quelle collane delle vacche, a cui è appeso il campano, e che si chiama costì canàula. Vorrei che il disegno comprendesse anche il campano, e lasciasse vedere la punta del batacchio. Perciò bisognerebbe fotografare la canàula appesa in aria. Non ho fretta, e potrai farmi questa fotografia quando vorrai e potrai.

Scenetta 7

In scena un fotografo che chiama i contadini, Domenica e Giacomino.

Questi entrano, lui con con un collare da mucca e bastone, lei con il batacchio. Il fotografo gli dice di mettere bene in vista gli oggetti, ma alla luce (lampo) della macchina fotografica.

Domenica per lo spavento vola a gambe all'aria esibendo i mutandoni d'epoca e rumoreggiando con il batacchio.

Poi, rivolta al marito chiede cosa sia stato e lui, più spaventato di lei, dice di non saperlo.

 DOMENICA: Te lo dico io cos’è, un lampo

GIACOMINO: Ma se c'è il sole

DOMENICA: Va be', però aiutami a tirarmi su

Giacomino tenta di tirarla su, commentando

GIACOMINO: Bell’affare, hai messo tutta la mercanzia in vista!

Giacomino, tutto intimidito, chiede aiuto al fotografo e tirano su Domenica.

I contadini escono di scena rivolti al fotografo, raccomandandosi di salutare il Nigra, che è tanto una brava persona.

Chiusura con Nigra a Rapallo :                 Immagine villa di Rapallo 

In scena Costantino anziano con foto di Rapallo sullo schermo.

COSTANTINO NIGRA                  

Avete visto cosa dicevano di me i miei compaesani, gente semplice e genuina.

Anche se la mia vita sta per concludersi, mi pare di sentire i loro canti che mi consolano sempre, riportandomi nella mia amata terra a cui sono sempre affezionato.

Appare l’angelo che accompagna Nigra lentamente fuori dal palcoscenico.

CANTORI SALESI

I Cantori iniziano a cantare “Buona Sera” entrando in scena. Finita la canzone Costantino Nigra parla dei suoi ricordi del paese natìo.

 TUTTI gli ATTORI entrano in scena uno alla volta con una richiesta per i Cantori Salesi, che eseguono le canzoni.

3 CANTI DEL REPERTORIO CANTORI SALESI

La canzone ELVIRA (cantata da solista con sottofondo del Coro) conclude la serata

Al termine TUTTI gli ATTORI entrano in scena per salutare il pubblico presente.