LA FIGURA DI COSTANTINO NIGRA SULLA STAMPA CATTOLICA DEL RISORGIMENTO

di Carlo Bovolo

Carlo Bovolo - Upobook

La figura di Costantino Nigra sulla stampa cattolica del Risorgimento di Carlo Bovolo (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) Introduzione La figura di Costantino Nigra, una volta entrata in una sorta di “Pantheon” degli eroi dell’epopea risorgimentale, ha raggiunto una certa notorietà, per quanto spesso limitata alla visione stereotipata e aneddotica del seducente e intrigante diplomatico. Come evidenziato da Umberto Levra, nei decenni successivi all’Unità si creò un vero e proprio mito di Nigra, la cui figura divenne nota all’opinione pubblica coeva solamente dopo la sua prima attività diplomatica presso Napoleone III a Parigi e la morte di Cavour, suo mentore, con l’inizio di una lunga carriera da ambasciatore e con la parentesi della luogotenenza napoletana. A partire dal 1860-61 Nigra inizia a comparire sulla stampa piemontese e italiana: nasce la fama di diplomatico e si rafforza quella dello studioso di tradizioni e canti popolari. Questo contributo intende, dunque, analizzare la figura di Costantino Nigra e alcuni momenti salienti della sua attività, indicativamente tra l’Unità nazionale e gli anni Settanta dell’Ottocento, attraverso lo sguardo della stampa cattolica. Per la ricerca sono stati considerati soprattutto tre periodici, scelti in quanto tra i più significativi delle tendenze dei cattolici italiani nella seconda metà dell’Ottocento, punti di riferimento dello schieramento intransigente: «L’Armonia della religione colla civiltà», «La Civiltà Cattolica» 3 e «L’Unità Cattolica» 4 . Si tratta, quindi, di un’ottica tendenzialmente avversa, critica, spesso di polemica dura e ironica, ma proprio per questo interessante e utile per valutare come la figura di Nigra venne percepita, presentata e giudicata da alcuni settori della stampa e dell’opinione pubblica italiana risorgimentale e postunitaria , anche piuttosto influenti e seguiti, in opposizione alla lettura nazional-popolare del Risorgimento. U. LEVRA, Nigra tra storia e mito, in U. LEVRA (a cura di), L’opera politica di Costantino Nigra, cit., pp. 25-51. I tre periodici cattolici sono stati scelti quali fonti principali del contributo seguendo i criteri della diffusione e tiratura e della rilevanza all’interno della stampa cattolica intransigente. «L’Armonia della religione colla civiltà» fu fondata a Torino nel luglio 1848 da alcuni esponenti del mondo cattolico e conservatore, come Guglielmo Audisio, Gustavo Benso di Cavour, per poi essere guidato dal più intransigente don Giacomo Margotti: cfr. B. MONTALE, Lineamenti generali per la storia de «L’Armonia» dal 1848 al 1857, in Atti del XXXIII Congresso di storia del Risorgimento, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1958, pp. 221-230; A. MAJO, Storia della stampa cattolica in Italia, Milano, NED, 1987, pp. 34-53. «La Civiltà Cattolica», periodico dei gesuiti italiani, fu fondato 1850 da Carlo Maria Curci, pubblicando prima a Napoli, poi a Roma e configurandosi come il laboratorio privilegiato del pensiero cattolico intransigente, specchio fedele degli indirizzi della Santa Sede: cfr. G. MUCCI, Carlo Maria Curci. Il fondatore della «Civiltà Cattolica», Roma, Studium, 1988; F. DANTE, Storia della «Civiltà Cattolica» (1850-1891). Il laboratorio del papa, Roma, Studium, 1990; G. DE ROSA, La Civiltà Cattolica. 150 anni al servizio della Chiesa 1850-1999, Roma, La Civiltà Cattolica, 1999.«L’Unità Cattolica» nacque nel 1863 a Torino su iniziativa di don Margotti in seguito alle divergenze sorte all’interno della «Armonia» e ne riprese con forza la linea polemica; nel 1893 si trasferì a Firenze e proseguì le pubblicazioni fino al 1929: cfr. M. TAGLIAFERRI, L’Unità cattolica. Storia di una mentalità, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1993.
 Similmente al resto della stampa, anche sui giornali cattolici Nigra non compare quasi mai prima del 1860: né la gesuita «Civiltà Cattolica» né, soprattutto, «L’Armonia», periodico dei cattolici torinesi, lo indicano al seguito della delegazione piemontese al congresso di Parigi nel 1856, così come non viene notata la sua missione presso Napoleone III. Un primo, unico riferimento, a dir la verità quasi casuale, segnalato da Adriano Viarengo, comparve nel gennaio 1853 sul giornale clericale torinese «La Campana», che nell’occasione criticava duramente l’organizzazione di un banchetto tra i reduci dei corpi volontari della guerra del 1848: «Il 23 marzo ci ricorda tanti dolori, tanta umiliazione e i Carboni, e i Nigra, e i Leardi invitano i loro commilitoni a che cosa? […] A UN PRANZO». Tuttavia, è a partire dagli anni Sessanta che Nigra riceve una maggiore attenzione dalla stampa italiana, compresa quella cattolica. Pur non essendo uno dei bersagli polemici più ricorrenti, egli comparve in diverse occasioni, specialmente in riferimento a due ambiti: la massoneria e, soprattutto, la politica estera. «Gran Maestro della Framassoneria italiana» La massoneria fu uno dei bersagli prediletti dalla stampa cattolica. Quando, a un anno dalla sua entrata nella Loggia Ausonia, nel giugno 1861 Nigra fu eletto gran maestro del neonato Grande Oriente d’Italia, la questione suscitò attenzioni e critiche. Da una parte, alcuni settori della massoneria italiana presero le distanze sia perché ritenevano che la nomina fosse stata decisa da Cavour, sia che Nigra avesse rapporti troppi stretti e interessati con Napoleone III. Dall’altra, l’evento diede l’occasione ad alcuni periodici cattolici intransigenti per attaccare la massoneria e il sistema di potere e influenze, innanzitutto politiche, che vi stava dietro. Il 10 novembre 1861, nell’articolo dell’«Armonia» intitolato L’antico e il nuovo Gran maestro della Framassoneria italiana, Nigra ottenne per la prima volta una significativa attenzione dalla stampa cattolica. L’articolo coglieva l’occasione della nomina a gran maestro per polemizzare contro la linea politica di Cavour e dei suoi successori e per mettere in luce il ruolo determinante esercitato dall’appartenenza massonica nell’ascesa politica e sociale. Già l’anno precedente, nel quadro della sua linea editoriale anticavouriana, il giornale clericale torinese aveva attaccato un altro stretto e fidato collaboratore di Cavour: se in quest’occasione il nome di Costantino Nigra veniva solamente citato di passaggio, il bersaglio era Isacco Artom, aspramente criticato per l’origine ebraica 8 . Ora, 5 «La Campana», anno IV, s.n., 28 gennaio 1853, citato in A. VIARENGO, Il ’48 in Piemonte e le élites giovanili, in U. LEVRA (a cura di), L’opera politica di Costantino Nigra, cit., p. 100.Sulle vicende della massoneria italiana si vedano A. COLOMBO, Per la storia della Massoneria nel Risorgimento italiano, in «Rassegna storica del Risorgimento», I, n. 1, 1914, pp. 53-89 e L. POLO FRIZ, La massoneria italiana nel decennio post-unitario. Ludovico Frapolli, Milano, Franco Angeli, 1998. 7 L’antico e il nuovo gran maestro della framassoneria italiana, in «L’Armonia della religione colla civiltà», anno XIV, n. 264, 10 novembre 1861, p. 1116.Il Conte di Cavour e il suo Isacco, in «L’Armonia della religione colla civiltà», anno XIII, n. 180, 3 agosto 1860, p. 717.
 
Rientrato a Torino dalla missione presso Napoleone III e dalla difficile esperienza come segretario della luogotenenza a Napoli, da poco al vertice della massoneria italiana, Nigra fu investito dalle accuse dell’«Armonia», che ne tratteggiò un ritratto tutt’altro che favorevole : «Costantino Nigra è un giovinotto di primo pelo, che entrò nelle grazie del conte di Cavour, che portavagli una speciale affezione, e l’incamminò per la carriera diplomatica, e lo volle depositario de’ suoi segreti. Era ben naturale che gli dovesse succedere nella Gran Maestranza della Framassoneria» 9 . L’articolo si soffermava sulla fulgida e rapida carriera del diplomatico, la cui causa si insinuava fosse proprio la militanza massonica: All’improvviso eccolo diventare un gran diplomatico e poi ministro del Regno d’Italia a Parigi. Era un mistero: un mistero che egli progredisse così rapidamente; un mistero che trovasse così buona accoglienza presso il Bonaparte; un mistero che avesse libero ingresso nel suo palazzo e fumasse con lui i sigari nel più segreto di tutti i suoi gabinetti; un mistero che lo mandassero a Napoli col principe di Carignano per portare la parola d’ordine ai carbonari di quelle contrade; un mistero che, reduce da Napoli, ripartisse subito per Parigi. Ma tutti questi misteri si rivelano colla nomina del sig. Nigra a Gran Maestro della Framassoneria italiana. Da questo punto mol te cose passate s’intendono facilmente, e molte altre avvenire saranno di facilissima spiegazione . La figura di Nigra in relazione alla massoneria tornò sulle riviste cattoliche qualche anno più tardi, seppure in modo più marginale. Nel 1866 «La Civiltà Cattolica» ripercorse le vicende recenti della massoneria italiana, delle quali l’elezione e la breve reggenza del Grande Oriente d’Italia da parte del diplomatico costituiva uno dei momenti significativi. L’articolo, usando un taglio di cronaca, non si impegnò in polemiche esplicite, presenti per altro in numerosi altri pezzi, ma comunque suggeriva al lettore una chiave di lettura negativa sulle recenti vicende della massoneria italiana, evidenziandone la litigiosità e la frammentarietà, oltre che i tentativi di ingerenze politiche. «L'Italia non è rappresentata, come dovrebbe, nelle grandi capitali» Fu però nelle vicende diplomatiche che si focalizzò maggiormente l’attenzione e, di conseguenza, la polemica della stampa cattolica su Nigra, in particolare durante il suo mandato da plenipotenziario italiano a Parigi (1860-1876). Programmaticamente avversa e critica verso la politica estera del neonato Stato unitario, la stampa cattolica intransigente non perse occasione per mettere in luce le incertezze, le carenze e leL’antico e il nuovo gran maestro della framassoneria italiana, in «L’Armonia della religione colla civiltà», cit. 10 Ibidem. «La Civiltà Cattolica», anno XVII, vol. V, 1866, pp. 95-96.
 
Difficoltà della linea diplomatica italiana e dei suoi interpreti. Un esempio di questo atteggiamento fu l’«umiliantissimo pasticcio […] della Nota circolare del signor Durando» del 10 settembre 1862 . «L’Armonia», infatti, riportava l’episodio dandogli ampio risalto: la nota redatta in seguito ai fatti dell’Aspromonte dal generale Giacomo Durando, ministro degli Esteri nel primo governo Rattazzi (dal marzo al dicembre 1862), se da una parte prendeva le distanze da Garibaldi, dall’altra pareva avanzare rivendicazioni su Roma capitale, provocando un caso diplomatico tra Torino, Parigi e la Santa Sede. Il nuovo quadro geopolitico nato dall’Unità d’Italia aveva infatti trasformato Na poleone III da alleato a principale ostacolo alla presa di Roma. Nigra entrò nella faccenda in quanto plenipotenziario italiano a Parigi, ma non era tanto il diplomatico a essere preso di mira, ma più in generale la confusa condotta del governo italiano: da una parte infatti, «L’Armonia» faceva eco a «La France» nel riportare il dispiacere di Nigra e del governo italiano per la nota, ma dall’altra la versione ufficiale italiana sosteneva la smentita dello stesso Nigra alla notizia. La questione, definita con sarcasmo «questo badalucco tra Nigra e la France», diede l’occasione per una requisitoria contro il corpo diplomatico liberale («O povera nostra diplomazia!») e per invocare direttamente i rimpianti antichi ministri di Casa Savoia, voi che ne levaste sì alta la fama e ne rendeste sì riverito il nome, voi, o De Maistre, o Latour, o San Marzano, o San Martino d’Agliè, o della Margarita, o di Pralormo, o di Vignet, o De Sales, o di Brignole-Sale, voi tutti venite e vedete che cosa scrivono i vostri successori a Torino, e che cosa fanno a Parigi i diplomatici del nuovo regno d’Italia! Potea toccare alla Patria nostra più grande umiliazione, che l’essere governata e rappresentata da simili Balilla? Spesso i giornali cattolici sottolineavano o suggerivano veri o presunti dissidi e tensioni all’interno dei rapporti tra rappresentanti del governo e Nigra. Nel marzo 1863, ad esempio, «L’Armonia» rivelava che «Nigra è poco contento di servire Visconti -Venosta e questi non ama di farsi servire da Nigra. Dicesi perciò che l’Italia avrà ben presto un altro rappresentante a Parigi »; il mese successivo, sempre il quotidiano torinese evidenziava la freddezza della visita parigina di Rattazzi: «fredde sono le sue relazioni col commendatore Nigra: hanno scambiato un biglietto da visita e null’altro». Un altro caso diplomatico, che attirò l’attenzione della stampa cattolica e in cui si trovò coinvolto Nigra, scoppiò nell’estate del 1863. Il 10 luglio, infatti, il prefetto di Genova arrestò sulLa nota Durando Nigra e la France, in «L’Armonia della religione colla civiltà», anno XV, n. 256, 5 novembre 1862, pp. 1203-1204. 13 Ibidem. Ovviamente, in quest’occasione l’appellativo “balilla” era usato in tono ironicamente dispregiativo. 14 «L’Armonia della religione colla civiltà», anno XVI, n. 76, 31 marzo 1863, p. 343. Emilio Visconti Venosta (1829- 1914) era appena stato nominato ministro degli Esteri nel governo Minghetti (24 marzo 1863) e fu un costante bersaglio polemico della stampa cattolica. «L’Armonia della religione colla civiltà», anno XVI, n. 90, 16 aprile 1863, p. 403.
 
 Sul piroscafo francese Aunis cinque briganti, tra cui i famigerati fratelli Cipriano e Giona La Gala, fuggiti da Civitavecchia con regolari passaporti per raggiungere la Spagna via Marsiglia. Se, da una parte, la cattura rappresentò un grande colpo per la propaganda italiana, fornendo le prove dei traffici legittimistici borbonici e della rete di favoreggiamento o, quantomeno, di ambiguità politica di alcune potenze europee; dall’altra, però, l’arresto provocò nuovamente un serio incidente diplomatico con la Francia, dal momento che il governo italiano aveva violato norme del diritto internazionale. La situazione fu poi ricomposta con la restituzione dei briganti alla Francia e la successiva legale procedura di estradizione da parte italiana 16 . In tali frangenti, l’opera di Nigra in veste di ambasciatore a Parigi, fu di cruciale importanza, nel mediare tra le istanze italiane e le proteste francesi e nella risoluzione della querelle. Nelle settimane successive all’accaduto, sia «L’Armonia» sia «La Civiltà Cattolica» diedero ampio spazio alla notizia, pubblicando o comunque riferendo, parte della corrispondenza diplomatica tra Nigra e Visconti Venosta. Nonostante l’esito del caso, duro era il giudizio del giornale dei gesuiti verso la diplomazia italiana: «Intanto i giornali cinguettano sopra l'incapacità del Nigra e del Visconti Venosta, che fin qui non aveano ottenuta l'estradizione dei cinque briganti catturati sull' Aunis, e dovuti restituire alla Francia». L’articolo, dopo aver citato il «coro perpetuo di lagnanze contro la diplomazia del Governo italiano», proseguiva con un feroce attacco a diplomatici e ambasciatori italiani , come già l’anno precedente aveva fatto «L’Armonia»: È vano illudersi; l’Italia non ha una diplomazia. Alcuni fra i vecchi rappresentanti dell'antico Piemonte o sono strumenti logori, o sono uomini che non si sanno render ragione della grandezza e della importanza degli uffizii che essi attualmente ricuoprono. Senza entrar in specialità, e senza prendere ad esaminar la capacità individuale de' nostri Ministri, è necessario riconoscere che l'Italia non è rappresentata, come dovrebbe, nelle grandi capitali, là dove si raffazzona tutta la politica, dove si mesta e si rimesta in tutte le grandi questioni che interessano o possono interessare il nostro regno. Ma se il male è conosciuto, e credo poter dire che è conosciuto da tutti, i rimedii sono ancora allo stato di desiderio, occorrono uomini e gli uomini mancano: e non tutti coloro che potrebbero entrare nella nostra diplomazia o lo vogliono o lo possono: non lo vogliono, perché non si sentono disposti ad accettar uffizi cui occorrono qualità speciali, o non lo possono, perché si trovano in condizioni tali, che non potrebbero forse sostenere con quella dignità che si esige nei posti medesimi. Sui briganti dell’Aunis, cfr. M. GRIFA, Il brigantaggio meridionale nella stampa clericale e moderata (1861-1865), Tesi di laurea in Storia, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 2008-2009, relatore C. Fumian, pp. 189-202. 17 «La Civiltà Cattolica», anno XIV, vol. VII, 1863, pp. 739-740. 18 Ibidem.
 
Nigra comparve nuovamente sulle pagine della stampa clericale l’anno successivo, in connessione alla Convenzione di settembre, con cui l’Italia si impegnava a non attacca re e a impedire attacchi al territorio pontificio, spostando la capitale da Torino a Firenze e, in cambio, la Francia prometteva di ritirare le proprie truppe da Roma. «L’Armonia», in particolare, dedicò all’ambasciatore l’articolo Il cav. Nigra e la Convenzione, improntato a una feroce ironia e seguito da alcuni dispacci diplomatici di Nigra al governo italiano, a supporto delle accuse. Proprio da accuse a Nigra ha inizio il pezzo: «L’Armonia» riferiva come il dispaccio di Nigra alla Camera italiana sulla Convenzione avesse suscitato forti polemiche in Francia, in quanto ritenuto «inesatto, arbitrario, incompleto, accomodato ai punti di vista del gabinetto di Torino, ma non del gabinetto delle Tuileries: insomma poco meno che inventato e menzognero» 19 . Sminuita la risposta del ministro degli Interni Giovanni Lanza in difesa di Nigra, che con falso e polemico stupore era definito «plenipotenziario del regno italiano (!!?)», il quotidiano riportava le proteste ufficiali del ministro degli Esteri francese Drouyn de Lhuys : egli «s’è ficcato in testa di voler concepire l’inconcepibile, di voler comprendere l’assurdo, in una parola nel voler trovare inesattezze, alterazioni ed equivoci nella Nota d’un ministro, e, quel che è più, d’un ministro italiano». Nella seconda parte dell’articolo, la violenza polemica e sarcastica contro Nigra si intensificava: «Pensate se il signor Nigra, uomo di distinta lealtà, potea starsi a dormire sotto un incubo di questa fatta e soffrire di esser messo in voce poco meno che di menzognero ed impostore!». Secondo il giornale torinese, venuto a sapere della prostesa ufficiale del ministro francese, Nigra sarebbe corso ai ripari, inviando un nuovo dispiaccio esplicativo al governo guidato da Lamarmora, in cui erano confermate le accuse iniziali: Il cav. Nigra non trovò conveniente spiattellare chiare e tonde le vergogne italiane contenute nella convenzione. Non volle presentare al suo paese quel trattato in tutta la sua crudezza ed aridità. Studiò il modo d’inghirlandarlo di qualche rosa, lo adattò al gusto dei rivoluzionari, gli diede colore, fisionomia, un contorno insomma seducente e delizioso. Con una magniloquenza altisonante, che esce i limiti della gravità e della pacatezza dello stile diplomatico disse e ridisse che l’Italia non rinunzierà mai alle sue aspirazioni nazionali. Allargò e pose il selciato sulla via che dee tuttavia condurci ai sette colli, riepilogandola nella formola: mezzi morali; formola accomodata a tutti i gusti. Non omise di spargere olio della consolazione ed il balsamo del conforto sui cuori esulcerati dal trasferimento della capitale, lasciando intravedere che questa non sarebbe che una misura provvisoria. Dove poi il passo era difficile Il cav. Nigra e la Convenzione, in «L’Armonia della religione colla civiltà», anno XVII, n. 259, 8 novembre 1864, p. 1040. 20 Éduard Drouyn de Lhuys (1805-1881) fu più volte ministro degli Esteri. Conservatore, filoaustriaco e alleato politico dell’imperatrice Eugenia, nel suo ultimo mandato (1862-1866) si adoperò per modificare la linea filoitaliana di Napoleone III degli anni precedenti.
 
 La musica scordata seppe giocar di parola, adoperare artifizi, ed il tutto siffattamente armonizzare, che riuscì a fare della convenzione un pasto gradito a tutti i palati. Un nuovo attacco polemico a Nigra, nel quale fu coinvolto anche l’altro pupillo di Cavour, Isacco Artom, fu lanciato dall’«Unità Cattolica» nel luglio 1867. Il redattore di Costantino ed Isacco nostri rappresentanti a Parigi si scagliava contro «gli onorevoli signori che rappresentano l’Italia a Parigi. Diciamo onorevoli signori in numero plurale, giacché il regno italiano ha due ministri a Parigi, l’uno il famoso Costantino Nigra, l’altro l’ebreo Isacco Artom», entrambi con la qualifica di «inviato straordinario e ministro plenipotenziario». A causa dell’importanza dei rapporti con la Francia di Napoleone III e anche alla luce di crescenti tensioni e divergenze, Artom aveva soggiornato più volte Parigi, anche se non ininterrottamente, a partire dal 1862 come segretario di legazione e, proprio nel giugno 1867 era stato l’inviato italiano alla Conferenza monetaria internazionale di Parigi, per poi essere nominato in agosto plenipotenziario a Copenhagen. L’articolo non solo criticava la presenza di due inviati, ma anche il fatto che «Costantino ed Isacco non si contentano a Parigi della pensione d’un frate, né d’un convento di frati!». Ma soprattutto veniva criticata la loro condotta diplomatica, all’insegna di «laute imbandigioni»: «Non sappiamo se, come il Nigra ottiene la palma nel cucinare i risotti, così l’Artom vada segnalato nel preparare i salami d’oca, e in tal guisa amendue ci facciano sedere al banchetto delle nazioni. […] Amendue servono l’Italia colle laute imbandigioni. Il Nigra, ad esempio, a detta del deputato Robecchi, pel solo palazzo paga 40.000 lire all’anno. Pensate pe’ pranzi». Le relazioni diplomatiche tra Firenze e Parigi su Roma furono sempre un punto caldo della politica italiana degli anni Sessanta dell’Ottocento. In occasione del tentativo garibaldino a Mentana, represso dalle truppe francesi (3 novembre 1867), l’attività di Nigra, come prevedibile, si intensificò, così come i suoi riferimenti sulle pagine della stampa cattolica. In particolare l’«Unità Cattolica», in vari interventi supportati dalla consueta pubblicazione di dispacci diplomatici, cercava di far luce sui tentativi italiani di un eventuale riapertura delle trattative per Roma e insinuava un sotterraneo appoggio del governo a Garibaldi. Similmente, in Costantino Nigra a Firenze, pubblicato nel marzo del 1869 sull’«Unità Cattolica», si riportava la notizia del viaggio di Nigra da Parigi a Firenze, fatto che «lascia sospettare che qualche cosa di grosso vi sia sotto. […] Chi sa se il signor Nigra non ci Il cav. Nigra e la Convenzione, cit., p. 1040.Costantino ed Isacco nostri rappresentanti a Parigi, in «L’Unità Cattolica», n. 152, 3 luglio 1867, p. 753. G. TALAMO, Artom, Isacco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 4, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1962.Costantino ed Isacco nostri rappresentanti a Parigi, cit., p. 754. 25 La partenza del Nigra, in «L’Unità Cattolica», n. 193, 21 agosto 1863, p. 914; Garibaldi, Rattazzi e Nigra, in «L’Unità Cattolica», n. 204, 3 settembre 1867, p. 967; La missione Nigra a Biarritz, in «L’Unità Cattolica», n. 232, 5 ottobre 1867, p. 1078; Il libro verde del ministro Menabrea, in «L’Unità Cattolica», n. 289, 12 dicembre 1867, pp. 1325-1326.
 
 Porti l’imprimatur di Napoleone al Libro verde, riferimento alla raccolta di documenti diplomatici raccolti e distribuiti alla Camera dal governo presieduto da Luigi Federico Menabrea per definire un modus vivendi con la Santa Sede e la Francia. È proprio alla luce dell’intensa attività diplomatica con la Francia durante il governo Menabrea che va letto l’ironico appello A Costantino Nigra in Parigi, apparso sull’«Unità Cattolica» il 6 aprile 1869: «Per riposarvi dalla lettura delle note e dei dispacci che vi manda continuamente il vostro padrone Menabrea, favorite di meditare sull’ indice di queste oblazioni a Pio IX, che ci recava un sol corriere»; seguiva un lungo elenco di donazioni in favore del papa. Anche «La Civiltà Cattolica», alla luce delle trattative che giravano attorno a Roma, si interessò nel dettaglio al Libro verde, una volta che fu pubblicato, ripercorrendolo minuziosamente e citando i numerosi dispacci tra Menabrea e Nigra, suoi principali protagonisti, e giudicandolo «uno spediente temporaneo, inteso a procurare la conciliazione in modo soddisfacente per l'Italia» . Sul finire degli anni Sessanta la posizione di Nigra si era lentamente fatta più complicata: da una parte i rapporti dell’Italia con Napoleone III si erano incrinati, dall’altra in patria guadagnava consensi l’opinione che egli fosse troppo filofrancese e bonapartista. Questo giudizio sostanzialmente negativo era trasversale: da membri del governo e deputati fino alla stampa più clericale. Il 10 aprile 1869 il filoitaliano ministro degli Esteri francese, Charles de La Valette espresse alla Camera francese apprezzamento per il plenipotenziario italiano, suscitando le reazioni della stampa intransigente. Se «La Civiltà Cattolica» si limitò a dare notizia nella rubrica di cronaca internazionale dell’«apologia del sig. Nigra» senza dilungarsi troppo in critiche esplicite, «L’Unità Cattolica» arricchiva la polemica individuando «le due cause di sì bel panegirico […]: l’una remota, l’ altra prossima»: rispettivamente l’appartenenza massonica (e si citava l’ elezione a gran maestro nel 1861, già oggetto di polemica della stampa clericale negli anni precedenti, come sopra detto) e l’atteggiamento ritenuto troppo filofrancese. Emblematico il giudizio finale dell’articolo: Costantino Nigra è più imperiale che italiano, e più framassone che italiano ed imperiale. Quindi a Parigi non si potrebbe trovare migliore diplomatico, e non sarà richiamato tanto presto! Tuttavia, al marchese Lavalette [sic], se nol sa, vogliamo dire che nella stessa tornata massonica in cui Costantino Nigra fu eletto gran maestro dell’Ordine venne deciso che la prossima tornata della framassoneria “avrà luogo in Roma, se questa sarà già libera”. Ora il signor marchese favorisca di spiegarci come possa essere uno Costantino Nigra a Firenze, in «L’Unità Cattolica», n. 39, 12 marzo 1869, pp. 242-243. 27 A Costantino Nigra in Parigi, in «L’Unità Cattolica», n. 79, 6 aprile 1869, p. 350. 28 «La Civiltà Cattolica», anno XX, vol. VI, 1869, pp. 629-635. 29 U. LEVRA, Nigra tra storia e mito, cit., p. 30. 30 Ivi, p. 495. 31 Panegirico di C. Nigra recitato dal marchese di Lavalette, in «L’Unità Cattolica», n. 87, 15 aprile 1869, p. 405.
 
 
De’ più fermi difensori del principio del diritto delle genti chi vuole spogliare il Papa per presiedere nella capitale del mondo cattolico le adunanze della massoneria!!! 32 Nel duro giudizio della stampa clericale si fondevano più fattori: l’avversione personale verso uno dei protagonisti del Risorgimento e della linea liberale cavouriana e della Destra storica; il timore che per intrighi diplomatici potesse finire la protezione francese sul Papato; il costante odio verso la massoneria e le sue cospirazioni anticattoliche. Nigra conservò la carica di plenipotenziario italiano a Parigi anche dopo la caduta di Napoleone III e la presa di Roma, nonostante in patria continuassero le accuse di essere filofrancese e le critiche alla sua attività e a Parigi si lamentasse il mancato aiuto italiano e, da parte dei bonapartisti, il riconoscimento della repubblica francese. Nel 1876 fu nominato ambasciatore a San Pietroburgo, poi a Londra nel 1882 e a Vienna nel 1885, prima della nomina a senatore nel 1890. Tuttavia, dopo il 1870, l’attenzione della stampa cattolica verso Nigra scemò, a causa del mutato contesto geopolitico. Anni più tardi, nel 1895, Nigra fu ancora al centro di una piccola polemica sulle pagine della «Civiltà Cattolica», ma sempre in riferimento alle vicende di venticinque anni prima. La rivista dei gesuiti diede notizia della pubblicazione sulla «Nuova antologia» di alcune sue memorie diplomatiche relative al 1870 e della polemica che ne sorse: Lo scopo della pubblicazione è, sembra, far vedere che l’Italia, invadendo Roma e violando la convenzione di settembre tra essa e la Francia, non fe’ cosa contraria alla Francia. Il Figaro ha risposto trionfalmente al Nigra; anzi dalle costui memorie stesse si vede chiara l’opposizione di Napoleone III che disse: “Non cedo per Roma”. Ma le sconfitte francesi diedero ansa ai liberali italiani di rompere la convenzione 33 . Il duro giudizio critico della stampa cattolica verso Nigra non era dunque mutato, nonostante gli anni. D’altronde l’aspro scontro tra Stato e Chiesa, esploso definitivamente con la presa di Roma nel 1870 era ancora lontano dal concludersi e l’intransigentismo politico diffuso in molti settori del mondo cattolico. In conclusione, la stampa cattolica intransigente percepì e presentò al proprio pubblico una lettura negativa di Costantino Nigra: l’essere stato, di fatto, uno dei principali protagonisti della politica estera del Piemonte cavouriano prima e del Regno d’Italia poi, unitamente all’ap partenenza massonica, incisero in modo determinante su tale giudizio. Se, almeno inizialmente, Nigra finì al centro delle polemiche all’interno di una più ampia critica alla linea diplomatica dello Stato unitario, 32 Ivi, p. 406. 33 «La Civiltà Cattolica», anno XLVI, vol. II, 1895, p. 109.
 
 0 successivamente, quando anche i periodici si resero conto del suo ruolo chiave nella politica estera italiana e all’interno dell’élite liberale, non mancarono violenti attacchi diretti. Oltre che all’accusa dell’appartenenza massonica e a quelle di sperperare in banchetti e lussi i soldi pubblici, di essere ambiguo, impreciso, menzognero, a Nigra fu rinfacciata la mancanza di competenze e capacità necessarie a un compito così importante, facendo propagandisticamente rimpiangere gli antichi (e clericali) ministri sabaudi. Talvolta criticato per essere troppo filofrancese e bonapartista, altre volte accusato di trattare per la conquista di Roma, agli occhi dei periodici cattolici, Nigra si palesò come un avversario da criticare e colpire sulle pagine della carta stampata, degno erede di Cavour e continuatore della linea cavouriana in politica estera. Bibliografia F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, vol. I, Le premesse, Roma-Bari, Laterza, 1951, pp. 600-618. A. COLOMBO, Per la storia della Massoneria nel Risorgimento italiano, in «Rassegna storica del Risorgimento», I, n. 1, 1914, pp. 53-89. F. DANTE, Storia della «Civiltà Cattolica» (1850-1891). Il laboratorio del papa, Roma, Studium, 1990. A. DE FELICE, Vita e scritti principali, in U. Levra (a cura di), L’opera politica di Costantino Nigra, cit., pp. 9-18. M. GRIFA, Il brigantaggio meridionale nella stampa clericale e moderata (1861-1865), Tesi di laurea in Storia, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, A.A. 2008-2009, relatore C. Fumian. «L’Armonia della religione colla civiltà», Torino, 1848-1866. «L’Unità Cattolica», Torino (poi Firenze), 1863-1892. «La Campana», Torino, 1850-1853. «La Civiltà Cattolica», Napoli (poi Roma), 1850-in corso. U. LEVRA (a cura di), L’opera politica di Costantino Nigra, Bologna, Il Mulino, 2008. U. LEVRA, Fare gli italiani. Memoria e celebrazione del Risorgimento, Torino, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1992.
 
 
1 U. LEVRA, Nigra tra storia e mito, in U. LEVRA (a cura di), L’opera politica di Costantino Nigra, cit., pp. 25-51. U. LEVRA, Nigra, Costantino, in Dizionario Biografico degli Italiani , vol. 78, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 2013. A. MAJO, Storia della stampa cattolica in Italia, Milano, NED, 1987, pp. 34-53. B. MONTALE, Lineamenti generali per la storia de «L’Armonia» dal 1848 al 1857, in Atti del XXXIII Congresso di storia del Risorgimento, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1958, pp. 221-230. G. MUCCI, Carlo Maria Curci. Il fondatore della «Civiltà Cattolica», Roma, Studium, 1988. L. POLO FRIZ, La massoneria italiana nel decennio post-unitario. Ludovico Frapolli, Milano, Franco Angeli, 1998. G. DE ROSA, La Civiltà Cattolica. 150 anni al servizio della Chiesa 1850-1999, Roma, La Civiltà Cattolica, 1999. M. TAGLIAFERRI, L’Unità cattolica. Storia di una mentalità, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1993. G. TALAMO, Artom, Isacco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 4, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1962. A. VIARENGO, Il ’48 in Piemonte e le élites giovanili , in U. LEVRA (a cura di), L’opera politica di Costantino Nigra, cit., pp.
 

 

UN DIPLOMATICO OTTOCENTESCO A CACCIA DI CANZONI

di Giorgio Gregori


Leggendo le note di copertina dei dischi di musica folk, spesso capita di trovare accanto al titolo del brano diciture come «Nigra 3» oppure «Child 10». Si tratta della numerazione progressiva delle ballate pubblicate in due opere fondamentali: i Canti po- polari del Piemonte, raccolti da Costantino Nigra e pubblicati nel 1888; e The English and Scottish Po- pular Ballads, raccolte dallo studioso statunitense Francis James Child e pubblicate in cinque volumi tra il 1882 e il 1898.

Costantino Nigra nacque nel 1828 a Villa Castelnuovo, oggi Castelnuovo Nigra, in provincia di Torino, e fece una brillantissima carriera diploma- tica rivestendo un ruolo determinante nella politica estera italiana, per il completamento del processo di unificazione dell’Italia dopo la morte di Cavour, avvenuta nel 1861. Fu ambasciatore italiano a Pa- rigi (1860), San Pietroburgo (1876), Londra (1882) e infine Vienna (1885). In parallelo all’attività diplo- matica coltivò una grande passione per la ricerca letteraria, per i dialetti del Piemonte, per gli studi lin- guistici, in particolare riguardo alle lingue celtiche e romanze, tramite un fitto epistolario con intellettuali dell’epoca, ai quali chiedeva in prestito o in acqui- sto volumi e manoscritti con cui arricchire la sua già vastissima biblioteca.

Se i Canti popolari del Piemonte sono stati pubblicati in forma definitiva nel 1888, le prime raccolte datano fin dal 1854. Oggi esistono dei Canti due principali edizioni: quella più comune è il Reprints Einaudi in due volumi, del 1974; l’altra è la splendida edizione Einaudi del 2009, arricchita con un’introduzione del decano degli etnologi italiani, Alberto Cirese, e un saggio dei curatori Franco Castelli, Emilio Jona e Alberto Lovatto. Si tratta un unico volumone di un chilo e mezzo di peso, carta sottilissima, purtroppo praticamente introvabile se non a cifre folli. Molto importanti sono i 2 CD allegati, messi a punto dagli stessi curatori, che presentano un’antologia di esecuzioni delle canzoni del Nigra e delle loro varianti, recuperate negli ultimi decenni dalle voci di coloro che ancora le conoscevano ed erano in grado di cantarle; talvolta anziani nati nel 1890!

Nigra scrisse nella sua prefazione della raccolta del 1888: «Quando io cominciai le prime pubblica- zioni di canzoni popolari piemontesi (1854-60), gli studi sulla poesia popolare comparata o non esistevano o cominciavano appena. […] Io fui il primo a in- dicare chiaramente l’identità d’una numerosa serie di canti popolari che sono comuni ai paesi romanzi, aventi substrato celtico, e che non esistono negli altri paesi romanzi, cioè nell’Italia media ed inferiore e nella Spagna Castigliana.» (Nigra 1974, p. XXVII)

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Costantino Nigra, 1860 ca., Bibliothèque nationale de France

Egli dedicava scarsa attenzione all’aspetto musi- cale del canto e infatti, per la maggior parte delle canzoni, degli strambotti, dei canti religiosi e infantili, manca la trascrizione della musica. Delle 153 ‘canzoni’ che lui commentò confrontando oltre cinquecento diverse lezioni, riporta solo 15 linee melo- diche, in forma striminzita: è una caratteristica co- mune alle raccolte ottocentesche.

Lo studioso Giuseppe Cocchiara scrisse inoltre nella sua prefazione ai Canti apparsa in occasione della prima edizione Einaudi del 1957: «Ma al Nigra non interessa tanto il valore poetico dei canti che ha raccolto, quanto la tradizione che li sostiene. Egli ha compreso che la poesia popolare non è soltanto un saggio poetico, ma anche un documento etnografico con una sua tradizione culturale. Nella poesia d’arte un testo è fine a se stesso, chiuso e defini- tivo; nella poesia popolare invece, esso per vivere una sua vera vita, deve modificarsi continuamente, e dare origine ad altri testi.» (in Nigra 1974, p. XIV) Si dovrà attendere il 1934 e la relazione di Michele Barbi al III Congresso nazionale di arti e tradizioni popolari a Trento, perché l’importanza della musica venga posta con forza all’attenzione: «Grave danno per lo studio e la valutazione della poesia popolare è stato l’averla sempre considerata disunita dalla melodia. Non esiste poesia propriamente popolare, metodo di raccolta dei canti: «I componimenti qui pubblicati furono […] trascritti dal canto o dalla det- tatura, per lo più di contadine, che facevo ripetere, semprecché potevo, due o tre volte, e in epoche diverse. (Nigra 1974, p. XXXI) E ancora: «Sotto ciascuna lezione sta scritto il nome, se conosciuto, della persona che la cantò, la dettò o la trascrisse, non che il nome del luogo in cui fu cantata, dettata o trascritta.» (id., p. XXVIII)

Una passione di Nigra fu la ricerca storica dell’origine di queste ballate, teorizzando che se descri- vono un fatto molto antico, anche la ballata stessa deve essere antica. L’esempio è dato dalla famo- sissima “Donna lombarda” (Nigra 1), per la quale ipotizza che si possa risalire all’età longobarda, alla vicenda e alla leggenda del re Alboino e di Rosmun- da (evocate nella nota frase «Bevi Rosmunda dal teschio di tuo padre» ripresa da una parodia gio- vanile di Achille Campanile). Un’ipotesi contestata dagli studiosi del ’900.

Le ricerche del Nigra sono estremamente affascinanti, per ogni ballata si cerca una comparazione tra varie versioni disseminate in tutta Europa. Il suo lavoro ha una tesi di fondo che va oltre la parte mu- sicale e si riallaccia al suo ruolo di diplomatico, di protagonista dell’Unità d’Italia. Così scrive: «L’Italia rispetto alla poesia popolare (come rispetto ai dialetti) si divide in due zone: Italia inferiore, con substrato italico; e Italia superiore, con substrato celti- co.» (id. LXVI-LXVII)

Un volume del 2011, Costantino Nigra etnologo a cura di Piercarlo Grimaldi e Gianpaolo Fassino, raccoglie gli atti di un convegno di studi del 2008 organizzato per il centenario della morte. In esso c’è, tra gli altri, un intervento di Domenico Scafo- glio dal titolo “Le due Italie di Nigra ovvero come si è costruita l’identità nazionale” (pp. 115-120), che sintetizza: «Nel pensiero di Nigra la lingua è stret- tamente connessa alla struttura biosichica delle singole razze e perciò diverse lingue non rinviano semplicemente a diverse culture, ma, prioritaria- mente, a diverse situazioni biologiche.» È evidente che la divisione dell’ItaIia in due aree etnicamente e linguisticamente distinte poteva entrare in contrasto con il processo di unificazione e perciò, fino aI 1870, quando Roma divenne capitale, Nigra ed altri stu- diosi ne tacquero. Nell’edizione dei Canti del 1888 il termine ‘razza’ non viene più utilizzato. Cocchia- ra nel 1952 scriverà in Storia del folklore in Europa che «per lui il concetto stesso di razza contempla esclusivamente quelle che sono le attitudini natu- rali, morali, intellettuali e artistiche di un popolo.» (Cocchiara 1971 [ed. or. 1952], p. 369) Una discus- sione spinosa, chiusa da Roberto Leydi nel 1973 in I canti popolari italiani: «[…] oggi ci rendiamo per- fettamente conto che dietro l’impegno di sistemazione filologica di Costantino Nigra c’era anche la sottintesa preoccupazione di fornire un supporto al privilegio piemontese sulle altre regioni del giovane Regno d’Italia (dimostrando la vocazione epica e civile dei sudditi sabaudi di fronte alla vocazione lirica e amorosa dei cittadini meridionali, rudi cantori di ballate i primi, vaghi stornellatori i secondi)» (p. 14). Una contrapposizione quindi tra ballata al Nord e lo strambotto/stornello al Centro-Sud. Tanto che Nigra chiude il volume dei Canti con una piccola raccolta di “Strambotti e stornelli” alla quale, dopo tanta ab- bondanza di ballate, non fa caso nessuno. Eppure, sempre negli atti del convegno del 2008, un intero capitolo è dedicato a “Lo strambotto piemontese: un genere di canto ingiustamente trascurato” di Franco Castelli (pp. 211-240): un canto in una strana lin- gua non propriamente dialettale, maccheronica, un linguaggio definito «erotico plebeo», cantato quasi prevalentemente dalle donne.

Arriverà poi la guerra del 1915-1918, che metterà nelle trincee uomini provenienti da tutte le parti d’I- talia, ciascuno con i suoi canti, che saranno spunto per canti tragicamente nuovi. Il volume del Nigra resta in ogni caso una miniera cui hanno attinto in molti, ai quali è stata data la libertà di modificare i testi e di creare musiche. Per quanto riguarda la parte degli strambotti piemontesi, in particolare, consiglio l’ascolto del CD del gruppo di folk revival della Ciapa Rusa, Stranòt d’amur: canti e danze dell’Alessandrino del 1984. Una bella serie di can- zoni e musiche popolari del Piemonte si trova anche qui: www.teche.rai.it/2014/11/archivio-del-folclore- musicale-italiano-piemonte/. Nella prossima pun- tata parleremo delle ballate, della figura di Teresa Viarengo e delle varie versioni contemporanee.