OPERA DEL NIGRA

IL CARME LA RASSEGNA DI NOVARA - Torino, 1861

CARME scritto da Costantino Nigra - 234 endecasillabi sciolti


La prima guerra d’indipendenza segna l’avvio del processo di unificazione dell’Italia.
In quell’occasione compare anche per la prima volta il Tricolore che il Re impone a tutti i Reggimenti dell’esercito sardo piemontese con un apposito proclama in data 23 marzo 1848.
Lo stesso giorno Carlo Alberto Re di Sardegna dichiara guerra all’Austria.
L’esercito piemontese, guidato dal Re, varca il fiume Ticino il 29 Marzo ed invade la Lombardia, allora sotto la dominazione austro-ungarica. L’esercito austriaco, capitanato dal maresciallo Radetzky, abbandona Milano in mano agli insorti e si attesta sulle fortezze del Quadrilatero (Verona, Peschiera, Mantova e Legnano). La guerra diventa poi cruenta, le battaglie si susseguono con alterni risultati ma culminano con una prima grande sconfitta piemontese a Custoza, che costringe ad un ripiegamento. L’esercito sardo non ha l’esperienza organizzativa degli avversari e
pian piano deve arretrare sino a Novara dove avviene l’ultima battaglia il 23 Marzo 1849. La sconfitta segna la fine della guerra con l’abdicazione del Re. L’esercito si era battuto con valore ed aveva ceduto per l’imperizia dei propri capi e non per carenze di preparazione e mezzi.
Onore ai combattenti quindi e onore ad uno Stato, il Piemonte, che incarnava lo spirito del grande movimento rivoluzionario italiano.
La rassegna di Novara è un inno ai combattenti e ne celebra il valore militare con dei versi che rappresentano una delle massime espressioni del valore letterario del Nigra.
La scena è situata nella notte dei morti durante la quale i soldati caduti escono dalle loro tombe e sfilano davanti al Re Carlo Alberto per morire una seconda volta per l’Italia e per i Savoia. Il connubio sogno e realtà è espresso in endecasillabi di egregia fattura e rievoca in versi le glorie militari sabaude citando tutti i Battaglioni dell’esercito sardo piemontese di fanteria, artiglieria e di cavalleria.
Questo poema è ricordato in tutta la letteratura italiana di fine ottocento e primo novecento ed è stato tradotto in latino, in francese, in inglese ed in russo (dal Nigra stesso).
Il carme fu pubblicato per la prima volta nel 1875, a beneficio della Società degli Ossari di San Martino e Solferino, per cura della Presidenza del sodalizio. Ne fu fatta la ristampa, col consenso dell’autore, per quel medesimo scopo, nel 1892, con appendice di alcune lettere di illustri italiani ispirate dalla lettura di questa poesia. Comparve in diverse antologie.
Questo carme è ora dedicato all’Esercito italiano.

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  • Il Re Carlo Alberto (1798 – 1849)
    risuscitato dalla sua tomba di Superga, nella notte precedente il dì dei morti, passa in fantastica
    rassegna sui campi di Novara le ombre dei soldati caduti nella prima guerra d’Indipendenza                            Torino - Galleria Sabauda
  • La vigilia dei Morti, a mezzanotte,
    la muta cripta di Superga, ogni anno,
  • si popola d' armate ombre guerriere
  • per breve ora risorte. Al
    noto squillo delle trombe di Goito
  • redivive si scoperchia l' avello,
  • ove d' Oporto reduce dorme,
  • scheletro gigante, il vecchio Re.
  • Dall' arca immane ei sorge lento,
  • appoggiato sulla lunga spada.
    Suonan per la navata erma gli sproni
  • al misurar dei passi. A lui d' intorno
  • s' affollan densi i capitani uccisi
    nelle patrie battaglie. I palafreniportastendardo.png  
  • di funerei nitriti empion la volta.
  • Salito in groppa al candido destriere,
  • fedel compagno delle guerre antiche,
  • cavalca il Re per val di Po.                                                                        
  • Discende simile a nembo
  • il pallido fantasma dai Torinesi colli,
  • alle pianure di Vercelli, di Sesia
  • e di Novara, e là si pianta
  • immobile sul vallo
    già testimone d' infelici pugne

                                                                                                               Portastendardo del Reggimento Piemonte Reale

  • ed or ritrovo a lugubre rassegna
  • dei caduti guerrieri. 
  • Anima eterna del mio paese!
  • A me nell' arso fianco
  • il tuo possente anelito trasfondi,
  • fammi udir dalle schiuse sepolture
    la tua gran voce; e tu m' ispira il verso
  • che fa santa la tomba
  • ed immortale il lauro ai forti
    per la patria estinti.

  • Calma, severa, tacita, compatta,
  • ferma in arcione, gravemente incede
    la prima squadra, e dietro al Re s' accampa,
  • in chiuse file. Pendono alle selle,
    lungo le staffe nitide, le canne
  • delle temute carabine. Al lume
    delle stelle lampeggian le sguainate
  • sciabole. Brillan di sanguigne tinte
    i purpurei pennacchi, erti ed immoti
  • come bosco di pioppi irrigidito.
    Del Re custodi e della legge,
  • schiavi sol del dover, usi obbedir tacendosoldato.png
    e tacendo morir, terror de’ rei,
    modesti ignoti eroi, vittime oscure
    e grandi, anime salde in salde membra,
  • mostran nei volti austeri, nei securi
  • occhi, nei larghi lacerati petti,
    fiera, indomata la virtù latina.
  • Risonate, tamburi; salutate,
    aste e vessilli. Onore, onore ai prodi
  • carabinieri ! Rapida trascorre,
  • quasi muta di veltri1alla foresta,
  • avida, ardente, la colonna invitta
    dei bruni bersaglieri, orgoglio e speme
  • dell' Italia novella. Ondeggian nere
    le penne sugli svelti òmeri. In pugno
  • brandiscon l' infallibile moschetto,
  • spavento al cuor delle Morave16 spose.
  • Alto in mano l' acciar, la sua precede
  • glorïosa coorte il capitano

                                                                                                                       Soldato del Reggimento Cacciatori Guardie

  • che spirò la gagliarda anima ai campi
  • della Tauride infesti. E come ai giorni
  • delle battaglie, al fulminato ponte
  • chiama i giovani eroi, sangue eruttando,
  • grida e terror dalla squarciata gola.
  • Agili al corso, aspri alla lotta, adusti
  • le maschie fronti all' isolano sole,
    Seguono i Sardi cacciator. Giganti
  • gl' incalzano alle terga i granatieri del Re.
  • Torreggian sugli erculei colli
  • le sudate cervìci tutte chiuse
    nell' ispide di peli ardue barbute.
  • Ecco Savoia, de' suoi fasti altera,
    e de’ suoi duchi. Ma in silenzio e cupe
  • passan le schiere, chè le punge in cuore
  • dei divisi fratelli il desiderio.
    Dinanzi al Re s' inchinano dei quattro
  • reggimenti le lacere bandiere,sergente.png
  • reliquie illustri di ben cento pugne.
    Onor del campo, eletto fiore e nerbo
  • dell' esercito, or giungono le bande
    del mio Piemonte e della vecchia Aosta,
  • i veterani dell' argentea croce
    e quei che mandan difensor dell' Alpi
  • dalle sponde di Gesso e della Dora
  • Cuneo fedele e la turrita Ivrea.
    Gli otto pennoni esultano nei raggi
  • dei tre color; come iridate nubi
  • spinte dal soffio di procella estiva,
    fiammeggiano pel buio aere coruschi.
  • Date, o trombe, il saluto ai valorosi;
  • tonate, o bronzi! Nei forati lombi                                                          Sergente del Reggimento di Fanteria Casale

      

  • dei soldati di Goito e di Novara
  • rivisse intatta la virtù dei prischi
  • battaglioni d' Assietta e di Torino.
  • Date, o trombe, il saluto ai valorosi.
  • Pari in forza ed ardir s' avanzan fitti
  • i bellicosi fanti Monferrini,
    quanti inviar dalle pampinee falde
  • Casal, Voghera, ed Alessandria, e Novi
  • ricca di gelsi, e la petrosa Bobbio,
  • Acqui fumante di sulfurea vampa,
  • ed Alba, e la ferace Asti, e Tortona.
    Spuntan le nere compagnie montane
  • di Pinerolo, e dei Valdesi suoi
    dei patrii gioghi36 e della fè degli avi
  • acri custodi. Gli oliveti e i cedri
  • lasciaron questi alle marine prode.
  • Ai drappelli fraterni li congiunse
  • Genoa superba, e Chiavari, e San Remo
    ch' educa, premio al vincitor, le palme,
  • e Oneglia, amor dell' odoroso arancio,
    e Spezia, ai naviganti ospite sede,soldato.png
  • e di vele e d' antenne irta Savona.
    Varia d' ordini e d' arme e di divise
    posa in disparte, in fiero atto, una schiera,
  • taciturna. Ma freme entro gli audaci
  • liberi petti amor di patria antico.
  • Dovunque il ferro si snudò nel nome
    sacro d' Italia accorser gli animosi
  • dalle mille città, lieti esponendo
    al reo capestro, alla mannaia, al crudo
  • piombo omicida le devote teste.
    Tutti del sangue lor son caldi i solchi
  • della fatal Penisola, e feconda
  • germogliò dalle infrante ossa disperse
  • la rinnovata libertà. Sorgete,
    martiri di Spilberga, intemerati
  • difensor di Venezia, illustri e care

                                                                                                                          Soldato del  Reggimento Nizza Cavalleria

ombre di Curtatone, vincitori
di Marsala e di Capua, e voi trafitti

per le vie di Milano, e voi caduti

sotto le mura dell'eterna Roma.
Non vi dolga, implacate alme sdegnose,

piegar le vostre alle onorate insegne

de' nostri re. Sono d'Italia insegne.
Uno è il vessil dall' ultim' Alpe all' Etna.

Odo l' unghie ferrate, odo i nitriti,

veggo nembi di polve e selve d' aste.
Dei concitati alipedi le nari
splendon di sangue; schizzano le fiamme

dall' arse gole, e come onda in tempesta

fuman di spuma le fuggenti groppe.
Galoppan primi i cavalier Nizzardi

curvi sul collo all' agili polledre
sui margini del Varo48 esercitate.

Li seguon dei crestati elmi coperti

di Piemonte Reale i poderosi
baldi squadroni. Il nobile stendardo

guida i valenti che lasciar le rive
di Tanaro e di Stura, e i piani e i poggi

di Mondovì, di Susa e di Saluzzo,
di Chieri e dell' armigera Torino.
Dalle Valli dell' Arco e dell' Isero

venner, d' anca robusta e d' unghia soda,

i tarchiati destrier, sangue Normanno,

cresciuti lungo il Rodano, e li monta

della sabauda gioventù la scelta.
Benché nati sul mar, premono il dorso

dei criniti leardi di Appennino
i condottieri della quarta squadra
che da Genova ha nome. A lor dappressoufficiale.png

di Novara i lancier spingono all' urto

dei quadrati manipoli e dei valli
i generosi corridor che bagna
ne' suoi lavacri il limpido Verbano,

i nutriti alle fresche erbose coste
di Biella industre, e ai Vercellesi prati,

quei che pascon dell' Ossola le biade,
e quei che l' acqua de

                                                                                                                Ufficiale e Serventi del Corpo Reale d'Artiglieria

  • Colle picche abbassate ora si slanciano,
  • sonanti al par di scatenato turbine,
  • gli squadroni d' Aosta impetüosi.
    Come d' alto piombanti aquile, i foschi
  • cavalcator divorano la via
    tra fumo e polve. Volano impennati
  • i sauri avvezzi a valicar le arene
  • del rapid' Orco e della Baltea Dora.
    Volan le grigie indocili cavalle
    che cacciò contro alle nemiche punte
  • dai sette laghi e dagli alpini paschi
  • e dai cento castelli il Canavese.
  • Chiudon le Guide, in bianche mostre, e i destri
  • cavalleggieri, dell' equestre massa
    la lunga fila galoppante. All' oste
  • sui bai Furlani e sui Pisan morelli
  • li mandaron Toscana e Lombardia.
    Ma non tornar. Chè ai cavalier gentili
  • ruppero il cuor le Tirolesi palle.
    E or vengon sanguinose ombre a rassegna.
  • Scossa è la terra al rotear dei carri
  • e dei cannoni, dalle larghe bocche
  • accostumati a vomitar la morte.generale.png
    Un orrendo fragor d' arme e d' arnesi,
  • di nitriti, di scalpiti, di ruote
    stridenti, s' alza al trapassar veloce
  • delle pesanti batterie. Superbi
    di tranquillo valor, dall' alte selle
  • reggon gli affusti ed i fulminei bronzi
  • i cannonieri dall'equina chioma
  • per le spalle agitata. Ad essi impèra,
  • sopra tutti fortissimo guerriero,
    di forme insigne e d' ardimento,
  • il Duca di Genova. Il rapì fato immaturo
  • mentre ei già si vedea militi e navi
  • densar sui liti del remoto Eusino.
  • Mesto cavalca il giovinetto eroe,
    gemendo in cuor che invan cercato egli abbia
  • morte più bella a Stàffalo od a Volta

                                                                                     Generale di Brigata e Soldato del Reggimento Genova Cavalleria

  • o di Peschiera agli espugnati spaldi
  • sotto il guardo paterno. Al Re profonda
  • stringe il seno pietà, delle sue case
    or qui mirando il più bel fior reciso
  • anzi tempo; e una lagrima segreta
  • lentamente nel fisso occhio gli trema.
  • Ma già si pinge il Veneto Orïente
  • nei tenui albori della fredda aurora;
  • s' impallidan le rare occidue stelle
  • fra le nuvole erranti. A poco a poco
  • si spolpano cavalli e cavalieri,
    e all' incerto crepuscolo confusi
    van balenando in bianche righe i nudi
  • scheletri. Ancor palleggiano le lancie
  • le scarne destre e librano i fucili.
    Premon gli acuti femori le vuote
  • equine coste; e sotto ai radïanti
    elmi s' infoscan66 le scavate occhiaie:
  • insolito clangor metton le tube
  • imboccate dall' aride mascelle,
    come squillo d' Arcangelo.  Col brando
    l' ombra regal dà l' ultimo saluto
  • alle spente falangi e si dilegua
  • nei primi raggi del nascente sole.


USI OBBEDIR TACENDO E TACENDO MORIR
(questi versi del carme sono diventati il motto dell’Arma dei Carabinieri)